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Titolo: Libri della settimana

Autore: Non firmato (Lorenzo Gigli)

Data: 1934-08-15

Identificatore: 1934_345

Testo: Libri della settimana
Campanile e Chiarastella
Chiarastella, un bel nome da tarda eroina romantica: sarebbe piaciuto ai Prati e all'Aleardi. È piaciuto, ora, ad Achille Campanile; il quale non se ne è servito per dichiarare, diciamo così, lo « stato civile » psicologico d’una protagonista destinala ad essere centro Ai chi sa mai quale dramma passionale o quale tenero idillio; ma lo ha messo in fronte ad un curioso personaggio maschio, una specie di capitano di ventura novecentesco. Perchè Chiarastella (ed. Mondadori, Milano 1934 - Lire 10) è il romanzo d’un uomo. Campanile l’ha conosciuto un giorno, sull'ora del tramonto, in pieno deserto. Mentre sta guardando l’orizzonte e almanaccando poetici pensieri, sente improvvisamente gridare: « Si tolga di là, presto! ». È Chiarastella, l'uomo di tutti i continenti, il reduce da tulle le imprese, che non vuol compagni in quel momento perchè « se c’è lei, questo non è più un deserto ». La ragione è irrefutabile. Campanile li per lì obbedisce e si nasconde; ma poi, scesa la notte, attacca discorso con Chiarastella e ne riceve le incredibili confidenze. Donde il romanzo: la canzone di gesta di quest'ultimo epigono dei grandi avventurieri, il monumento comico e varodistico di questo tenacissimo coltivatore di sogni sotto le più diverse costellazioni. Qui l’umorismo campaniliano fa le sue prove a piena orchestra; la risata sbotta fragorosa ad ogni passo, i più vieti e consumati motivi della narrativa avventurosa vengono con semplice meccanismo rovesciati per ottenere situazioni senza precedenti.
Si sono incontrati, Chiarastella e Campanile, sulle dune sahariane, ma è come se si fossero visti un momento da Pancaldi o sulla rotonda del Lido.
— E così lei se ne è venuto nel Sahara. Bravo, bravo. Si trattiene molto?
— Tutt’altro. Sono di passaggio.
Due giorni appena.
Si comincia con un paio di battute d’ordinaria conversazione e si entra subito nel pieno d’una materia densa d’imprevisto, di strano, di magnetico messi a servizio della comicità. Cento volte ti vengono sulle labbra i nomi di celebri personaggi del romanzo d’avventure, fai la spola tra Defoë e Giulio Verne, ti appoggi da un lato alla letteratura classica di viaggio e dall’altro alle tigri di Monpracem, ti vengono in mente certi paesaggi settentrionali alla Negri e certe interpretazioni del costume orientale alla Sassetti; sei sbalestrato dal regno della fiaba e dell'assurdo al dominio della realtà più concreta; per ritrovarti infine sul terreno campaniliano, all’insegna cioè della fantasia comica e lirica che rappresenta la doppia faccia della musa del nostro « beneamato romanziere ». Non c’è impresa di Chiarastella, caso della sua movimentatissima vita, deformazione umoristica della sua sete di ignoto e del suo culto dell’ideale eroico sui quali non sbocci, insieme con la risata, il flore della nostalgia e non si sciolgano gli accenti più gentili e candidi. L’avventura, intanto, batte il suo pieno, si profilano le più tentanti apparizioni, si discoprono panorami di strane contrade abitate da stranissime genti, i cui modi di vivere d'amare e di morire appartengono alle riserve del racconto meraviglioso che mettono capo a donata Swift.
Non si fa questo gran nome senza sottintendere, da parte del Campanile, un completo abbandono al fantastico sorvegliato da un rigorismo logico che riduce il più sorprendente e bizzarro dei casi ad una situazione spiegabile, accettabile e verosimile. Dal momento che Chiarastella si mette a raccontarci la sua. esistenza sino al momento della sua straordinaria morte in musica facciamo credito al personaggio su tutto e su tutti. Ci si fida a occhi chiusi, pur mentre si ride di. lui. Ma la formola dello Swift è volta dal Campanile apertamente al comico; e se la fiaba di Chiarastella conserva l'elettricità del mondo strano che le dona i suoi colori, rinuncia alla funzione puramente lirica o decisamente satirica e moraleggiante per diventare un repertorio di uscite brillanti e assumere il tono della parodia.
Si ritorna, con questo romanzo, all'umorismo campanilesco integrale. Che, sappiamo, non esclude, anzi implica, i momenti lirici e patetici più delicati, la vena nostalgica e sentimentale. E citeremo per tutti, nella parte che è forse la più bella ed equilibrata del romanzo, intitolata ai « naufragi di Chiarastella », il capitolo sull’isola dei vecchi, d'un umore patetico e d'una sostanza umana scoperti.
Ma il romanzo è divertente dalla prima all'ultima pagina; le trovate s’inseguono, il rosario delle sorprese non si esaurisce. Avviene anche ad Achille, talvolta, di dormicchiare; ma ci compensa subito con nuove e più sorprendenti evasioni dal limitare della realtà ai domini della fantasia e del grottesco. E le trovate deboli o comuni non incrinano il tono cristallino, aereo della fiaba. La quale pesca fino nel regno degli animali parlanti e delle personificazioni. Si veda questo « ritratto » di rinoceronte: «... in generale i rinoceronti sono molto seri. Se ne vanno col loro berrettino, ad accudire agli affari. Non ne ho visti mai trastullarsi per via. Sempre in grigio, correttissimi, non fanno mai parlare di sè ».
Possiamo riconoscere qui una delle facce di Campanile; ma se nei romanzi precedenti l'isolare l'una dall’altra era abbastanza facile, in Chiarastella la contaminazione dei motivi comici e lirici è continua; e come esempio che ci sembra tipico indichiamo la storia di Barberina nel primo capitolo della « passeggiata per l’Africa ». (Ad un umorismo meno riservato, quasi realistico, giova invece l'annessione di alcuni temi derivati dall’attualità, come la polemica letteraria di forma e contenuto, la crisi del teatro, l'eterno teorizzare degli economisti, ecc. ).
Se una moralità s'ha da ricavare dalle bizzarrie campaniliane è questa, che per quanto la fantasia ci si metta la natura la supera sempre: «... la natura è piena di misteri. Il poco che sappiamo deriva dal fatto che essa ci ha mostrato che si regola in un certo modo, ma nulla vieta che possa anche regolarsi diversamente. Quando lo facesse, tutto quel che farebbe ci sembrerebbe logico e naturale, anche se fosse l’opposto delle cose che ora ci sembrano logiche e naturali ». E poi: « Certo la, varietà e la ricchezza della natura sono infinite. C’è tutto e c’è posto per tutto. Anche per le concezioni assurde. Se a un artista vien fatto di concepire qualcosa assolutamente fuori della realtà è della verosimiglianza; se concepisce immagini che non stanno nè in cielo nè in terra, come suol dirsi, non si preoccupi: nella Natura queste cose esistono già. Non c’è idea umana, per quanto sballata, che la Natura non abbia già avuto ».
È una dichiarazione di principio che si può sottoscrivere molto tranquillamente.
Ragazze di Tokio
Tokio è una tappa del viaggio estremorientale di Ercole Patti (Ragazze di Tokio — Ed. Ceschina, Milano, 1934 -L. 12) e le ragazze dagli occhi a mandorla un motivo decorativo del libro, che non è una delle solite raccolte di articoli e corrispondenze d'un viaggiatore provvisto di quel tanto d'intelligenza e di abilità che gli permette di descrivere agli altri ciò che ha veduto, ma un diario personale, un giornale di bordo, infine un « invito al viaggio « nel senso fantastico e, direi, musicale della locuzione. Perchè ci sono nel libro di Patti, larghe introduzioni sinfoniche e temi che ritornano e si sviluppano, concertati e fughe, una orchestrazione eccellente. E l’impressione complessiva che si ricava dalla lettura è che pur essendo venuto dopo tanta gente che ha voltato e rivoltato l'Asia in tutti i sensi e ce l'ha descritta con obiettività o con passione, con precisione fotografica o con tendenze alla cromolitografia, con scrupolo documentario o con esaltazione romantica, il Patti ha saputo vedere con occhi suoi, d’italiano d’oggi, in perfetta tranquillità di spirito e quindi senza nessuna presa di posizione preventiva nei confronti del cosiddetto mistero millenario del mondo asiatico dal quale discendono le formale e formolette (ex Oriente Lux, il pericolo giallo, l’incognita cinese, ecc. ) che impressionano la mentalità piccolo-borghese. Motivo per cui la iniziale serenità di Patti diventa subito una chiave: ed ecco che le cose ch'egli scrive sul Giappone sono d'una chiarezza e d'un buon senso così perspicui che ci si meraviglia che altri non ce lo abbia presentato prima di lui con altrettanta confidenza. Anche gli episodi coi quali il Patti movimenta i suoi capitoli non sono episodi strettamente pittoreschi, ma probanti; si direbbe che siano scelti per risparmiare al lettore la fatica d’un ragionamento o d’una dimostrazione e giungere così, in letizia, alle medesime conclusioni. Col suo fare svagalo, il suo periodare sintetico, le sue spruzzatine d'umorismo vaporoso, il Patti sviscera senza darsene l'aria gli aspetti del mondo asiatico, uno dopo l'altro; e se tredici capitoli del libro sono dedicati al Giappone, con visita al Fusijama, un giorno a Kioto e una sosta nell'isola di Kiusciù, le altre tappe si chiamano Sciangai e Hong-Kong, Ceylon e Bombay, insomma tutto quel móndo in convulsione, dalla Cina alla Malesia e all'India, che avrà gran parte nella imminente storia del mondo. I lettori della « Gazzetta del Popolo » che ricordano le corrispondenze asiatiche di Ercole Patti le ritroveranno con piacere riunite in questo eccellente volume.
(Dis. di Vellani Marchi).

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 15.08.34

Citazione: Non firmato (Lorenzo Gigli), “Libri della settimana,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 17 maggio 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1710.