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Titolo: Il fatto di cronaca nella storia letteraria: La condanna del "Santo"

Autore: Non firmato (Lorenzo Gigli)

Data: 1934-10-24

Identificatore: 1934_436

Testo: IL FATTO DI CRONACA
NELLA STORIA LETTERARIA
- La condanna del "Santo"
Ai primi di gennaio del 1903 il Fogazzaro scriveva ad Onorato Fava (la lettera, finora inedita, è stata pubblicata da Piero Nardi nella nota all’edizione Mondadori del Santo, VII volume delle Opere Complete fogazzariane): « A quanti mi chiedono conferenze rispondo di avere, per mie ragioni particolari, deliberato di non tenere più alcuna conferenza. A lei voglio dire di più. Io ho il cuore e la mente in un romanzo che deve compiere la serie di Piccolo mondo antico e Piccolo mondo moderno, e mi manca il tempo di attendervi. Passa talvolta una settimana senza che ci possa lavorare... ».
Il romanzo al quale il Fogazzaro aveva « il cuore e la mente » era il Santo. Ne stava appunto rifacendo in quei giorni i primi capitoli cominciati a scrivere nel luglio del 1901. Infatti in una lettera al Gallarati Scotti, posteriore d’un mese a quella diretta ad Onorato Fava, annuncia: « Ho finito il secondo capitolo del romanzo dopo averlo interamente rifuso, averlo occupato quasi per intero con un’adunanza e una discussione di cattolici riformatori che vanno d’accordo molto così e così. La discussione mi costò fatica e forse non è ancora definitiva. Invece scrissi stanotte di un flato la fine del capitolo dove Jeanne Dessalle scopre che non il frate ma l’ortolano del monastero è Maironi. Adesso è lui che m’occuperà ». Pochi giorni dopo: « Il secondo capitolo è finito e sto lavorando al terzo. Per maggio e giugno medito un breve soggiorno a Subiaco ». Due anni dopo il romanzo era ancora in cantiere, ma stava per essere varato. Il Fogazzaro mise la parola « fine » in Roma il 9 marzo del 1905.
Terzo romanzo del ciclo, il Santo. Ma l’autore al ciclo pensava scrivendo il primo, Piccolo mondo antico? « No, non pensavo neppure che dopo ne avrei continuato in qualche modo la vicenda », dichiarò il Fogazzaro in un’intervista. La maternità di Luisa che chiude Piccolo mondo antico gli offrì più tardi l’addentellato a Piccolo mondo moderno, a metà del quale l’azione gli si allargò e il Fogazzaro si avvide che un nuovo romanzo era necessario per l’unità del protagonista.
* * *
Il Santo era già promesso in nube nell’ultimo periodo del Piccolo mondo moderno. Ma il primo titolo del nuovo romanzo fu un altro, che l'autore, riallacciandosi alla visione che Piero ha in chiesa mentre nel manicomio la moglie agonizza, pensò di intitolarlo appunto La visione.
Nessun’altra opera del Fogazzaro fu seguita nella sua formazione da così crescente interesse, da indiscrezioni, supposizioni, interpretazioni più o meno autorizzate. Articoli e interviste piovevano sui giornali cattolici e sugli altri; si sapeva o si intuiva che il romanzo avrebbe fatto chiasso, provocato polemiche, turbato le alte sfere.
Il romanzo comparve in libreria il 5 novembre del 1905 nell’edizione di Baldini e Castoldi; e già il giorno 4 era uscito nel Piccolo di Trieste il primo articolo di recensione; e altri, a firma dei critici più autorevoli, uscirono la mattina del 5, tutti in tono favorevole. Ma le voci discordi si fecero sentire subito. Primo fu Innocenzo Cappa con un articolo nella Vita Internazionale, la rivista di Teodoro Moneta; e l’8 novembre gli veniva di rincalzo Vincenzo Morello nella Tribuna con tre colonne di requisitoria. La polemica era matura. Si propagò subito dalla stampa ai pulpiti e alle cattedre, contribuendo naturalmente al successo del libro, che intanto veniva segnalato anche all’estero interessando alle sue idee uomini come Teodoro Roosevelt, Alfredo Croiset, lo Stead, Gabriele Hanotaux. In Italia, le violenze di sinistri e di destri non si placarono. « Certi attacchi — scriveva il 13 novembre il Fogazzaro a monsignor Bonomelli — li volevo, ma, specialmente i massonici, furono violenti ultra spem ». Bisogna aggiungere che anche da parte clericale non si scherzava, si analizzava il libro a punta di spillo, se ne premeva ogni frase fino a farne gemere qualche stilla di errore. « Però — avverte il Gallarati Scotti nella sua Vita di Antonio Fogazzaro — questa critica libellistica era lungi dal rappresentare l’opinione generale del mondo ecclesiastico », chè anzi il Santo trovava larghe simpatie da parte di altissimi prelati, di cardinali e vescovi, di uomini rappresentativi delle file cattoliche: il cardinale Capecelatro e monsignor Bonomelli non celavano il loro favore. Quando qualcuno cominciò a parlare di possibile condanna, parve che la voce fosse destinata a tacere. Ma verso febbraio la notizia riprese a circolare, si accennava persino alle proposizioni incriminate secondo il giudizio di parecchi teologi: le opinioni esposte nel libro circa la sorte delle anime nella vita futura, che sembravano in contrasto con la dottrina cattolica e in modo speciale col Concilio di Firenze che ha definito « le anime di coloro che dopo il battesimo non contrassero peccato o ne furono mondate esser tosto ricevute in Cielo, quelle di coloro che muoiono in attuale peccato grave tosto discendere all’inferno ». Il Fogazzaro sollecitò su questo punto il giudizio del cardinale Capecelatro; e il venerando amico gli rispose con una lunga lettera nella quale tra l’altro diceva: « Forse teologi più moderni e più sottili di me troveranno il modo di conciliare ciò che Ella scrive con tali definizioni (le ortodosse). Ma tale opinione esposta da Lei nel romanzo è quella che più di tutte mi dà ragione di temere che sia e possa essere dichiarata erronea ».
Il tono della lettera, anche se non in tutto favorevole, era tale da dar conforto al Fogazzaro nell’amarezza procuratagli dagli assalti di polemisti di terz’ordine nelle cui mani si guastava l’apologia del cattolicismo. Altra ragione di conforto gli fu una lettera riservata di Filippo Crispolti il quale gli confidava che a parere del cardinale Agliardi non sarebbero stati presi provvedimenti contro il Santo, ma che se qualche proposizione staccata dovesse apparire censurabile ad un esame minuto e preciso « si userebbe verso lo scrittore illustre e sinceramente cattolico il riguardo usato a Cesare Cantù e ad altri, d’avvertirlo privatamente perchè veda se possono farsi emende in ulteriori edizioni ».
Invece improvvisamente il 5 aprile 1906 un decreto della Congregazione dell’Indice, pubblicato due giorni dopo nell’Osservatore Romano, condannava il Santo insieme alle opere di due altri autori cattolici, il Laberthonnière e il Viollet.
Il dolore dello scrittore fu immenso. Si chiuse dapprima in un riserbo assoluto, si rifugiò nella parola silentium confidando ch’essa dicesse al mondo il carattere della sua obbedienza. Ma in realtà non bastò a dargli la pace. Il 18 aprile il Fogazzaro scriveva a Filippo Crispolti una lettera nella quale gli annunciava la sottomissione. Il Crispolti pubblicò la lettera sull’Avvenire d'Italia facendola seguire da un commento favorevole di cui era autore il cardinale Svampa, arcivescovo di Bologna. Alle approvazioni del quale seguirono subito quelle del cardinale Agliardi (« dopo la condanna del Santo, il suo silentium era d’argento ma è d’oro la lettera »), del cardinale Capecelatro (« Certamente ella ha fatto più di quanto avrebbe potuto pretendersi da un fedele cattolico »), e del cardinale Mathieu.
Ma la polemica non si placò per questo. I clericali intransigenti lo volevano escluso dalla Chiesa e lo tacciavano d’ipocrisia; gli anticlericali gli rimproveravano il suo ossequio alla Chiesa. Alla lettera di sottomissione tenne dietro un vero e proprio «caso Fogazzaro» che allagò le colonne dei giornali italiani. Il Fogazzaro era membro del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione: e del suo atto di sottomissione alla Santa Sede la stampa demo-massonica denunciò la palese incompatibilità con la carica occupata. Ci fu chi chiese senz’altro la sua destituzione per aver commesso « un atto servile » nei confronti del Papato. Articoli sui giornali, comizi studenteschi, interrogazioni alla Camera. Finalmente però il buon senso prevalse, qualche autorevole liberale insorse. « Un simile fatto, scriveva in quei giorni Alessandro d’Ancona, sarebbe una vergogna indelebile per l’Italia ». Le interrogazioni alla Camera furono svolte in un’atmosfera abbastanza calma, e la risposta del Sottosegretario on. Ciuffelli fu cauta e farisaica secondo il costume parlamentare. Egli se la cavò affermando che « non esiste nella legislazione scolastica nessuna disposizione che dia diritto al Ministro d'intervenire nei casi in parola ». Così il Fogazzaro non fu destituito. La polemica di lì a poco dignitosamente si chiuse, per parte dello scrittore, con l’autodifesa tenuta la sera del 18 gennaio 1907 alla Scuola d’alti studi sociali di Parigi sul tema « Le idee religiose di Giovanni Selva » e poi ripetuta a Ginevra.
Il Santo fu tradotto quasi subito nelle principali lingue. In America e in Inghilterra se ne vendettero centomila copie. « Centomila copie, confidava il Fogazzaro, che per la mia inettitudine a mercanteggiare non mi hanno reso neppure quello che mi rendono cento pagine sulla Revue des Deux Mondes ».
Antonio Fogazzaro ai tempi del «Santo».
Don Giuseppe Fogazzaro, zio e primo maestro dello scrittore. (È don Giuseppe Flores di Piccolo mondo moderno e del Santo).

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 24.10.34

Citazione: Non firmato (Lorenzo Gigli), “Il fatto di cronaca nella storia letteraria: La condanna del "Santo",” Diorama Letterario, ultimo accesso il 17 maggio 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1801.