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Titolo: Un foglio di carta

Autore: Adriano Grego

Data: 1934-06-27

Identificatore: 1934_283

Testo: Un foglio di carta
Il terreno del giardino pubblico, che visto in distanza pareva terso e agghindato, rivelava da vicino fratture, asperità, disordine, e un guerreggiare di formiche tra il pietrisco e i frequenti terremoti dei passi umani. Perfino i bambini, quando poggiavano le piccole mani sul ghiaiato o quando col secchiello costruivano coni di terra umida, bastavano a sconvolgere la casuale disciplina di quei grani terrosi, dei ciuffi d’erba, delle radici sporgenti, dei minuscoli sassi, delle foglie accartocciate, di tutta la vita animale che si svolgeva sulla superficie pianeggiante del giardino.
Fu alle otto del mattino che un bolide cadde dall’alto e precipitò, ma con poco frastuono, in una radura. Grande spavento per due imenotteri neri avventuratisi fuori della via maestra, cioè fuori d’un viadotto incanalato nella corteccia d’un platano. Innocenti, le formiche vollero conoscere da vicino la natura del bolide. Salirono sul suo dorso, si incamminarono per certe cavità che s’aprivano misteriosamente sui fianchi, cercarono all’interno una preda. Ma non c’era nulla da mangiare; nulla, nemmeno l’odore. Allora capirono che doveva trattarsi di uno di quei macigni che talvolta gli uomini lasciano piovere dall’alto, e non fanno rumore e sono di incredibile leggerezza e non servono alle formiche perché non contengono di solito nemmeno un grano di miglio.
Rapide, ritornarono alla loro strada, dove già una colonna di formiche correva, come ogni giorno.
* * *
Un venditore di semi di zucca, piccolo e vecchio, si sedette sulla panchina. Non c’era quasi nessuno a quell’ora, e bisognava aspettare che il sole compisse il suo giro e illuminasse l’entrata del giardino: solo allora le prime donne, i bambini, i pensionati, i giocatori di dama, sarebbero venuti dentro la cinta. Vide in terra ai suoi piedi un foglio di carta spiegazzata e si curvò a raccoglierlo. Lo distese sul ginocchio lentamente, s’accorse che era rotto nel centro: non poteva servire, dunque, a involgere la merce.
Ma poiché sapeva leggere, alzò il foglio di carta fin sotto il naso e sillabò con fatica, con quell’aria sorniona con cui guardava di solito la gente che s’allontanava dal suo cesto, dopo aver comprato quattro soldi di semi.
« Ciocia è malatta e dice che non vuole alsarsi. Ma non è vero perché tutti sanno che non è malatta. Quando il padre del Carlo è morto di stomaco gli ha fato giurare prima di morire che non prenderà in moglie la Ciocia e lui macansone non si è più fato vedere in paese... ».
Poi le parole si confondevano le une colle altre. Macchie di inchiostro slavato lordavano la parte superiore è inferiore del foglio che aveva preso alle estremità un colore gialliccio. Il vecchio non si crucciò. Che cosa gliene importava di quella Ciocia? È poi, tanto meglio. Di dispiaceri ce n’è per tutti in questo mondo, e così si fa pari e patta!
Si sentiva stanco come sempre, dopo essersi alzato e il sangue gli martellava nelle tempie. A toccarle, le tempie, si sentivano le vene turgide, nodose, come quelle sotto il ginocchio. Mah! Per fortuna c’era il sole. Incominciò a mordicchiare una grossa crosta di formaggio, adagio, senza rumore. Si ricordò di quando faceva il conciapelle e si ingoiava quattro michette di pane duro, e aveva sempre fame. Allora le ragazze non scappavano, anche se era piccolo di statura. Ma no, in fondo, non era vero: anche allora si rodeva perché non poteva avere questa donna e quell'altra, e la nipote del signor Domenico. Che vita da cani! Quando si è giovani si darebbe la testa nei muri e quando si è vecchi, ecco come si riduce un galantuomo.
Chissà com’è questa Ciocia... Ma non sapeva immaginarla che bruna, soda, ridente, cogli occhi di carbone, come la nipote del signor Domenico... Essere soli, si finisce all’ospedale... E questo Carlo che non vuol più sposare la ragazza! Non voleva nemmeno prima, forse... si è servito della morte del padre e ora taglia la corda.
Per fortuna che c’è il sole... Ora bisognerà andare a cercare anche le mandorle e i caramellati... e andare davanti alla scuola prima che le scuole finiscano. Coi caramellati si può mangiare anche un pezzo di formaggio sardo, di quello buono che scivola. Senti il gusto del cibo, cosi violento e così dolce, che chiuse gli occhi con delizia.
* * *
Poi il foglio lo raccattò una bambinaia. Aveva degli occhi chiari celesti che spiccavano sul rossore del viso contadino. La mantellina bluastra, la cuffia bluastra e bianca davano al suo corpo un aspetto chiesastico: come si fosse in quel mattino stesso preparata per una sfarzosa comunione. Subito, la pena di quella Ciocia misteriosa la punse come una pena sua e rivide la coperta a scacchi della sua camera da letto, la branda dei fratellini, e risentì rodere di stallatico, di lattime, di legna bruciata, di polentone giallo, di sangue caldo di porco, tutti gli odori del suo paese montano.
« Ha detto bene che è un mascalzone » pensò. « Un vigliacco, un rubacuori ».
Ma le soste dello sconforto non erano lunghe per lei. Si immaginò distesa sul letto, come quella Ciocia ammalata d’amore, e le lacrime e la mamma vicina e le amiche colle mani sui fianchi. E lei a dire: « No... ha fatto bene... non è cattivo il Carlo... non lo dovete dire... non dovete... i giuramenti bisogna rispettarli... i morti vedono anche da morti... »
Ma poi un giorno, un giorno che lei non se l’aspetta, ecco il Carlo che batte alla finestra — Carlo ha la faccia, le mani, i vestiti di quel tranviere che la guarda tutti i giovedì e i venerdì — e le dice che la vuole sposare anche se i morti non vogliono. E lei dice di no, che non deve, che non deve... Ma sempre più adagio e poi alla fine si lascia stringere fra le braccia e allora scrive a casa e dice che lei è felice e non farà più la bambinaia e solo le dispiace lasciare il piccolo dei padroni che è tanto caro e vuol più bene a lei che alla madre e la madre è gelosa.
* * *
Poi venne un ragazzetto che raccolse il foglio spiegazzato:
« Ciocia è malatta e dice che non vuole alsarsi... ».
Ma il ragazzo ha altri pensieri per la testa. Gli hanno insegnato un nuovo modo di contare che gli va proprio a genio: onzi, donzi, trenzi, quari, quarenzi, mele, melucce, riffe, rafie, ceci. E bisogna saper contare in fretta avanti e indietro. Ceci, raffe, riffe, melucce, mele, quarenzi, quari, trenzi, donzi, onzi. Domani lo insegnerà a scuola al suo compagno di banco. « Ciocia è malatta e dice che non vuole alsarsi ». Non sa nemmeno scrivere questo asino. Malata si scrive con una t.
Straccia il foglio in tanti pezzettini e li passa da una mano all’altra: onzi, donzi, trenzi... Quando arriva al dieci non sa come continuare. Allora, per distinguere la prima decina dalla seconda accompagna ogni numero con un suono gutturale: onzi gh, donzi gh, trenzi gh, quari gh, quarenzi gh. E intanto s’è abbracciato un ginocchio come fosse un enorme cesto.
Adriano Grego.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 27.06.34

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Citazione: Adriano Grego, “Un foglio di carta,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1648.