La città di Abele (dettagli)
Titolo: La città di Abele
Autore: Nicola Moscardelli
Data: 1934-05-16
Identificatore: 1934_227
Testo:
La città di Abele
A Benito Mussolini, all’emigrante di ieri in memoria delle oscure legioni che passarono i monti e il mare in cerca d’una patria alla lor fame di pane e d’amore;
al Condottiero di oggi e di domani, in nome di coloro
ai quali ha dato una bandiera e un campo sì che nel primo grano che han mietuto hanno riconosciuto il materno sorriso della Patria.
Il mondo era deserto cupa era l'aria e scuro il cuor dell'uomo: ognuno ravvisava nel fratello il viso di Caino allorché fu fondata la città.
Uguale a un’alba si levò da terra e illuminò della sua luce il mondo: il cuór dell’uomo sotto quella luce nel viso del fratello riconobbe Abele in cerca della sua città.
Oh primo giorno della città nuova giorno nuziale! Questo non è un giorno dei mesi e gli anni umani: tutti oggi hanno vent’anni e caduti di dosso i pesi vani vanno incontro alla vita camminando spediti.
Guarda quanti sorrisi oggi nell’aria, ha un volto umano il sole la sua luce si può toccar con mano, scesi dal Paradiso
gli angeli curvan il lor viso ardente sulla fronte dell’uomo e questa splende. Tempo del primo amore, sei rinato come rinasce l’erba in mezzo al prato, come ritorna il sole in mezzo al cielo, ricomincia la vita con l’aurora, e il mattutino volto della patria è intriso di rugiada come l’erba che illumina le zolle.
Oggi la morte fugge e si nasconde, s’inselva nella macchia di Fogliano e la sua falce arrugginisce invano nell’acqua del pantano.
Ma è preparata già l’altra legione che caccerà la morte anche di là.
Tanta gioia non dànno al cuor le palme che s’alzano nell’oasi del deserto quanta ne dà la vista delle torri che come fari s’alzano sul piano.
Oh beato colui che primo vide alzarsi il fumo sopra i tetti e scorse le fiamme crepitar nel focolare.
Oh beato colui che primo udì scender dalla finestra sulla via il pulsar d’una culla e il pianto d’un fanciullo.
Ma più beato ancora
colui che vide il primo grano, il primo
stelo tremare al vento, palpitar e ingiallir la prima spiga con i suoi chicchi e strinse nella mano il manipolo primo.
Dove la morte ier falciava l’uomo
l’uomo oggi falcia il grano
con la falce lasciata dalla morte.
E colui che tagliò prima il manipolo
delle spighe mature
sentì il suo cuore battere più forte
di quando strinse al petto il primo amore.
È un messaggio venuto dal profondo come quello che manda la sorgente; la vita era sepolta
non s’udiva il suo petto palpitare
sotto la grave mora:
ma come il minatore col piccone
disseppellisce i secoli combusti
e dei soli ormai spenti il primo lume
così sotto il richiamo della vanga
la vita che dormiva s’è destata
e la spiga di grano che traversa
la dura terra e ride
è uno sguardo delle sue pupille
un raggio del suo sole.
Tu che mai non avevi partorito, o terra, oggi sei madre.
Uomini e piante hanno la stessa età
e persino il dolore
sembra il ricordo d’un’altra città.
La messe è già presente
nel pugno di semente
e nel giorno che appena è cominciato
già vigono i millenni:
nel passo dell’infante che traballa
urgono già le generazioni
dei secoli futuri.
Nell’aria mattutina del tuo giorno primo, nel sole della tua giornata nuziale, ecco un silenzio si diffonde profondo come se tutti guardassero in cielo: immota splende la luce, e s’ode un canto:
— Noi siamo le radici delle piante
che avete voi piantate, il grano che mietete
fu da noi seminato:
le case che abitate
sulle nostre ossa furono inalzate.
Noi siamo gli emigranti che traversammo i mari e i monti capeggiati dalla fame: lungo le vìe del mondo trovammo amaro pane e dura sorte, senza potere mai dimenticare la terra che avevamo abbandonata amata per la vita e per la morte.
Col sangue che versammo hanno impastato la vostra città e dal nostro dolore nasce il vostro sorriso.
S. Francisco o il Montello
il Grappa o il Canadà una è la guerra:
emigrante o soldato, contro il nemico o curvo sulla terra
l'uomo italiano è sèmpre combattente.
Perciò, fratelli della città nuova, una vostra contrada o il vostro podere più sassoso chiamatelo Broccline o Bostonmasse in memoria di queste povere osse. —
O città dedicata all'indomani intorno alle lue mura tu sentirai per sempre respirare il cuor del mondo come intorno ai fari il cuor dei naviganti: e il nome di Littoria sarà sempre gemello di Vittoria.
Gloria a colui che fonda le città per gli uomini di buona volontà.
Nicola Moscardelli.
Collezione: Diorama 16.05.34
Etichette: Nicola Moscardelli, POESIA
Citazione: Nicola Moscardelli, “La città di Abele,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1592.