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Titolo: Discussioni sulle "Odi barbare"

Autore: non firmato (Lorenzo Gigli)

Data: 1934-03-28

Identificatore: 1934_159

Testo: IL FATTO D CRONACA NELLA STORIA LETTERARIA
Discussioni sulle “Odi barbare"
Le Odi Barbare caddero come un sasso in uno stagno, ma la reazione della critica non fu all’altezza dell’avvenimento, nè le ritorsioni dei fedeli del poeta trassero sempre ispirazione dalle supreme ragioni dell’arte trascurando il contingente e superando la polemica. In genere, pur ammirando l’audacia e lo sforzo dell’artista, lettori e critici giudicarono che il tentativo, per quanto nobile, fosse fallito, e che di rado la strofe barbara carducciana riuscisse a creare l’incanto della poesia. Per render piana la novità aspra e forte della metrica classicheggiante il Chiarini scrisse il discorso « I critici italiani e la metrica delle Odi Barbare » che fu premesso alla seconda edizione dell’opera; ma, come osserva il Galletti, quand’anche si fossero meglio intese le ragioni di quel tentativo e dei modi tenuti dal Carducci per rendere ritmicamente i metri quantitativi, non perciò si trasformava in interiore armonia quel senso di stranezza inarmonica che parecchie di quelle odi lasciavano nell’animo ad una prima lettura.
A poco a poco però si rese giustizia alla virtù poetica delle odi e la nuova generazione le intese e se ne nutrì. Ad essa Severino Ferrari aveva appena bisogno di spiegare che l’ode barbara « vuol riprodurre i versi latini con le sillabe, con gli accenti e con le pause che in essi avverte l’orecchio italiano senza tener conto della quantità » o durata delle sillabe ch’era invece il fondamento della metrica classica. Ma difensori e chiosatori non avevano ormai davanti che una folla di convinti. Quando, nel 1882, apparvero le Nuove odi barbare la figura potente e originale del poeta s’impose anche ai più ostili. Qualcuno si ostinava tuttavia a dargli dei buoni consigli. Un tale di Lodi dirigeva a « Enotrio Romano » un sonetto che cominciava così: Lascia il barbaro metro, onde si sdegna la viva Italia e il vate suo rimpiange... e il Carducci, mandando a stampare lo strano messaggio poetico in una strenna del 1881, vi apponeva questa dichiarazione: « Sì, per quanto annoiato, fastidito e addolorato di molte cose e di molti uomini, per quanto io per me dall’avvenire pochissimo mi riprometta e dal mondo poco speri e meno attenda, sì, ciò non ostante, io credo fermamente che il mondo è bello e che l’avvenire è santo. E per ciò scrivo le Odi Barbare. Che se l’Italia se ne sdegna, ella mi fa da vero troppo onore ». E dopo bellissimi spunti su l’Italia « viva » invocata dal lodigiano e sulle condizioni della vita italiana d’allora negative ai fini dell’ispirazione poetica, il Carducci chiudeva esprimendo la speranza di rendere nelle Odi Barbare « una piccola nota delle sublimi idealità della nostra razza ».
Alla poesia italiana era, in quegli anni, nato un giovinetto abruzzese che di lì a poco avrebbe fatto stupire severi censori come il Chiarini. Nel novembre del 1878 il giovinetto, studente nel collegio Cicognini di Prato, si trovò a passar da Bologna (confesserà più tardi al Chiarini: « Fino al novembre del ’78 non avevo fatto un verso a garbo e non mi ci sentivo proprio nato. La si figuri che a quarta ginnasiale, obbligato dal prete professore a far degli sciolti sulla battaglia delle Termopili, di cinquantadue che ne feci ne tornavano appena tre»), Bologna fece anche sull’astro nascente la dovuta impressione. Era la capitale ufficiale della poesia, e benchè Gabriele d’Annunzio fino allora avesse fatti pochi versi che tornavano, stava per farne molti che sarebbero tornati benissimo. Passò dunque il futuro poeta davanti alla libreria Zanichelli e (confessa sempre nella lettera al Chiarini) « un po' per curiosità, un po’ perchè gli elzeviri con le loro civetterie mi attiravano, comprai diversi volumi. Fra questi c’erano le Odi del Carducci... Divorai ogni cosa con una eccitazione strana e febbrile e mi sentii un altro: l’odio pe' versi scomparve come per incanto e vi subentrò la smania della poesia». La quale smania di li a pochi mesi si tradusse nelle liriche di Primo Vere fatto stampare a Chieti da don Francesco d’Annunzio, padre del poeta. È dunque Primo Vere la prima diretta figliazione delle Odi Barbare.
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Il senatore Giorgini s’era intanto provato a tradurre in latino, assai felicemente, qualcuna delle liriche carducciane e a testimoniar la sua simpatia all’autore aveva scritto che egli era il più parlante dei nostri poeti, « e a questo appunto deve la sua speciale classicità, la freschezza e l’agilità d’una forma che si discosta dalla vecchia e accademica come la penna di gallo e il passo di corsa dei nostri bersaglieri dai berrettoni di pelo e dal passo d’ordinanza dei granatièri del Gran Federigo ». Il giudizio piacque al poeta che lo riprodusse davanti all’edizione del 1893 di tutte le Odi Barbare avvertendo che accettava la lode in quanto credeva d’aver sempre inteso, ne' suoi versi, e massime nelle Barbare, « a sanar la poesia dalle asme e dai tumori, a francarla dalle frange e dai pennacchietti e da’ minuetti e da’ gorgheggi dell’età accademiche ».
E quando, nel 1903, Francesco d’Ovidio stampò nella «Miscellanea di studii » offerta ad Arturo Graf un ampio saggio sulla versificazione delle Odi Barbare (che così conclude: « Lateralmente alla via maestra il Carducci ha rintracciato un sentiero, e lo ha reso praticabile, e vi ha segnate alcune orme indelebili; ma la via maestra della poesia italiana resterà sempre quella sulla quale s’incontrano la Commedia, il Canzoniere, il Furioso, la Liberata, l’Attilio Regolo, il Mattino, il Saul, l'Iliade, i Sepolcri, l’Adelchi, la Ginestra, il Sant’Ambrogio, e, può ben dirlo senza lusinga chi di mille voci al sonito non ha mai mista la sua, l’Idillio maremmano, il sonetto Al Bove, Versaglia, il Canto dell’Amore, e ogni altra cosa simigliante»), il Carducci scrisse al d’Ovidio: « Grazie di cuore e di testa per l’amabilissimo e dotto articolo sulla versificazione delle Odi Barbare. Hai sempre ragione. Ma delicta juventutis meae.... Perchè fu un proposito proprio giovanile». Il D’Ovidio ristampò lo studio nel volume Versificazione italiana e arte poetica medioevale (1910) riproducendo in una nota la lettera del Carducci e così commentandola: « Al lettore non isfuggirà quel senso di temperata malinconia che è in codeste poche righe, nè ciò che v’è di concettoso nell’espressione: di cuore e di testa. Nè ometterò di avvertire che quei quattro puntini dopo juventutis meae son proprio suoi e sottintendono un pensiero argutamente modesto, come intuisce ciascuno che ricordi le successive parole del passo scritturale: et ignorantias meas ne memineris, Domine ». Nella stessa nota il D’Ovidio fa seguire alla breve lettera del Carducci una lunga lettera di Arrigo Boito in tema di metrica barbara. Il quale Boito concludeva un’altra arguta lettera con queste parole: « Il Carducci ha compiuto il miracolo di espandere fra gli argini incerti della sua metrica barbara una corrente di pensieri mirabile. Perdoniamo dunque alle sponde (e agli spondei) per amor del ruscello. Ma veniamo a questa conclusione: metrica barbara, in Italia è meglio non farne».
Ma che anni quelli in cui « le Odi Barbare evocavano ai nostri occhi rapiti l’augusto mondo pagano, la serena bellezza dell’Ellade e la forza di Roma » esclamava Enrico Thovez iniziando il famoso processo di revisione della lirica italiana dall’Inno a Satana alla Laus Vitae. Anni d’entusiasmo e di passione. In fondo, il molto che, uscite le Barbare, se ne disse restò sempre al di qua del vero giudizio letterario. « Non ne rimasero — osserva giustamente il Momigliano — che dotte ricerche intorno alla storia della metrica classica e barbara: nulla che giovi a intendere il significato di quella poesia». C’entrò di mezzo anche l’ubbriacatura positivista e anticattolica. Tutti o quasi tutti rimasero impigliati nelle discussioni generiche ed effimere. Quella poesia nessuno allora la capì veramente; nemmeno i carducciani più convinti.
Il frontespizio del secondo libro delle « Laudi » con la dedica autografa di Gabriele d'Annunzio al Carducci.
Il cenacolo zanichelliano negli ultimi anni del Carducci.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 28.03.34

Citazione: non firmato (Lorenzo Gigli), “Discussioni sulle "Odi barbare",” Diorama Letterario, ultimo accesso il 17 maggio 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1524.