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Titolo: Patria azzurra

Autore: Adriano Grande

Data: 1934-09-12

Identificatore: 1934_374

Testo: Patria azzurra
I.
Allineati lungo le pianure
tra gonfaloni di pioppi e betulle
io, nell'infanzia, i gelsi
che non han braccia per tener le nuvole, miti custodi di grani e di fieni
prima del mare appresi: e prima ancóra
nude montagne senza voci d'acque.
Ampie distese digradanti scorge l'intima vista, e crete spaccate. Spari e tonfi di mortaretti riòdo: e trasalgo.
Squilli e richiami nel sonno sempre m’annunciano mattini aprichi; battono contro i vetri senza imposte cristallini rintocchi di campane a festa.
Donne nel solleone, salmodianti col viso a terra o con le braccia tese ad invocare un Santo che vacilla sopra schiene ricurve, una paura sacra mi rinnovano: ma la sperde il color dei fiordalisi tra il grano alpestre, o il ràpido fuggir d'una lucertola s'un muro.
II.
I fiati che di maggio
corrono l'Appennino, e alle vallate
insegnano l'odore
delle ginestre intenso e il dondolare lento dei rami nuovi sugli ontani, m’avevano promesso altro destino che quello di vedere all’orizzonte svanir le vele o balenare, a tratti, terre mirabolanti.
Un bambino non ero: ero un nocciòlo
o un faggio, meno saldo
degli altri, che ancor bianche
e tenere radici diramava
sotto il morbido musco, nella terra
umida e rossa, odorosa
di linfe come una carne materna.
Alle mie fronde intatte
solo giungeva l'eco del litigio
che i marosi propagan sino ai monti:
ma inconsciamente, pe ’l lontano affanno
delle vite corrose dal respiro
marino, anch’io talvolta
tremavo.
III.
Poi, venni alla città ch’oggi mi vince e m’esalta di sé, porto del mondo dove le pietre hanno una disciplina d'alberatura e di foresta, e il cielo è navigato da palazzi e templi simili a bastimenti: e tutto è detto per sempre.
In me da lei discese, nei pensieri puerili, quel che tardi
ritrovo, gusto dell'eternità
che in te si spense, o mia Liguria, al vasto
e informe dubitar delle marèe.
A lei tornato vibro nel suo coro, non più persona, tra altre voci voce indefinita: e sento che un antico volto di pace e di fermezza affiora, uguale ad altri di padri e fratelli leggendari e sicuri, su dalle ombre della mia segreta e più dispersa vita.
IV.
Ma ora, che di nuovo sei distante, Liguria, mi rivolgo a te come nei chiari sogni che lo sfamano, stupito dincontrar tanta bellezza che non sapeva, riscopre la sua terra l'emigrante.
Alle tue palme, ai brevi tuoi pensili giardini recano ardor di febbre orientale i vènti oltremarini; e tra gli ulivi, nell'albe, la tua aria s’accende d'una vaga stupefazione ed imita l’allucinata luce delle favole.
Cieli nervosi, precipizi d'onde senza una fine, nubi sempre in fuga: nulla di fermo dicono al ricordo le tue giornate, benché una tristezza pesante m’ormeggiasse alle banchine protese e alle scogliere pungenti; e nel mio sangue giovinezza cedesse a innaturale vecchiaia.
V.
Soltanto adesso quel male ho capito: ero sul ponte duna nave immobile, tutto intorno chiamava, io non potevo salpare.
M’avvisava
l'istinto, più d'ogni speranza giusto, che abbandonare le tue caste rive quasi creature all'abbraccio dei vènti non m’avrebbe recato a più suadenti bellezze, a verità più vive.
Idoli ostili o inerti, troppo della mia fame d'armonia
diversi, reggon le terre in fondo ai mari immensi, dietro i monti giganti: e sarei morto per la nostalgia di questa patria azzurra ove gli Dèi scendono sempre, certi e affabili, tra gli uomini mortali e il finito misura l'infinito.
Adriano Grande.
Roma, settembre XII.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 12.09.34

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Citazione: Adriano Grande, “Patria azzurra,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1739.