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Titolo: IL MONDO E IL LIBRO: ricette per la creazione letteraria

Autore: Aldo Sorani

Data: 1931-09-23

Identificatore: 166

Testo: IL MONDO E IL LIBRO

Ricette per la creazione letteraria

Sta suscitando molte discussioni, in questi giorni, il discorso che John Galsworthy ha tenuto ad Oxford sull'ispirazione artistica e il metodo del lavoro letterario. Il Galsworthy ha detto che, quanto a lui, l’ispirazione e il lavoro sono una espressione facile e quasi spontanea del subcosciente, il quale fa fluire sulla pagina dello scrittore-medium la serie dei personaggi e delle scene, senza che egli si affatichi in alcun lavoro preparatorio o soffra le ambagie e le febbri d’una gestazione tormentosa Il celebre romanziere della Forsyte Saga si siede sulla sua poltrona, accende la sua pipa, e il racconto dei casi e la descrizione degli ambienti dei suoi personaggi scorrono dalla sua penna sulla carta con spontanea naturalezza. Il Galsworthy è certo uno scrittore facile ed abbondante e la fotografica evidenza della sua prosa non rivela certo alcun travaglio eccessivo; ma è probabile che, da vecchio gentleman e da buon erede del gelido riserbo vittoriano anche nel campo della letteratura, egli abbia voluto nascondere il miglior segreto della sua fatica di romanziere e di drammaturgo. Tuttavia non è mancato, neppur questa volta, qualche ingenuo principiante il quale, avendo avuto notizia del discorso del Galsworthy, ha pensato che veramente bastasse, per improvvisarsi scrittori, fornirsi della poltrona, della pipa, della penna e della carta e mettersi a scrivere, ed oggi incolpa lì vecchio scrittore di non esser riuscito col suo metodo a scrivere neppure un periodo! In quanti casi il metodo del Galsworthy risulta sbagliato o inefficace e il subcosciente non funziona! Per gli ingenui principianti, sforniti dell’essenziale, cioè della vera vocazione e della vera ispirazione, la creazione artistica resterà sempre un miraggio e un mistero ed essi saranno destinati a soffrire, come, ma in ben altro senso, dové soffrirla un Mallarmé, rangoscia della pagina bianca... Come nasce un libro, non dall’officina tipografica, ma dalla penna e dal cervello d’uno scrittore? In ogni tempo un numero stragrande di ingenui principianti se lo sono domandato e lo han domandato agli scrittori stessi. Nessuna meraviglia che talvolta qualcuno di questi scrittori si sia fatto beffa di chi chiedeva loro la ricetta giusta per riuscire a scrivere un romanzo, un dramma o una semplice novella. Una delle più amene di queste ricette la ammanili un giorno il novelliere americano O. Henry, in una lettera di canzonatoria risposta ad un ammiratore che gli aveva chiesto l’esatta prescrizione per comporre un racconto. « Procuratevi innanzi tutto una tavola da cucina, una seggiola di legno, un blocco di carta da scrivere, un lapis e un bicchiere. Questi sono i piccoli puntelli. Procuratevi poi una bottiglia di whisky e degli aranci, che chiamerò il vero sostegno. E veniamo ora alla trama, frequentemente detta l’ispirazione. Combinando un po’ di succo d’arancio con un po’ di whisky, l’autore beve alla salute di tutti i direttori di riviste, affila il suo lapis e comincia a scrivere. Quando gli aranci son tutti spremuti e la bottiglia è asciutta, una novella vendibile è pronta per la spedizione! ». La ricetta era quella usata veramente da O. Henry, ma seguendola a puntino, l’ammiratore principiante sarà riuscito tuffai più ad ubbriacarsi, mentre O. Henry riusciva a scrivere delle novelle.

I pessimi recensori e la pubblicità editoriale

La piaga dei pessimi recensori e delle recensioni universalmente ed ampollosamente elogiative sembra diventata così pericolosa in America che un’autorevole rivista letteraria degli Stati Uniti ha creduto opportuno di render noto ancora una volta — dopo alcuni anni che essa vien pubblicando le più oneste ed accurate recensioni possibili — quale sia il suo «credo» recensionista. « II serio recensore — essa scrive tra l’altro — deve essere un competente nella materia di cui tratta il libro, ma non deve essere solo il portavoce di una scuola critica o lo sfruttatore della sua personalità e della sua animosità.

« Il buon recensore deve essere un cercatore della verità, non un partigiano e non deve servirsi del libro di cui parla solo per sfoggiare la sua erudizione o condurre le sue polemiche personali. Il buon recensore deve scriver semplice e chiaro e as solvere il suo còmpito, che è preci puamente quello di render conto al lettore del contenuto del libro, degli scopi che l'autore si è proposti e di quelli che ha raggiunti e del suo va lore non solo in sè, ma anche in re lezione agli altri lavori che lo hanno preceduto nel suo campo... ». «Credo » ovvio, che par strano debba es sere ripetuto, alla marea dei recensori, resa più temibile dall’insegnamento pratico di appositi « manuali del recensore », apparsi in America per la produzione in serie di sempre nuovi critici, è necessario di tanto in tanto opporre queste vecchie dighe di luoghi e di avvertimenti comuni. E’ certo che alla disistima che il pubblico comincia ad avere per le elucubrazioni dei recensori dozzinali e non dozzinali e al conseguente allontanamento di questo pubblico dal libro contribuiscono le follie recensioniste che si svariano in banalità ditirambiche, sempre ben viste da certi editori, ma traditrici per i lettori. L'incompetenza dei recensori è dannosissima, ma più dannoso l’entusiasmo orgiastico di cui fan prova i critici da strapazzo, che su giornali e riviste scoprono ogni giorno un capolavoro e gridano ogni giorno al miracolo letterario e ogni giorno salutano « il più grande libro dell’anno ». Tuttavia il reclamismo americano applicato alla let teratura non è un fenomeno solo di oggi e solo imputabile agli Stati Uniti. A quando a quando, e si potrebbe dire di dieci anni in dieci anni, quella che è stata chiamata fin dalla seconda metà del secolo scorso « In frode delle fame letterarie usurpate e create a base di pubblicità » è rimessa sotto processo e critici degni cercano di mettere in guardia i lettori contro i suoi nefasti. Già trenta anni fa Arthur Symons poteva divertirsi a riferire i sesquipedali giudizi elogiativi che la stampa inglese più autorevole dava di certi autori che egli non aveva mai letti, ma che erano fatti passare per classici immortali, per creatori incomparabili, per romanzieri che avevano ascese le cime raggiunte solo dai più grandi maestri dell'immaginazione! E si trattava di scrittori già morti prima di morire. Ma oggi, il commercialismo editoriale aiutando più di prima, la piaga s’è fatta più virulenta e meno sopportabile, e l’iperbole su l’iperbole, la rodomontata su la rodomontata sembrano divenute legge e costume, soprattutto nei paesi in cui il richiamiamo sfrontato ha invaso anche i campi dell’arte e del la cultura. Una quindicina d’anni fa, Max Beerbohm, in suo saggio delizioso, si domandava perchè mai gli editori non imitassero i salsicciai: « Il salsicciaio che vende filze di salsicce non pretende che ogni salsiccia sia in se stessa notabile. Non ci assicura che questa è una salsiccia che dà furiosamente a pensare o che questa è una salsiccia singolarmente bella ed umana o che questa è indubbiamente la salsiccia dell’anno. Che cosa non si domanderebbe Max Beerbohm, a questo proposito, al giorno d'oggi? Ma oggi egli è qui tra noi, in Italia, dove la piaga non si avverte nemmeno e dove i nostri poveri editori sono accusati di non fare quasi nessuna pubblicità e di abbandonare i loro libri e i loro autori all’oblio.

Il libro che si può leggere sei volte

All’inizio della sua opera postuma, or ora pubblicata in ristretta edizione, Apocalisse, D. H. Lawrence sostiene che un libro vive sino a che esso non è stato compiutamente soppesato, misurato e penetrato, e poi muore. E’ incredibile — egli dice — come un libro sembra diverso, riletto a qualche anno di distanza dalla prima lettura. Alcuni libri sembrano assolutamente diversi, tanto che verrebbe fatto di chiedersi se essi siano proprio gli stessi. Un libro vive sino che ha la potenza di sorprenderci e di commuoverci diversamente. sino a che è differente ogni volta che lo leggiamo. Noi, moderni, dato il diluvio di libri vuoti ed inutili che ci subissa e che restano esauriti ad una prima lettura, tendiamo a credere che ogni libro sia lo stesso, finito in una lettura. Ma non è così e lo riapprenderemo a poco a poco. La vera gioia d’un libro è nel rileggerlo ancora ancora e nel trovarlo sempre diverso, sempre con un altro significato, un altro livello di significato. E’ al solito, una questione di valori: siamo oppressi da quantità di libri, tanto che difficilmente realizziamo ormai che un libro può essere una cosa di valore, come un gioiello o un bel quadro in cui voi guardate più a fondo, più a fondo, ottenendone ogni volta una più profonda esperienza. E’ meglio, molto meglio, leggere un libro sei volte, ad intervalli, che leggere sei libri diversi. Perchè, se un dato libro può invitarvi a leggerlo sei volte, esso vi darà ogni volta una più profonda esperienza e vi arricchirà tutta l'anima. Mentre sei libri letti solo una volta sono soltanto un'accumulazione di interesse superficiale, quantità senza vero valore... Cosi, negli ultimi giorni della sua vita, D. H. Lawrence spiegava a se stesso la sua rilettura della Bibbia, la sua riinterpretazione dell'Apocalisse.

Aldo Sorani.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 23.09.31

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Citazione: Aldo Sorani, “IL MONDO E IL LIBRO: ricette per la creazione letteraria,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/166.