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Titolo: Il tragico

Autore: Mario Viscardini

Data: 1934-06-06

Identificatore: 1934_255

Testo: Il tragico
« Che cos’è quell’orrore che ci desta la materia viva a metterci il piede, a spiaccicarla, anche se si tratti di una ripugnante zecca? È forse un riflesso dell’istinto che mira in ogni creatura al rispetto della vita, e che soltanto la preoccupazione, il bisogno di difesa, cioè un più alto istinto di vita, possono far sormontare? Narra una favola antica che un rospo centenario, acuto osservatore del progresso... ».
La mano di Giorgio si ferma. Egli ha udito sotto la sua finestra, sul grande viale asfaltato che rasenta il giardino della villa, il crrr... allarmante, stridulo, pieno di non so quale precipitosa angoscia, che fanno le macchine bloccate, quando le ruote strisciano portate dall’inerzia.
Da lontano si leva un gridio; poche voci, donne, ragazzi; la macchina non si rimette in moto; qualche cosa è successo. Giorgio si alza e va alla finestra. Vede la macchina ferma, ma non la distingue bene, perché gli è nascosta dagli alberi del giardino; immagina che c’è sotto qualcuno; è già curioso fino all’ansietà; se gli dicessero che non è accaduto nulla proverebbe, quasi, una delusione.
Giorgio pensa a un ciclista, a un uomo (le donne è meno facile), a un bambino... Ah, questo è terribile! Un bambino!... di chi? Ha in basso due figliole; una più grandicella che è sempre in bicicletta da uomo, seduta sulla canna per arrivare ai pedali; e un’altra piccola, un folletto, di qua e di là, tutti i momenti per la strada.
Giorgio rimane alla finestra; gli è entrato un dubbio; non osa muoversi; fissa laggiù tra il gruppo; vede uno che gli passa più vicino e gli grida: — Ma chi è? — L’altro non sente e tira via. Una bambina! C’è sotto una bambina! Eccolo tuffato nell’angoscia di tutti. Chi sarà? In quel momento ogni cosa gli pare possibile.
Ora fissa la folla che s’è raccolta intorno alla macchina e cerca d’indovinare se qualcuno si diriga verso la sua casa, se dia qualche segno di pensare a lui. No, nessuno; sono là smarriti; non gridano più; forse stanno togliendo il corpicino investito da sotto le ruote. Giù in giardino non ode nulla; è male? è bene?
Ma non può più reggere. Bisogna affrontare la verità; scendere. Appena sotto, scorge in un battibaleno sua moglie che sta cucendo, tranquilla; poco più in là le due ragazzine che giocano con altre del paese. Gli basta; non gli occorre altro, per rasserenarsi, per rivivere.
— Una macchina ha investito una bambina — dice passando. Non sa che faccia abbia in quel momento; ma parla posato, deliberatamente; deve mettere a profitto la paura, per insegnare alle sue bambine ad esser caute; utilizzare, la morte; questo pensiero gli è chiaro; perciò non teme di spaventarle troppo. Eppoi l’emozione cerca sempre di scaricarsi e diffondersi; non ha riguardi.
Le bambine corrono fuori con lui; la più piccola lo tiene per mano intimorita ed egli stringe quella manina come se qualcuno glie l’avesse resa; nel suo cuore ringrazia, Dio, la Provvidenza, il caso? Non lo sa; ringrazia; e stringe la manina dicendo burbero e sciocco: — Vedete, che succede a correre distratti per la strada?
Dalla macchina hanno levato il corpicino. È una bambina di otto anni. Giorgio aveva già stabilito inconsciamente tutta una graduatoria di paure; dopo le sue, temeva per quelle del vicino di fronte, per le amichette comuni. Invece no; era proprio fortunato. Quella bambina non la conosceva nemmeno.
Un uomo (ce n’è sempre qualcuno dai nervi robusti) l’ha cavata dalle ruote e ora la tiene sulle braccia ravvolta da un grembiule. È già morta. Il suo corpo è tutto massacrato; la faccia è un impasto di cera e sangue e riccioli biondi; ma la riconoscono subito; essa è, per qualcuno, quel che poteva essere per lui. Povera gente!
Il proprietario della macchina (è lui che guidava) discute col vicino di fronte che gli chiede i documenti. È pallido, cadaverico. Ha in macchina la moglie e due figliole.
Ricerca delle responsabilità; il guidatore, disputando, va avanti e indietro; mostra il segno di una strisciata di cinquanta metri (correva dunque un bel po’), ma vuol dimostrare che ha frenato in tempo; non ha investito la bambina che nell’ultimo tratto, quando la macchina andava da sé. Com’è stato? Subito detto.
Veniva una macchina di fronte; la bambina, guardando quella, non ha visto l’altra. Ecco il disastro. Tutto si spiega; la meccanica è fatta cosi; la storia pure. Se lui avesse inchiodato la propria macchina arrischiava d’ammazzare i suoi; quattro vittime invece di una.
— Lei ci dia il suo nome.
— No. Allora voglio il nome dei testimoni.
— Che testimoni?
— La donna che stava con la bambina. Chi è qùella donna?
La gente nicchia; solidarietà paesana; nessuno sa nulla.
Chiacchiere, chiacchiere. Ma intanto qualcuno si dà da fare. Dopo un poco accorre il medico sulla sua moto. Giunge, a piedi, il messo comunale; i carabinieri bisogna chiamarli col telefono dal capoluogo; arriveranno in serata; la macchina e il corpicino staranno ad aspettarli. La folla discute; largo, largo; altre macchine devono passare. Che è? Investimento? Una bambina!
Da lontano arriva una donna che piange; è alta, forte; non c’è bisogno di chiedere chi sia; è la madre. Potevano risparmiarle questo sopraluogo. Arriva, urla; si butta sul corpicino, cade, mezzo svenuta; dopo qualche minuto la riportan via. Una mamma è una mamma.
La folla intorno alla macchina cresce. S’è fermata molta gente. Le macchine rallentano e tiran via; per qualche ora gli autisti staranno attenti (non correre troppo, fare i segnali), le disgrazie insegnano agli altri. Un’automobile si trattiene; il proprietario è uno sfaccendato, un curioso; si mescola alla folla, interroga, e sente fare il nome della donna che accompagnava la bambina. — Ecco il testimone! — sussurra all’investitore.
— Venga qui, venga qui! Lei! Non scappi! Glie lo faccia ripetere; l’ho sentito io, coi miei orecchi. — Solidarietà di automobilisti.
— Ma io non so nulla, non ho detto nulla.
La colpevole è una vicina di casa della bambina; se l’era presa per portarla al campo. A un certo momento non l’ha vista più; credeva di averla al fianco ed era sotto la macchina. In fondo nessuno se la prende più col guidatore. La madre della bambina non gli ha nemmeno rivolto uno sguardo; questa donna, l’unico testimone, non osa incolparlo. Già intorno a lui si forma una specie di compassione.
Il proprietario della villa di fronte ha smesso di minacciarlo; meglio che si squagli ed eviti il carcere preventivo. Il messo comunale si allontana; il medico, dopo le constatazioni formali, se ne va; la famiglia che era in macchina trova riparo nell’osteria (qualcuno ci guadagna sempre). Uno del paese, che ha una macchina (oggi a me, domani a te), la presta all’investitore; fili pel suo destino; la famiglia lo seguirà col treno.
Sul luogo dell’incidente restano la bambina uccisa e la macchina vuota; sono là, accosto, come due morti sul campo dell’urto reciproco. Intorno bisbigli, commenti, interrogazioni. L’incidente, anonimo, è passato alla cronaca; s’è spogliato di carne, di umanità; caso di legge, regolamenti, materia di assicurazione, processi, discussioni.
Per un solo uomo la cosa è ancora terribilmente attuale; per il padre della bambina, che sta a Milano, mettendo su mattoni e calcina; il tragico è quest’incoscienza a due passi dal fatto; quest’ignoranza di ciò che già è.
— E voi state attente! — dice Giorgio alle figliole. E se ne torna in camera sua, al suo tavolo; continuerà il suo lavoro. Se non fossero le bambine, che tutto il giorno continuano a ridescrivere la scena, a scoprire ricordi dell’uccisa (ora la conoscono perfettamente, hanno giocato con lei) la cosa potrebbe dirsi conclusa. C’è stato un incidente sulla strada; ne capitano tutti i giorni; forse non lo metteranno nemmeno sui giornali.
L’indomani infatti la notizia non compare; non se ne parla più; notte tranquilla; giorno occupato. Giorgio però non sta del tutto bene. Soffre, ha una febbre leggera; disturbo gastrico, indigestione, troppo lavoro: No. Sono quei minuti passati alla finestra guardando in viso la gente, e gridando — Chi è! — Quei minuti d’ignoranza, di dubbio, che lo facevano solidale con tutti i padri che avevano bambine attorno.
Invece, nulla di straordinario; sì, guardato di fuori, non è che un incidente stradale: penoso, davvero; ma non raro. La sua coscienza si è acquetata; ma i nervi ne portavano le tracce. Due giorni di molestia; un medicinale. Dio mio; ci vuol poco! Era il suo contributo al dolore del mondo. L’aveva pagato e stava meglio.
Mario Viscardini.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 06.06.34

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Citazione: Mario Viscardini, “Il tragico,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1620.