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Titolo: Libri della settimana

Autore: Non firmato (Lorenzo Gigli), Vellani Marchi

Data: 1934-05-16

Identificatore: 1934_233

Testo: Libri della settimana
"Un fante lassù"
Aggiungiamo anche questo volume di Gino Cornali (Un fante lassù; ed. La Prora, Milano. L. lo) ai buoni libri di guerra, nostri, italiani per spirito e consapevolezza, per salda coscienza del dovere e virile reazione alla rettorica bellica così nel senso amplificatore come in quello disfattista. Vorrei dire che forse soltanto l'Italia, ad onta di stamburate fame esotiche, parecchie delle quali costruite sul facile senno di poi, ha una letteratura di guerra degna del tema grandioso e intonata al suo valore umano. Umanità in guerra è veramente questa che passa nei libri italiani, i quali ormai formano una mezza biblioteca a cominciare dalle indimenticabili Scarpe al sole di Paolo Monelli che sotto la prima prova d’uno scrittore di razza e insieme un magnifico documento di dirittura e chiarezza latina, il codice della « scarponeria » che a sedici anni dalla fine delle ostilità sopravvive intatta e passa le consegne alle nuove generazioni. Oggi, tra gli scrittori dei libri di guerra, Soffici e Monelli, Puccini, e Cornisso, Murpicati e Sangiorgi, per non dire dei molti autori di diari e memorie tra cui non mancano le cose memorabili, si fa luce anche il Cornali, valoroso giornalista e letterato al quale si devono un paio di volumi di gentili novelle e più d'una traduzione eccellente da autori inglesi Il Cornali era studente a Pavia quel giorno del giugno 1915 che lo chiamarono sotto le armi: tre mesi dopo era anche lui uno dei tanti fanti « lassù ». Il suo libro comincia con gli ultimi momenti della sua vita famigliare, a Bergamo, dove è corso a salutare i suoi.
Trascrizione semplice e disadorna dei sentimenti e delle reazioni, di quelle giornate, il coraggio sereno del babbo, le dissimulate ansie della mamma; lui, il protagonista, è quasi ancora un ragazzo. Diventerà uomo nella tragedia. Ma le giornate bergamasche e poi quelle del deposito introducono alla vita nuova, al tempo nuovo, lasciano intendere nella loro spiccia andatura di quale drammaticità fossero cariche quelle ore di prologo, con che intensità le vivessero coloro che domani sarebbero stati, afferrati dal fango delle trincee, e molti per non tornare mai più. Anche i primi incontri con l’atmosfera di guerra hanno nelle pagine del Cornali un rilievo affidato alla vivacità del ricordo immediato, del sentimento d’allora. Poi, dopo una parentesi di licenza e la ripresa dei contatti col retrofronte e con la famiglia, il ritorno sul Carso nelle posizioni di Castelnuovo. Siamo nel 1916, l’anno dell’offensiva austriaca nel Trentino: il fante Cornali è a Passo Buole, uno dei piloni della nostra resistenza, teatro di eroismi senza nome. Ma errerebbe chi cercasse nel libro del Cornali la cronaca eroica. Vi trova invece lo spirito del combattente, la guerra vissuta; vi sente maturare una coscienza, svilupparsi le ragioni d’un superamento di sé e della realtà, d'una spirituale elevazione che si fonda sulla sofferenza e sul coraggio non millantatore ma conquistato ora per ora. Si giunge alle ultime pagine senza che il tono del libro si smentisca mai. Non una parola più del necessario. Il congedo dalla guerra è esemplarmente semplice.
Andandosene, Gino Cornali non sveglia neppure i suoi compagni. Scrive il proprio nome sopra un pezzo di carta a mo‘ di saluto. « Come il loro, anche il mio nome non stava scritto sopra una delle tante croci dei cimiterini del frante proprio per un capriccio della sorte ». Del resto, il cuore dei combattenti pareva che dovesse non avere mai il suo congedo e restar sempre lassù coi loro vent'anni. Ma, dice Gino Cornali chiudendo il suo diario al quale auguriamo molti lettori, specie tra i giovani, « un giorno un fante dello Javorcec e di Quota 144, Colui che aveva già guarite le nostre malinconie, spenti i nostri dubbi tormentosi, data una certezza santa alla nostra passione, gettò un grido « A noi! »; e noi siamo andati a riprenderli, cuore e vent’anni, perchè difendessero i nostri Morti e salvassero i nostri figlioli ».
Cornali
Un fante lassù
(Disegno di Vellani Marchi).
Favolette di Folgore
Al libro degli epigrammi d'un anno o due fa, Luciano Folgore fa seguire una raccolta di Favolette e Strambotti (ed. Ceschina, 1934. L. 6) dove la satira folgoriana s'esercita su centri facilmente individuabili dall’opinione media (anche molti di codesti strambotti e favole son nati per le rubriche umoristiche dei giornali, ed alcuni hanno rallegrato i sabati solari dei lettori del nostro Fuorisacco), ma affronta anche temi di maggiore impegno o li sfiora con la delicatezza d'un volo di libellula. Non si accomoda, Folgore, all’abito del moralista che si assume una missione nel mondo e neppure a quello del poeta satirico che si erige a giudice e riformatore della società. C'è invece, nella sua poesia burlesca e ironica e sempre leggiadramente sfaccettata, l’intenzione d’un gioco elegante, del quale il primo a prender diletto è lo scrittore medesimo, mediante trovate quasi sempre di ottimo gusto e con l’appoggio d’una tecnica così abile da toccare spesso il virtuosismo. Qualche esempio:
La bocca chiusa:
Disse un giorno la biacca vedendo in giro tante bocche rosse
— Sei stata tu, mia buona ceralacca? — La ceralacca fece: — Cosi fosse!
A quest’ora ogni bocca pitturata sarebbe sigillata e varrebbe un tesoro perchè il silenzio è d’oro. —
Trasformazioni:
Mi diceva Zebrù l’intelligente:
— Trasformarsi in un gatto non è niente.
Il miracolo vero, il più bel fiatto sarebbe quello di cambiarsi in gatto
e nel Contempo, per diversi scopi convincer gli altri a diventare topi! —
Punti di vista:
Canta il poeta: — L’erba è deliziosa, io me ne faccio un letto profumato e penso che sarebbe una gran cosa se il prato non venisse mai falciato. — Osserva il bue pacifico e sereno:
— Dici cosi perchè non mangi fieno! —
Le citazioni debbono necessariamente restar circoscritte al genere epigrammatico; ma la nuova raccolta folgoriana abbonda di temi che scolgono e commentano i caratteri della « commedia umana», nè mancano il tono tenero e il patetico e lo scettico, benché non siano le corde più tentate della lira del Folgore. Il quale è un poeta ricco di virtù e, come ogni uomo vivo, non deserto di vizi (come dire lo scherzo talvolta troppo scoperto, il gioco di parole troppo facile, il paradosso troppo imbrillantato); ma un poeta nel quale s’alleano, anche se non avvertiti subito, la qualità della cultura e del gusto e l’autenticità del senso critico, e inoltre quell'abito moralistico che sottintende una filosofia personale della vita, come puoi vedere in alcuni di questi componimenti, mettiamo Amleto e la zucca e Il dramma nel baule.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 16.05.34

Citazione: Non firmato (Lorenzo Gigli) e Vellani Marchi, “Libri della settimana,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1598.