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Titolo: Verismo è disfattismo

Autore: Massimo Bontempelli

Data: 1934-03-28

Identificatore: 1934_158

Testo: Verismo
è disfattismo
Gran lode a Valentino Bompiani editore, il quale pubblicamente dichiara che «sta nei cómpiti dell’editore, in primo luogo cercar d’intuire gli orientamenti e in secondo luogo eccitare la produzione nei campi e nel senso previsti ».
Insieme con la dichiarazione, Bompiani attua subito il proposito, nel suo ormai famoso Invito editoriale al romanzo collettivo (« Gazzetta del Popolo» del 14 marzo). Qui non andiamo più d’accordo.
Bompiani crede di « intuire gli orientamenti » del romanzo moderno italiano. Cioè, di prevedere quale potrà essere il nostro romanzo di domani. Invece in tutto il suo proclama non fa se non accettare pacificamente quello che già da alcuni anni è l’infecondo e strombazzato pensiero di un certo numero di odierni romanzanti e soprattutto criticanti italiani.
I quali da alcuni anni si sforzano di insegnarci, illustrarci, imporci un gusto, che è nato fuori, che sarà rappresentativo per la Germania o l’Austria o la Francia o per dovechessia e non me ne importa perché non ci riguarda; ma non per noi, non ha niente a che fare in Italia.
Lo spirito italiano è solare, si sforza all’eroico e all’immaginoso. Questa è la sua linea, e la fonte di ogni sua resurrezione.
L’arte narrativa che si vuole imporre all’Italia è un’arte di disfacimento. Noi sentiamo il romanzo come poema, il personaggio come eroe: eroe del bene o del male. Quella gente vede il romanzo sotto la sola specie di trattato di storia naturale, e non sa trattarvi l’uomo che come fosse un coleottero, i costumi degli uomini come la vita d’un formicaio. Non voglion che esistano « persone »: il romanziere non deve occuparsi se non di uomini che siano il più possibile somiglianti ad altri mille o centomila. C’è tra i romanzieri una morbosa corsa al materiale umano più basso. Se nella guerra han visto soldati coraggiosi e soldati paurosi, è il pauroso quello che più li alletta, e nel dipingere la sua vigliaccheria avran cura di mostrarla come la qualità più persistente e naturale dell’uomo (vedi Céline). L’uomo di debole volontà, preda dei suoi più facili istinti, incapace di ogni risoluzione, antivirile, è il tipo prediletto messo di moda da questi detriti del più basso romanticismo europeo.
Questa è la umanità, che, in nome del verismo nuovo (alimentato dalle più equivoche fonti del freudismo come il verismo vecchio si alimentava nell’equivoco del lombrosianesimo) la letteratura narrativa europea contemporanea ama presentarci come « l’uomo moderno ».
All’importazione forzata di un tal genere, io mi ribello con tutto lo sdegno. L’origine della propaganda a un tal genere di letteratura, è tra noi tutta letteraria.
Oggi la stampa letteraria italiana è in gran parte in mano, o di gente che ha traversato le grandi venture umane di questi vent’anni con una trista nostalgia della vecchia normalità (lo « spirito borghese » lo ha chiamato Mussolini nel suo grande discorso della seconda Assemblea quinquennale), o di pseudogiovani nati dopo il 1905, cioè troppo tardi sia per la Guerra sia per la Rivoluzione: han trovato la pappa fatta e gli fa comodo ricollegarsi a una vecchia formula di analismo intellettualistico, di nichilismo antieroico: si son fatti un cómpito preciso dell’impedire ai valori immaginativi (che Guerra e Rivoluzione ci hanno rivelati in tutto il loro fascino) l’ingresso nell’arte, almeno nella letteratura narrativa.
Nel 1926 avevo avuto l’ingenuità di indicare quegli atteggiamenti intellettualistici come una delle malattie di esaurimento d’un’epoca finita. In questi otto anni la malattia ha ripreso vigore, e quegli atteggiamenti ce li voglion far passare come il carattere individuativo dell’uomo moderno. Col più diabolico buon volere cercano di soffocare ogni voce che tenti di riportare l’arte a quel che nella natura umana è di più nobile, lo slancio verso il sovraumano, lo sforzo di vedere dietro il mondo il sopra-mondo, dentro l’uomo l’angelo o il demonio. Perché altro non significa la parola « immaginazione ».
« Tutto il cielo è un presagio e tutto il mondo è un prodigio » dice un personaggio di Calderon. Queste parole debbono essere il programma dell'arte italiana alle soglie della nuova èra civile, che la nuova Italia ha inaugurata.
* * *
Naturalmente non tutto quello che ho detto va al volonteroso e intelligente Bompiani, che parla con gran lede, e sbaglia di visuale solamente in quanto crede che il domani debba per regola essere una prosecuzione dell’oggi, mentre spesso il domani ne è la negazione. Ricordate la politica dell’anteguerra, e ditemi che bella figura ci han fatto i profeti che poggiavano sulle opinioni e sui gusti più diffusi degli anni 1900-1910 per « intuire gli orientamenti » del rimanente del secolo
Anche sbaglia, perché tiene conto — cosa strana per un editore, e perciò in Bompiani è questo un nobile errore — tiene conto meno del pubblico che dei letterati. Il pubblico per un’arte eroica e immaginosa e solare e mediterranea, ci sarebbe, ne abbiamo, prove provatissime; ma, povero pubblico, deve far tutto da sé, scoprire da sé i suoi veri autori. E non tutti possono far questo; sebbene delusi mille volte dalla critica e dal giornale letterario, molti non hanno altra fonte di informazione, e finiscono col cascarci sempre una volta di più.
Quanto ai propagatori della letteratura da coleotteri che sta loro tanto a cuore, c’è da notare un fatto, che è il peggiore di tutti. Nell’articolo stesso del Bompiani (il quale, ripeto, è in perfetta buona fede e non s’è avvisto del tranello) vediamo il chiaro riflesso del velenoso equivoco che s’è cercato di stabilire per far entrare di frodo quella mercanzia. Dice il Bompiani: « Pare assurdo che oggi taluno possa considerare se stesso isolatamente. Anche nella vita del più sperduto contadino penetra il tremito della vita mondiale ». Oh chi si vede? Ti riconosco — diceva quel tale all’ortica. Si vuol mettere quella pseudoarte e pseudoscienza, di cui è fatto il pseudoromanzo mitteleuropeo, sotto un’insegna, che potrebbe essere l’insegna fascista.
Ho scritto cinque anni sono:
« Oggi, in Italia, avviene questa cosa meravigliosa: che ogni italiano, qualunque atto anche minimo compia — spaccare una pietra, scrivere un articolo, guidare una motocicletta, potare le siepi d'un giardino — sente la responsabilità di questo suo atto di fronte a tutta la compagine civile della nazione ».
La cosa sta esattamente così, e niente altro che cosi. Questa situazione non toglie nulla al senso della personalità, che è la meta suprema della vita di ognuno. Taluno vede un dissidio possibile tra il senso della responsabilità civile e il senso della personalità, e cerca ripari più o meno filosofici. Questo dissidio non esiste.
La personalità vive e si perfeziona in un clima tutto interiore, e non è menomamente incrinata dagli atti di disciplina mediante i quali l’uomo prende parte alla vita collettiva. Questo in teoria. Nella pratica poi dei romanzi da cui Bompiani prende le mosse, il senso della vita collettiva si riduce a un annegamento passivo e rassegnato e impotente dell’individuo entro la massa amorfa, a un mettersi di ognuno in balia delle forze anonime e del caso. Lui dice « il tremito della vita mondiale »: ma in pratica non ci dànno che la verminaia. Questa sarà forse una situazione europea, non è affatto una situazione italiana.
Come nego il fondamento delle idee correnti tra i letterati in proposito del romanzo moderno, così nego tutti fino all’iultimo i particolari teorici di cui li contornano. Leggo nel proclama di Bompiani, che va ammesso come pacifico ai nostri giorni « il perire della fantasia »; vi leggo anche « pare più probabile che il romanzo rappresentativo del nostro secolo sia scritto da un medico piuttosto che da un letterato ». Non discuto neppure. Del resto questo si diceva anche trent'anni fa e si raccomandava ai narratori di studiare Lombroso, anche cinquant’anni fa e si raccomandava agli scrittori di studiare Spencer. Il neoverismo di marca freudiana non è niente di meglio del verismo classico di marca positivista. Il verismo è sempre stato disfattista.
* * *
Io per conto mio, se dovessi fare della trigonometria, come fa Bompiani, a uno dei due angoli base del suo triangolo romanziero metterei Verga (dei Malavoglia). E all’altro? magari Nievo. Al vertice non ci arrivo; ma venendo giù, e per parlare soltanto di morti, mi soffermerei con molta venerazione e molto studio su Tozzi (di Tre croci). Oh vorrei sapere se quei maschietti, che tengono il campo del giornalismo letterario e passano la loro pallida vita a saputeificare intorno a Proust e Dos Passos (e ora dopo le indicazioni dell’attentissimo Bompiani si precipiteranno sopra Brunngraber e sopra Hilton), vorrei sapere se sono capaci di mettere insieme una paginetta intorno a Tre croci.
Massimo Bontempelli.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 28.03.34

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Citazione: Massimo Bontempelli, “Verismo è disfattismo,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 17 maggio 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1523.