Rosso di San Secondo (dettagli)
Titolo: Rosso di San Secondo
Autore: Lorenzo Gigli
Data: 1934-04-25
Identificatore: 1934_194
Testo:
I PREMI MUSSOLINI
Rosso di San Secondo
Rosso di San Secondo è uno scrittore che, con grande disappunto dei critici, non s’è mai lasciato addomesticare, non ha mai aderito ad uno schema o ad una formola.
La frenetica esasperazione (la definizione è dello stesso Rosso) che lo sottrae all’ardore del sole mediterraneo e ai fermenti della terra sicula carica di zolfo e lo fa randagio per avidità di vita, spingendolo tra le brume del settentrione, genera in lui quel dissidio donde nascano le pagine migliori di Ponentino e de La fuga, libri ai quali bisogna ritornare per rintracciarvi i motivi originari dell’arte e del pensiero di Rosso, e non trascurandi neppur da coloro che vogliano fermarsi esclusivamente sulla sua attività di scrittore di teatro. Ma poi quel dissidio estetico e morale si ferma e si esaurisce nell’urto contro una rigida barriera di dolore. Ne troviamo il presentimento nelle opere prime; ma il processo si consolida e si precisa in un romanzo di esperienza tutta latina (La morsa, 1918) e in racconti e gruppi di novelle dai titoli antitradizionali (Io commemoro Loletta, La mia esistenza d’acquario). Le figure più rappresentative di codesto periodo vivono in una costante esasperazione dei sensi e dello spirito, allucinate e brancolanti, e hanno una funzione simbolica illuminata dall’esterno con procedimenti impressionistici di grande effetto. Il dramma oscilla costantemente tra l’idillio e la fiaba, l’intreccio si dissolve in una fantasmagoria di colori e di suoni che prendono il sopravvento, si sostituiscono all’azione e risolvono i contrasti iniziali con una violenza che, ad onta di artifici e girandole verbali, spesso mette a nudo il volto e il cuore d’un poeta autentico. Chi sia, ad esempio, riuscito ad impadronirsi della poesia diffusa nel primo atto de La bella addormentata, sa di che qualità e di che tono sia il lirismo di Rosso.
Soggetti eccezionali ed ambienti eccezionali. Tipico il romanzo Le donne senza amore (1920), nel quale il turbamento sensuale è esasperato sino all’estremo. Dopo di esso ha inizio un nuovo tentativo di soluzione, che dà origine ai lavori ermetici del biennio 1921-23. I protagonisti di questi drammi e racconti a tesi, invischiati in un freudismo piuttosto ingenuo e schematico, corrispondono, tirate le somme, ad una esasperazione del sentimento romantico di Liesbeth delle Elegie a Maryke passata a traverso le esperienze de La fuga e de La morsa; donde in tutta l’opera di Rosso un’unità intima e sostanziale che anche i meno ben disposti non possono negare. In ogni momento della sua arte Rosso è il lirico Capriccioso delle prime esperienze che non ha rivali nel compiere le più audaci acrobazie sui trapezi della fantasia e nello scagliare a piene mani dall’alto le stelle filanti delle sue immagini bizzarre, col risolino ironico dell’uomo che la sa lunga. Ma la maschera del cinico gli sta male, ed egli stesso se ne rende conto e se la strappa appena può. Rosso rimane pur sempre quel sentimentale giovine romantico che ha meravigliosamente visto una volta gli occhi di Liesbeth e vi ha scoperto il mondo.
In fatto di « scoperte » egli non si è fèrmato tanto presto, e i citati romanzi del ciclo ermetico sono sotto questo riguardo degli osservatori! pieni di strumenti delicati per esplorare il subcosciente e snodare il groviglio del complesso d’Edipo secondo la moda ultramontana. Ma almeno uno di essi (e precisamente La donna che può capire capisca dove è ad ogni modo riconoscibile un magnifico sforzo di esteriorizzazione del mito sessuale) è pervaso da una sintomatica necessità di liberazione e d’elevazione che lo riconduce sotto le insegne delle origini. La poesia che nasce da questo romanzo mistico-erotico è di marca buona soprattutto nei momenti di dichiarata nostalgia. La formola della nostalgia è risolvente nei confronti di tutto l’atteggiamento spirituale di Rosso; il quale per salvarsi si rifugia in un mondo tutto fantastico dove le immagini più incandescenti e bizzarre si colorano di realtà. Ma la realtà umana è lontana da lui, anche quella dolorosa e pudica verso la quale il suo istinto romantico lo attirerebbe: non può nulla, in definitiva, contro il. tormento degli altri, che pur lo interessa e commuove, come non può nulla contro il proprio. Dalla formola della nostalgia a quella della solitudine il passo è breve. I capitoli del volume Le frange della nostalgia (1924) ne segnano il tempo. Vi è inserito un « intermezzo sgraziato » con Giovanni Arce filosofo che svolge in sette paragrafi, da un punto di vista nuovo, i motivi fondamentali dell’ironia di Rosso, legata alle sue delusioni. Ma benché qualche notazione autobiografica non manchi nell’« intermezzo », l’ironia impassibile del filosofo Arce non è quella tormentata e drammatica del poeta di Ponentino, e la dialettica arciana è scaltra, accomodante, quasi cinica. Giovanni Arce vive piuttosto in funzione di simbolo di quella parte d’umanità che si erige a giudice dell’altra parte; Rosso sta ad ascoltarlo, sorride, lo ammira anche se non gli concede credito. Quello parla attaccato alla terra, e Rosso dall’alto del suo cavallo alato specula il cielo per qualche nuova avventura che lo porterà lontano.
Dopo un periodo di intensa attività teatrale al quale sono legati alcuni successi memorabili (La roccia e i monumenti, La scala, Tra vestiti che ballano) Rosso tornò al racconto coi volumi C’era il diavolo o non c’era il diavolo? (1929) e Luce del nostro cuore (1932) nati negli anni della dimora berlinese dello scrittore e intrisi di nostalgia mediterranea. « Aria, luce, colore, che sono i mezzi per cui l’armonia terrestre sviluppa i suoi temi, non avrebbero ragione d’essere se non servissero a destare nel nostro spirito la memoria di quel paese più fulgido dal quale emigrammo per acquistare coscienza ed al quale ritorneremo » avverte Rosso: è un programma di vita artistica e morale più che mai valido oggi fra tanto disordine di cui il mondo è teatro spiritualmente devastato. Quest’atto coraggioso di fede nell’umanità è sintomatico in colui che s’era vendicato della vita riversandole addosso la fredda ironia di Giovanni Arce e la propria paradossale e frenetica. Ma la salvezza di Rosso era, dicevamo, insita nella autenticità della sua ispirazione-liberazione. Il nord non potè mai uccidere in lui, co’ suoi dubbi e le sue nebulosità, l’uomo dai generosi istinti, dalla primitiva freschezza di sentimenti, dalle improvvise esuberanze. « Perché dovrebb’essere la mia fede una pietosa illusione, se io sono non solo un uomo del mondo, ma in particolare un italiano dell’isola più bella del Mediterraneo? ». Un italiano che crede nelle forze primigenie della natura, nella perenne giovinezza dell’umanità velata ma non distrutta dal materialismo. Anche negli ultimi volumi ritorna il tema della nostalgia, che ha tanta parte nell’opera di Rosso, e sta costantemente in funzione della sua visione della vita, del valore provvisorio ch’egli dà a questo nostro passaggio mortale, incatenati come siamo alla nostra sorte, anelanti di evaderne e di toccare il porto estremo dopo la liberazione. Ci è guida la « luce del nostro cuore » che ci proviene dall’infallibile istinto del sole e ci salva dalle insidie della società contemporanea decadente e corrotta. Sulle rive del Mediterraneo si prepara la nuova storia del mondo. Ed è già poesia in atto che la sensibilità del poeta capta e diffonde.
Lorenzo Gigli.
Pier Maria Rosso di San Secondo è nato a Caltanissetta nel 1887. OPERE PRINCIPALI: Romanzi: La fuga, La morsa, Le donne senza amore, La festa delle rose, La donna che può capire capisca, Il minuetto dell'anima nostra, La mia esistenza d'acquario — Novelle e prose varie: Ponentino, Io commemoro Loletta, Palamede Remigia ed io, Ho sognato il vero Dio, Il bene ed il male, Le frange della nostalgia, C’era il diavolo o non c’era il diavolo?, Luce del nostro cuore — Teatro: Marionette, che passione!, La bella addormentata, L’ospite desiderato, La roccia e i monumenti, L’avventura terrestre, Una cosa di carne, Lazzarina tra i coltelli, Il delirio dell’oste Bassà, La scala, Tra vestiti che ballano, La signora Falkenstein, Notturni e preludi, Febbre, Per fare l’alba.
Collezione: Diorama 25.04.34
Etichette: Lorenzo Gigli
Citazione: Lorenzo Gigli, “Rosso di San Secondo,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1559.