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Titolo: La donna dei gatti

Autore: Adriano Grego

Data: 1934-03-07

Identificatore: 1934_131

Testo: La donna dei gatti
Scendono ogni giorno nel cortile da un balconcino disadorno, seminascosto dietro una sbandierata di tovaglie, di lenzuola, di calze, un filo ed un canestro. È l’imbandigione dei gatti. Appena il canestro si posa sul lastricato sudicio, le bestie da ogni dove vengono a mensa. Uno che stava disteso a rosolarsi all’ultimo sole, inerte, afflosciato come una carogna, si rizza all’improvviso; un altro, sornione e diffidente, incomincia ad annusare l’aria; un altro s’avanza a lunghi passi cautissimi; un quarto trascina verso il canestro un osso che già mordicchiava rabbioso.
Ad un segnale invisibile tutti i gatti del cortile accorrono, si contendono il cibo, s’azzuffano, si allungano l’un l’altro zampate rapaci, si insozzano il muso di carne, di pomodoro rappreso, di legumi stracotti, fuggono colla preda conquistata, si inseguono con dei miaulii che sembrano il relitto straziato di un’antica barbarie.
Dicono i vicini di casa, gli spettatori di quel bestiale convito, che è una gran sudiceria lasciare tanti gatti in libertà. E anche a me quella gazzarra quotidiana non piace perché penso che i gatti sian bestie irrimediabilmente solitarie e ombrose e furtive, rimaste al mondo chissà perché, dopo la sparizione delle ultime stregonerie. E poi, questi gatti hanno l’aria malata e portano sulle orecchie spelacchiate, sulla pelle maculata da misteriose erosioni, sui musi maligni e lordi i segni della miserabilità. Penso che essi abbiano scelto la loro dimora in un cortile, perché intolleranti della casa e paurosi della strada. Soltanto in questo rifugio senza decoro, in cui cadono bucce d’arancia, fogli spiegazzati, scatole di cerini, cordicelle e lame di rasoio, in questo rifugio che solo l’acqua piovana lustra talvolta alla brava, i gatti più sordidi del quartiere potevano trovare domicilio.
Ma di lassù, dal balconcino da cui spenzolano il filo e il canestro, un viso pietoso di donna tutti i giorni si curva.
— Micio, micino, zampetta... la vuoi la carnina?
È la madre dei gatti che parla. La sua pietà scende lungo la corda e si posa nel cortile con quell’offerta di cibo. Poi se ne rimane immobile chissà se a compiacersi del proprio gesto pietoso o a guardare le bestie sazie.
*
Tutto il vicinato conosce la madre dei gatti. Ha una faccia risecchita, gli zigomi sporgenti, i piccoli occhi incavati, le corde del collo lunghe rigide come stecche, fra cui l’epidermide s’abbioscia stracca. Guardandola dal basso in alto, vedo le sue calze spesse a scannellature e poi un grembiule a bòlloni bluastri e un petto simile a quello di certi ragazzi malaticci, senza rilievi.
Non parla con nessuno, non cerca distrazioni. È torva e scabra come la limatura di ferro con cui monda le casseruole. Ogni qualvolta ho udito la sua voce, eran parole rabbiose che scoppiavano, sferzate ai vicini, risposte che parevano straripate da qualche segreto rancore. Nessuno vuol bene, naturalmente, alla donna dei gatti, un poco per quel carattere angoloso che le comprime ogni attitudine al sorriso, un poco perché in fama di danarosa e di taccagna.
Certo, la donna dei gatti non ha mai scambiato parole di cordialità neppure colle comari del pianerottolo, non s’è mai vista accarezzare un bambino, non s’è mai vista mutare abito o grinta.
Solo nel tardo pomeriggio quando s’affaccia al balcone e incomincia a far scendere spago e canestro, la donna dei gatti si trasforma. Da quella gola risecchita che sembra incapace d’ogni modulazione gentile, escono grida, vezzosi richiami, diminutivi gorgheggiati in una scala inverosimile, esclamazioni cariche di gioia e di affetto, singolari cadenze infantili.
« Zampetta... micino... chiù, chiù chiù... ».
Vengono i gatti e arranfano la preda. C’è un dio anche per i gatti rognosi.
*
Volli un giorno, incuriosito da quella stortura umana, recarmi a visitare la donna dei gatti, nella sua casa. Era caduto un asciugamano sul terrazzo e decisi di riportarglielo. Per quanto cattiva e maldestra, pensai che essa non mi avrebbe potuto cacciare con villania e, comunque, anche quella mi avrebbe divertito, considerata da vicino.
Suonai lungamente prima che mi aprisse. Poi, sentii un faticoso rimescolare di ceste, e poi la sua faccia m’apparve improvvisa dietro uno spiraglio, difeso ancora dalla catena di ferro.
— Buon giorno — dissi e mi levai il cappello con cerimoniosa lentezza.
— Che vuole?
— Vengo a portarle un oggetto che le è caduto in cortile.
— Caduto... caduto... — brontolò, e nel suo cervellaccio sbilenco passò il sospetto d’un furto.
— Eccolo.
L’asciugamano, impaccato, era piuttosto voluminoso e non passava dallo spiraglio aperto. Perciò la donna dovette aprirlo del tutto e io mi introdussi in casa con metà corpo.
— Grazie — mi disse.
Mi parve un incoraggiamento e tornai alla carica con voce mielata:
— Vedo che lei ama non solo i gatti, ma anche i canarini. Son proprio graziosi. Cantano?
Ma compresi subito che più forte dell’argomento a lei caro era l’antipatia che provava per me, per me che vestivo panni civili e avevo faccia di uomo, riso di uomo, nefasta allegrezza.
Mi guardai ancora d’attorno e lasciai la casa e la donna, inguaribilmente arcigna.
*
Ora, quando odo la voce vezzosa della madre dei gatti, che dall’alto del suo balcone si tende a dar cibo alle bestie predilette, penso a quell'enorme pacco che ho visto di sfuggita sull’armadio della sua sala d’entrata.
Spuntava dal pacco una ruota e non era difficile capire che esso nascondeva una carrozzella per bimbi: di quelle d’alluminio, colla protezione pieghevole in tela cerata. Una carrozzella per bimbi. Un segno di maternità. Ma la donna ha il petto simile a quello di certi ragazzi malaticci, senza rilievi, e alla maternità, per egoismo o per forza, ha rinunciato.
In quella casa è l’unico barlume umano, coperto di polvere.
Adriano Grego.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 07.03.34

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Citazione: Adriano Grego, “La donna dei gatti,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 17 maggio 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1496.