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Titolo: Interno

Autore: Luigi Volpicelli

Data: 1934-10-10

Identificatore: 1934_411

Testo: Interno
Il signore obeso, sfinito da quel trotterellare, rallentava il passo sugli ultimi scalini del sottopassaggio, quando fu investito dal fragore improvviso del diretto che sopraggiungeva: battè le palpebre, riprese fiato e di nuovo a passettiri di corsa raggiunse la folla assiepata. Abbandonandosi addosso alle persone con tutto il peso del corpo lavorava cauto di gomiti; e giacché, come avviene, qualcuno, pur non rivolgendosi direttamente a lui, protestava di quel pigia pigia, egli atteggiò un viso melense da ingenuo che non ha colpa d’essere così grosso, ma coi gomiti continuò nell’intento. Era preoccupatissimo di dover fare il viaggio in piedi. Salito su, fra la ressa di chi voleva passare di qua e di là, senti mancarsi il respiro: pure riuscì ancora a traversare due o tre vetture fino a quelle di coda, più libere e non ancora invase dalla folla. Finalmente trovò uno scompartimento quasi vuoto: entrò difilato e si sedette.
Dall’altro lato del divano c’era una ragazza, che guardava dal finestrino la stazione affollata; di fronte a lei un uomo vestito di grigio, tuffato nella lettura di un libro giallo. Nessuno dei due si volse per vedere chi fosse entrato, né egli si curò di loro, intento a occhieggiare fuori della porta, ora, che non entrasse altra gente a ridurgli il posto. Avrebbe voluto dividersi in quattro. I viaggiatori passavano spediti guardando in giù, verso il fondo della vettura, dove speravano di trovare scompartimenti più comodi. Passò anche un sottufficiale aviatore, sbirciò dentro di sfuggita e continuò: ma fatti pochi passi si volse indietro.
Perché fosse tornato gli si leggeva negli occhi: con un sorriso aveva di già valutato la presenza della donna. Si rivolse proprio a lei: « Ci si può sedere qui? », é indicava il divano di fronte, accanto all’uomo che leggeva. Questo levò per un attimo il viso dal libro, guardò i due nuovi arrivati e si rimise a leggere. Che cosa avesse risposto la donna o se pure avesse risposto, il signore grasso non avrebbe saputo dirlo. La domanda cortese e scaltrita di quel ragazzo lo aveva umiliato. Egli, vinto dalla mole del suo corpo, non ci aveva pensato a insinuarsi così abilmente, con un pretesto tanto semplice e logico: si dice poi, alle volte, che il fisico non c’entra! E di sottecchi si diede anche lui a guardare la donna, ancora voltata di là. Pareva avesse un bel personale e belle erano le mani poggiate morbidamente sulle ginocchia, su un libro aperto alle prime pagine. Era un romanzo giallo anche quello: senza sovracoperta, però. Gli occhi, quasi ricercandolo per proprio conto, si volsero su l’uomo. Era accanto a lui. Improvvisamente tornò a riguardare le inaili della donna. Già, anch’ella aveva la fede. Era quasi nascosta dall’abbaglio d’un anello di brillanti. La fede dell’uomo, invece, stava nell’anulare, semplice e nuda còme la corona ferrea.
Ah! sono sposi di fresco. Leggono dei libri gialli, come se non si conoscessero, per non dare sull’occhio. Ma certamente sono in viaggio di nozze. Sì, sì, sono in viaggio di nozze. Vanno a Roma usufruendo del ribasso. E guardò meglio il marito. Era palese. Indossava scarpe vestito camicia cravatta nuovi di zecca. Le donne sanno mascherare meglio la data dei loro vestiti: anche perchè l’hanno sempre il vestito nuovo. Ma l’uomo quando ne indossa uno è come il bimbo che ha rubato lo zucchero: gli si legge da tutte le parti.
E perché allora vanno in seconda? Pare gente molto per bene. Con un’occhiata alle valigie si confermò che erano di cuoio. Perché vanno in seconda?
Una nuova amarezza contristò il signore grasso. Facevano bene. Era gente pratica e schietta. Perchè viaggiare in prima, quando poi, dopo il viaggio di nozze, tutti prendono la seconda? Quella franchezza pareva che fosse un rimprovero diretto a lui. Ed ammirò il marito che aveva saputo comprare biglietti di seconda e libri gialli. Si dovesse seccare del suo sguardo insistente? Distolse gli occhi, si rigirò sul divano e s’imbattè nel sottufficiale.
Il giovane s’era di già avveduto di tutto quello che al signore grasso era costata tanta indagine: aveva negli occhi un sorriso rassegnato. Si alzò, uscì pel corridoio, in cerca forse di qualche altra avventura: poco dopo tornò. Riguardò i due sposi, legandoli in un solo giro d’occhi, si sedette e in un attimo dormiva come un fanciullo stanco.
Il signore grasso cercò di dormire anche lui, ma non aveva sonno. Ogni tanto riapriva gli occhi e gettava uno sguardo pigro sulla terra coperta di neve.
Ad un tratto il marito si alzò e sedette accanto alla donna. Egli aveva quasi finito il suo libro: la donna non era riuscita a riprenderlo. Egli le diceva sottovoce qualcosa: ella rispondeva sommessa, quasi a cenni, senza guardarlo.
Eh! non ha la mente di leggere. Impigliata chissà in quali pensieri, come può farsi strada per stare a capire quello che legge? Tu, invece, fili sicuro e sgombro! e facendosi un po' avanti con la testa, il signore grasso riguardò le gambe della donna; Povera figlia, che bella ragazza!
* * *
Ad una stazione, il treno si fermò: sali una signora con due bambini. Era una donnetta stanca, si vedeva, nervosa con un profilo tagliente e due manine esili esili. Entrò dentro gridando: « Bisognerà sedersi anche noi, no? ». L’aveva forse con la gente dell’altro scompartimento.
• Il marito conservò il suo posto accanto alla moglie e lasciò libero alla donna il divano di fronte, dove era l’aviatore. Il più piccolo dei bambini montò rapido accanto al finestrino e si mise a guardar fuori. L’altra, era una bambina, più grandicella, sembrava di cristallo e portava in una manina, come un calice, quattro garofani rosa di un colore sbiadito e tenue. Si sedette, appoggiò il gomito sul bracciolo che divideva in due il divano, preoccupata di non sciupare i suoi fiori. La madre ravvolta nel cappotto cercò di distendersi un poco e subito chiuse gli occhi.
Il sottufficiale, senza muoversi, guardava con un occhio socchiuso i due sposi e aveva un’espressione viziata di ironia. Poi si riaddormentò.
Passati i monti e i trafori, il treno correva libero per la pianura senza neve.
Entrò il controllore. Il signore grasso ebbe un senso di disagio: pare sempre che i biglietti non debbano essere in regola, che debba venir fuori qualche seccatura; ed è una specie di scrutatore dei lombi il controllore, al quale bisogna dir tutto quello che non si vorrebbe dire: donde si viene e dove si va: nel biglietto a riduzione legge anche chi siamo, qual è la nostra professione, capisce perché si viaggia. La signora con i bambini, chissà, aveva perso il treno o aveva deviato: per quella via inusitata si recava all'Aquila. Dev’essere la moglie di qualche impiegato, pensò il signore grasso. E solo allora si accorse che le calze di lana della bambina avevano un rammendo. Il controllore ritto innanzi a lui esaminava il biglietto della coppia; egli potè leggere: sposi. Li guardò di nuovo: ma il marito nemmeno questa volta si curò di lui: riconsegnò alla donna il biglietto perchè lo conservasse e riprese a leggere.
Ormai s’avvicinava Firenze. L’annunciavano le collinette coi cipressi ritti sulle piccole cime. L’uomo chiuse il libro, tolse di mano alla donna il suo, raccolse i giornali che erano in un canto, sistemò tutto in ordine dentro una borsa di pelle. Una idea improvvisa balenò in mente al signore grasso: scenderanno a Firenze? Incominciava ad imbrunire. Certamente che scenderanno a Firenze: a Roma non si arriva che a mezzanotte. Possibile che s’avventurino in cerca di alberghi a quell’ora? Scendono a Firenze...
Ma il marito era tornato a sedersi: la donna guardava fuori del finestrino, il sottufficiale dormiva. La bimba si era assopita: e i fiori scivolatile di mano erano caduti a terra. Il signore grasso li considerò dispiaciuto. Il bimbo, stanco di guardare dal finestrino, voleva stendersi e spingeva la madre. La donna si svegliò, irosa e gli tirò i capelli: egli s’abbandonò ad un pianto muto. La madre dovette leggere negli occhi del signore grasso un rimprovero: finse di riaddormentarsi, ma si scostò, facendo un po’ di posto al piccolo.
Gli sposi scendono a Firenze. Infatti, fermatosi il treno per aver trovato disco chiuso, l’uomo si alzò, si rassettò, mise la sciarpa. La donna guardava ostinatamente fuori del finestrino, egli la costrinse ad alzarsi, ad abbottonarsi il cappotto: le dette la pelliccia di petit-gris. Ora che era in piedi apparve proprio una creatura meravigliosa. Il signore grasso, senza nemmeno volerlo, corse con gli occhi subito alle caviglie. La donna indugiava. Sotto la pelle del volto la si vedeva vibrare. Come avvertito, il signore grasso si volse al giovane aviatore. Aveva aperto gli occhi e con un discorso muto raccontava sfacciatamente dove sarebbe andata la donna e quello che avrebbe fatto. Ella non lo guardava, ma non poteva più reggersi: si sentiva ravvolta da quello sguardo. Il signore grasso pensava: povera figlia! si capisce! ormai sta per incominciare davvero la vita coniugale; finora, in treno, era come ci fossero stati ancora i parenti che l’hanno accompagnata alla stazione: ma via di qui è proprio sola, con suo marito.
L’uomo aveva portato fuori una valigia mentre il treno riprendeva la marcia. Ella s’è riseduta, s’è sciolta di nuovo la pelliccia, è leggermente arrossata. Il sottufficiale non la lascia più con quel suo sguardo. Ha negli occhi sgranati di bimbo un sorriso confidenziale e impertinente. La donna si vede che non può resistere, che pur non guardandolo si sente bruciare da quello sguardo. Ad un tratto alza gli occhi, dura e ferma s’affissa sul giovane. Egli resta a mezzo con il suo muto discorso: non sa più andare avanti: abbassa gli occhi. La donna è libera, ma lo sforzo l’ha estenuata; si ritoglie la pelliccia, si leva i guanti, come potesse essere ancora lontano quel momento Oscuro e solenne. Il treno, invece, entra rombando nella stazione tumultuosa e si ferma. Prima ancora che ella abbia potuto alzarsi al richiamo del marito preoccupato delle valigie, una folla di gente che scende e che Sale, che cerca posto, che porta via bagagli, ha invaso il corridoio e lo scompartimento. Il sottufficiale è tornato al suo muto sorriso. Tra la gente e gli impicci ella non può passare, urta, si sente stretta fra le ginocchia di chi sta seduto. E non è finito; deve tornare indietro per far luogo al marito che ha da prendere un’altra cosa. È senza respiro, è irrigidita come non volesse sentire più nulla. Il marito è uscito e le offre una mano. Ella di nuovo deve passare: le ginocchia del sottufficiale le accarezzano le gambe: tra la folla del corridoio si lascia, sospingere. Al piedi del vagone il marito s’occupa del facchino, che non abbia lasciato nulla, che si sia incollate le valigie in modo da non sciuparle. La donna s’è allontanata rapidamente, sola. Egli la cerca con gli occhi, la scorge, affrettando il passo la raggiunge, e solo ora la prende sotto il braccio, conducendola con sé giù in fondo'dov’è l'uscita.
Luigi Volpicelli.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 10.10.34

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Citazione: Luigi Volpicelli, “Interno,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1776.