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Titolo: Inchiesta mondiale sulla poesia

Autore: Non firmato (Lorenzo Gigli)

Data: 1931-10-07

Identificatore: 181

Testo: Inchiesta mondiale sulla poesia

Le prime risposte al nostro questionario

Apriamo sugli aspetti spirituale ed estetico del problema delta poesia nel mondo un'inchiesta alla quale sono chiamati a rispondere i rappresentanti più insigni dell’arte e del pensiero del nostro e degli altri Paesi. Le domande sulle quali chiediamo ai poeti e ai pensatori di tutto il mondo di pronunziarsi sono le seguenti:

1. Qual è oggi la situazione della poesia nel mondo?

2. Quali sono le sensibilità nuove che vi si manifestano, volte alla ricerca di nuova materia di ispirazione e di forme originali?

3. Esiste una nuova poesia che si ispira alla civiltà meccanica del nostro tempo?

4. Quali sono le nuove possibilità tecniche della poesia, e quale valore attribuite alla sua evoluzione che dai metri chiusi ha condotto al verso libero e al di là di questo alle parole in libertà?

Bontempelli

Inauguriamo questa nostra inchiesta originale sulla poesia in un modo originalissimo: con una confutazione dei motivi che l’hanno ispirata e dei fini che si propone; ne è autore S. E. Massimo Bontempelli, al quale non par vero di partire in quarta velocità sulla pista della polemica. Discutere e ribattere una per una le sue argomentazioni così brillanti ci porterebbe lontano; il Diorama, chiamato direttamente in causa, si limita a far notare all’illustre accademico che le catapulte della sua polemica sfondano porte ch’esso non s’è mai sognato di chiudere. Resta inteso che il termine di poesia, com’è proposto dalla nostra inchiesta, non è circoscritto a schemi e a forme fissi, ma batte le ali nei cieli dello spirilo, sotto le azzurre volte dell'ispirazione; non ci siamo mai sognati di domandare ai poeti di valersi soltanto della materia di ispirazione preparata dalla vita moderna, ma abbiamo chiesto loro se la vita moderna offre motivi d’ispirazione e quanti e quali. Se no, tanto varrebbe dire che la lirica migliore del Pascoli è l’Inno a Chavez, solo perchè canta l’audacia d’un volo! E’ pacifico che in tempi di velocità, dinamismo, conquiste scientifiche e sportive, imprese eroiche d’ogni genere, possono fiorire e prosperare eccellenti poeti pastorali e idilliaci, ai quali nessuno vuol usare la prepotenza di distrarli dalle loro fonti d’ispirazione. E poiché si parla di antichissimi miti, ecco che si chiede appunto se gli aspetti della civiltà meccanica i quali forniscono materia d’ispirazione ai poeti non possano contribuire alla creazione dei nuovi miti dell’umanità futura. Precisati questi punti, diamo il via alla risposta bontempelliana, che apporta alla discussione copia di idee sostanziose svolte con la vivacità e l’arguzia di cui l’autore di Adria non fa risparmio.

Caro Diorama,

tu vuoi farmi morire di rabbia. Vuoi trascinarmi per i capelli nella più traditora delle discussioni. E tu vuoi far ridiventare crociani, per forza, tutti coloro che Croce se l'erano ben digerito ed erano andati avanti. Tu ti sbracci a dire « moderno », « modernità »; e mi impianti una discussione che appena appena poteva ammettersi al tempo dei Pelasgi, o, diciamo pure al tempo dei trattati di retorica del Fornaciari o del Rigutini che fosse.

Certe cose, via, dal 1903 almeno (ventotto anni) dovrebbero essere, come allora si cominciò a dire, « superate ». Poi s’è smessa questa parola, press’a poco con la guerra, e davvero non se ne poteva più; ma capisco che bisogna tornarci: in materia di semplificazione e rettificazione di idee non si può mai dire « questo è fatto » nè prendersi un momento di respiro.

Che cos’è la Poesia?

Io lo avevo letto, il tuo bel questionario, e già avevo inorridito per conto mio e cercato di non pensarci; ma i tuoi insistenti inviti a una risposta mi obbligano a rileggermelo, a digrignare i denti e a dirti intero il pensier mio, per farti contento e per non consumare dentro me con la mia rabbia.

Siamo calmi, e andiamo per ordine.

E siamo sinceri. Non voglio profittare della confusione dì idee e di termini che tu par ti diverta a sollevare. Se no, potrei tenerti per qualche tempo sulla corda delle definizioni, prima di venire al nodo dei tuoi impliciti errori di estetica. Potrei domandarti: che cosa intendi per «poesia »? Qualche cosa che si contrappone alla « pratica »? « Decadenza della poesia », potrebbe voler dire prevalere pieno dei valori e dei gusti pratici, economici, materialistici, sui valori ideali. Una discussione, insomma, storico-pedagogica sulla necessità di risollevare gli interessi dello spirito (arte, filosofìa; la vita considerata come contemplazione, come operazione massimamente spirituale) di fronte agli interessi di natura empirica, economica, o prevalentemente fìsica (scienze applicate, economia pratica, sport; la vita considerata come una corsa al guadagno e al materiale e fisiologico benessere). Discussione che può riuscire utile in un campo strettamente educativo, ma non ha portata generale: è la storia, anzi la Storia, appunto quel misterioso fenomeno per cui certe quantità di sforzi di natura materiale o comunque inferiore si ammassano e trasformano fino a diventare idealità spirituali. Ma è chiaro che non di questo intendeva parlare l'estensore dei quattro paradossali quesiti che tu hai offerto alla nostra meditazione.

Potrei mostrar di credere che « poesia » significa, non già Arte, così in generale e in opposizione a « pratica » — ma « arto dello scrivere », in contrapposizione alle altre arti (arti del disegno, musica). E questo dovrebbe oramai essere il significato vero della parola « poesia ». Questo anzi fu sempre, presso quanti, anche in tempo in cui la teoria estetica non era ancora stata chiarita, pure da un certo sicuro istinto eran portati ad adoperare rettamente il vocabolo. Invece la gente grossa ha sempre avuto la tendenza a restringere il campo della parola: poesia. C’è ancora oggi della gente che crede che « poesia » voglia dire scrivere in versi; poesia la Divina Commedia, non il Decamerone; l'Orlando furioso, non il Don Chisciotte; per costoro le tragedie di Shakespeare sono parte in poesia e parte no. Per costoro in una storia dell’arte dello scrivere, da una parte c’è, poniamo, la Gerusalemme e i Canti (poesia), dall’altra I Promessi Sposi e l’Arte della guerra (prosa). Si inalbereranno se dirò che tra i nostri maggiori lirici pongo Panzini, e se mi proporrò di trattarlo insieme con Pascoli; ohibò: Pascoli va con Rapisardi (poesia), Panzini con Fogazzaro (prosa). Lasciamo andare. Tu certo non hai voluto intendere questo, che ti fa ridere (se un diorama può ridere).

Processo alle intenzioni

Ma quello che tu hai inteso, è altrettanto assurdo. Non farmi risposte solistiche, e sii sincero; confessa che per « poesia » hai inteso quel « genere », come voi lo chiamate, che si chiama anche « lirica » (in senso stretto, empirico); per « poesia » intendete le poesie: non ho sotto mano il detto Rigatini e non ricordo la definizione di quei vecchi retori, ma insomma tu mi parli, è certo, di quei componimenti piuttosto corti, scritti in versi, o in prosa che pare versi, ove il poeta parla di sè e dei propri sentimenti. Per essere più chiaro ancora, tu ammetti che al giorno d’oggi possa essere in decadenza quella maniera lì, pur non essendo in decadenza, per esempio, il romanzo e la novella. Onde l'implicito rimpianto.

E se ciò fosse, che importerebbe? La cosiddetta lirica e la cosiddetta arte narrativa, non adempiono forse al medesimo compito? E allora, se un dato periodo vi supplisce piuttosto secondo le forme esteriori del romanzo e della novella, perchè rimpiangere le altre? E io sono convinto convintissimo che appunto siavi tale identità di còmpiti e perciò di doveri. Chi scrive, ha lo scopo di creare nel lettore una serie di sensazioni, di (posso dirlo? ) « atmosfere interiori »; per provocare le quali non importa s’egli si serva del racconto di una vicenda o della esposizione delle proprie impressioni, se metta in moto dei personaggi e i fatti loro, o raccolga e agiti intorno a un vero o supposto «io » una serie di atteggiamenti del sentimento (che è la forma esteriore della vostra «lirica»); l’arte comincia, anzi comincia e finisce, non nei pretesti (perché tanto i fatti altrui quanto i sentimenti miei non sono che pretesti, materiale ancora bruto), ma negli effetti loro e del loro più o meno armonioso succedersi e variarsi; cioè appunto in quelle « atmosfere interiori », le quali, create appena, vivono per se medesime nell’animo del lettore, e subito gettano via e dimenticano i pretesti. In questo senso ogni opera di poesia e d’arte è musica (e non nel volgare senso di allettamento sonoro), in questo senso ogni opera di poesia e d’arte è architettura (e non nel volgare senso di disposizione di parti ed elementi). E non c’è una architettura narrativa e una architettura lirica, non c’è una musica narrativa e una musica lirica.

(Queste son cose che fa persin vergogna a dirle, tanto dovrebbero essere oramai di comune persuasione e dominio. E chi non ne è persuaso e compreso, dovrebbe essergli proibito di metter mai bocca in questioni artistiche; invece tu ce li inviti, e vedrai come ci sguazzeranno).

I « miti freschi »

La domanda dunque: « Oggi c'è piuttosto la tendenza a scrivere narrazioni, o a scrivere poesie liriche? » non può essere se non una domanda di curiosità: il rispondere che oggi siamo tratti alla prima più che alla seconda maniera, non dovrebbe affatto intendersi come un « crepuscolo » o un « esaurimento della ispirazione »; è un fatto assolutamente trascurabile, che riguarda — se posso anch’io, per farmi capire, servirmi d’uno sproposito di estetica — l’esterno e non l’intimo dell’opera di poesia. (E bella quella «ispirazione »; quasi che per scrivere una novella non ne occorra). Nota che tale domanda io talvolta me la son fatta; ma con altri fini. E mi sono risposto che, avendo l’epoca romantica esaurito tutti i suoi miti, oggi l’epoca che comincia ha soprattutto bisogno di nuove favole, di miti freschi, e cerca appassionatamente di inventarseli; anche avevo fatto osservare che all’inizio di ogni epoca il compito dei « poeti » fu sempre per l’appunto la « invenzione dei miti ».

Se cosi sta la cosa, nel fatto che oggi quanti siamo nati a scrivere sentiamo piuttosto per « narrazioni » che non per « soggettive confessioni di stato d'animo » (forse è questa la definizione della lirica? ), in questo fatto non è da riconoscere un « esaurimento della ispirazione ». ma la chiara sensazione di quella necessità del tempo.

Del resto, anche empiricissimamente parlando, la vostra « lirica » non ha mai costituito una « produzione continuata » di un determinato tempo; è sempre stata piuttosto un prodotto individualissimo ed eccezionale. Correlativo a tale fenomeno è l’altro, che un romanzo può essere pregevole alleile se non ottimo, mentre la lirica se non è sublime è spazzatura; di romanzi e novelle c’è « consumo » continuato, mentre la lirica ci serve in momenti rari e preziosi della nostra esistenza; nei quali momenti troviamo compiutamente vicino a noi così un carme di Catullo come un canto di Leopardi.

Il quale immediato entrare nella eternità di una lirica vera (laddove la narrazione tien sempre ficcata una radice nel suo tempo, che passa) dovrebbe se non altro indicarvi che la lirica non comporta incoraggiamenti. Che se una serie di concorsi per un romanzo può spingere a una produzione notevole, un concorso per una bella lirica sarebbe la cosa più ridicola che potesse immaginarsi. Anche perchè la narrazione, appunto perche mantiene come ho detto qualche radice ficcata nella moda e nel contingente, finisce con poter avere vantaggio da una evoluzione dei suoi esteriori atteggiamenti, e in certo modo apparire per questo (ma, intendiamoci, nella sua parte che rimane empirica, che diventa caduca) il frutto d’una collaborazione; il che assolutamente non può dirsi di una lirica. lo posso inquadrare l, ’ossatura (non lo spirito) dei Promessi Sposi tra i suoi precedenti e i suoi contemporanei, con qualche frutto se non per l’intelligenza del romanzo almeno per la storia della cultura; mentre non posso far nulla di simile per L’Infinito, che all’attimo in cui nasce rimane librato nell'etere fuori di spazio e di tempo.

Vita e ispirazione

Nel tuo questionario, Diorama mio, c’è ancora di peggio.

Vi è detto che la nostra epoca è l'età della velocità e del volo, della macchina e del dinamismo. E si domanda se la vita moderna può offrire materia di ispirazione ai poeti.

Con la quale domanda, si ammette che ci siano aspetti della vita che noti possono offrire materia d'ispirazione ai poeti. Una volta le ragazze che studiavano in collegio dicevano; — Ah il medioevo, come era poetico! — Oggi credo non lo dicano più neppur loro. Nessun tempo è più poetico o meno poetico, nessuna materia. Il tempo, la materia, sono, lo ripeto, un dato biografico, per sè inerte, destinato, se il poeta è davvero un poeta, a essere compiutamente svalorato e annullato dalla poesia. Le invenzioni scientifiche cominciano col cominciare del secolo decimonono; ma la poesia di quel tempo è Leonardi e Manzoni, e non la mongolfiera del povero Monti; e la materia del Manzoni e del Leopardi non è materia specificamente appartenente a quel tempo, ma è di tutti i tempi. Altra volta ho detto; «poesia è esprimere ciascuno il proprio mistero, e ognuno di noi può trovare il suo proprio mistero tanto nella contemplazione d’una macchina quanto d’una pianta ». La poesia non comincia dalla macchina o dalla pianta, ma dal modo col quale il poeta sente la macchina o la pianta. Inoltre ogni poeta sente le stesse cose in un modo nuovo; perciò fu gravissimo errore della teorica futurista affermare che certe fonti materiali di poesia sono state esaurite. Vediamo anche in pratica, che certe liriche motoristiche o aeroplaniche di certi imitatori di D’Annunzio e di Marinetti ci suonano non dico brutte, che non importa alla nostra tesi, ma vecchie vecchissime quanto può apparirci vecchio vecchissimo il sonetto d'un petrarchista. L’autentico poeta venuto fuori dall’ambiente del futurismo è Palazzeschi, che non si è, credo, mai sognato di far poesia delle macchine o degli aeroplani; anche se ne ha fatte, non è per esse che io e tanti altri lo riconosciamo autentico poeta.

Da ultimo ti diro ch’io nego perfino quella affermazione che tu poni avanti come un dato di fatto perfettamente pacifico; là dove dici che la nostra è l'età della macchina. Ma nemmen per idea. Non son queste le cose che fanno il carattere d’un'epoca.

Anzitutto, se un valore di questo genere dovessimo dare...

(Ma prima di spiegare questa mia negazione, ti dirò — ed era implicito in quanto ho detto prima — che l'importante per la poesia non è, per esempio, l’aeroplano o il sommergibile; ma la maraviglia che noi proviamo nel vederli o anche soltanto nell'immaginarli; e che nulla è stato mai inventato dagli scienziati che non fosse stato immaginato dai poeti.

Elogio della meraviglia

Ora nessuna poesia aeroplanica ha dato per ora lo stupore lirico che ha creato i miti di Icaro e di Fetonte; sia che quei popoli mediterranei si immaginassero l’uomo che inventa il modo di volare, sia anche che si trattasse di veri e propri aviatori che un centinaio di secoli avanti Cristo arrivassero dalla Atlantide sul Mediterraneo, e sul Po, e ivi precipitassero (e questa ipotesi la metto qui per far dispetto a1 mio amico Ojetti). Nessun poeta del sommergibile ci ha dato di questo la espressione lirica che ne dà Giulio Verne con l’immaginario Naulus. Nessuna voce di radio ha promosso in alcuno una angoscia paragonabile a quella che ci stringe al leggere il mito della voce annunciante dagli spazi la morte di Pan).

Dicevo, prima di cominciare la parentesi, che se un valore pienamente rappresentativo di un’epoca dovessimo dare alla maraviglia per la invenzione scientifica, questo dovrebbe essere attribuito piuttosto alla seconda metà del secolo scorso che non al nostro.

I nostri padri e i nostri nonni dicevano: « La nostra è l’epoca mirabile delle invenzioni ». Invece, a considerare la cosa secondo una veduta spirituale, la seconda metà del decimo-nono è l’epoca in cui l'Europa vede morire l’illuminismo e riscopre l’idealismo filosofico, e questo è il suo vero carattere.

Similmente il nostro non è il tempo delle macchine — che non sono se non docili servi della nostra vita pratica — ma è l’epoca in cui l’uomo sta ampliando in modo non prima immaginato il proprio orizzonte spirituale, in quanto studiosamente si sforza di comprendere e vincere il dissidio millenario tra sè come attiva volontà di potenza e di vita, e sè come aspirazione contemplativa all’eternità (chiamisi questa Nirvana o chiamisi Beatitudine). Insomma, l’epoca nostra è quella in cui si vorrà superare la contradizione tra Oriente e Occidente, contradizione onde è nata la storia politica ed etica della umanità. (Contrasto, che Roma è destinata a portare d’epoca in epoca al suo equilibrio; secondo una teoria che anni sono ho delineato, appunto su queste colonne). Altro che macchine.

Eccoci molto lontani dal questionario, ma non è un gran danno (e vedi una volta di più come tutte le strade conducano a Roma). Abbiti questa sovrabbondante lettera quale mia appassionata risposta.

Salute.

Massimo Bontempelli

Buzzi

Paolo Bussi è uno dei creatori del movimento futurista italiano, autore di Aeroplani, L’elisse e la spirale e La cavalcata delle vertigini. Il suo ingresso nella poesia italiana segna una data, i suoi canti eroici e storici disposano la grandiosità e bellezza della tradizione spirituale italiana alle audacie del verso libero e delle parole in libertà. Paolo Buzzi ha dato all’anima del nostro popolo i canzonieri degni del suo passato e dei suoi destini futuri.

Valéry. Bridges. Rilke. Va benissimo. Ma, per stare alla Francia, fucina pur sempre assai attiva della Poesia, mi sembra che anche là la nuova coscienza etico-estetica sia piuttosto allo stato di nebulosa Romanticismo, naturalismo, parnassianismo, simbolismo, umanismo, espressionismo, sensibilismo, surrealismo, magismo e che so io: tutto bene. Ma dov’è una concezione veramente plastica di quella che deve essere la nuova Poesia? C’è magari, oltralpe, la poesia ideologica e del misticismo sociale o individuale: quella dell’analisi e della critica filosofica con tendenze all’allegorismo e, ripeto, al magismo: più interessanti, dal punto di vista della modernità, la Poesia dei gruppi e delle sintesi e dei dinamismi delle masse, affermatrice d’una tendenza unanimistica anche trascendentale; e quella impersonante il parossismo lirico dalle ardite simultaneità ricche di egotismo sensorio e di estetismo alambiccato: migliori, se, attraverso ad una specie di drammatismo, tendano all’espressione lirica dell’eterna tragedia della vita e dell’universo. "Non faccio nomi, perchè preferirei, se mai, far quelli degli italiani nuovissimi, futuristi e, perchè no?, magari anche rondisti e novecentisti e strapaesani e via via. E’ fuori discussione che la nuova sensibilità, alla ricerca di nuova materia d’inspirazione lirica, tende alla macchina, alla velocità, al volo, al dinamismo, insomma, sotto tutte le sue manifestazioni.

L’importante è vedere chi — specie in Italia — questo bisogno immenso di rendere l'anelito e il polso del tempo in cui viviamo, con un suono ed un ritmo che sia, per dir cosi, in velocità-luce, quello della Canzone mai cantata, lo abbia prima di tutti gli altri sentito.

Naturalmente i Futuristi, della primissima grande ora milanese. Essi hanno cantato il Dèmone della velocità, gli aeroplani, le grandi capitali elettriche, il furgone, la teleferica, il caffè ed il bar, il disco di Newton, la lampadina di Edison, il telescopio a movimento equatoriale, il telaio meccanico, la macchina da scrivere, la guerra con tutti i suoi ordigni di terra di mare e di cielo, i comizi, le trincee, il turismo, lo sport, le canzoni d’arte e mestieri, il cinematografo, la radio, non trascurando gli Eroi del pensiero e dell’azione e i Templi dove s’è consacrata la Vittoria e benedetto il Milite Ignoto. E’ a questo Futurismo, a questa nuova Poesia, tutta inspirata alla civiltà meccanica del tempo nostro ed alla necessità di trovare nuove possibilità tecniche alla Poesia, passando dai metri chiusi e dalle rime al verso libero, alle parole in libertà, alle assonanze ed alle onomatopee conforme i diversissimi bisogni espressivi, che io, nato nella terra del Parini e del Manzoni, ho, per conto mio, con modesta ma assoluta coscienza, consacrato, in trent’anni di vita, ormai ben venticinque opere, ininterrotte. La Poesia mondiale esiste, adunque, oggi, bella, grande e pura come al tempo di Schiller. In quanto all'Italia, è ora di affermare che essa non si è esaurita con Carducci, Pascoli e D’Annunzio, come vorrebbero far credere certi professori e dicitori al loro servizio. La Poesia della grandissima Italia balzata su dalla Vittoria e dalla Rivoluzione delle Camicie Nere vive: e vivrà!

Paolo Buzzi

Chiesa

All’inchiesta non poteva mancare, fra le prime voci, quella di Francesco Chiesa, l’aristocratico scrittore ticinese che nella quiete del suo ritiro consacra alla poesia un culto commovente ed esemplare. Cantava il poeta più di vent’anni fa:

Tu se’ colei, o non già donna, iddia! ch’ire, voglie, idee, forze, ogni bontà torpida in cuore inciti e svegli. Ma signor delia magnifica bufera lasci l’uom, che ne faccia a sua maniera opra, carme. Tu sei la Poesia.

1. D’accordo: la poesia non muore; ma è altrettanto certo che ci sono climi storici favorevoli e meno favorevoli al fiorire della poesia. Il clima dell’età nostra non mi sembra dei migliori: poca o nessuna disposizione al culto delle memorie, debole il sentimento religioso, di genere pratico l’attività e la passione predominanti. La macchina, la velocità e tutte le altre meravigliose attuazioni moderne sono, rispetto alla poesia, una realtà troppo immediata. La poesia è sentimento, sogno, creazione e vagheggiamento di miti; viene direttamente dall’animo e solo indirettamente e lontanamente dalle cose. E’ stata osservata cento volte la povertà dell’arte suggerita dall’ultima guerra, che pure fu un enorme avvenimento.

2. Una sensibilità nuova certamente esiste: ogni età ha la sua sensibilità. In che consista questa sensibilità nuova, è diffìcile dire. Una cosa però mi pare evidente: che, quand'è sensibilità sincera, non ha bisogno d’essere rivolta a « ricerche ». Materia nuova? Forme originali? Nel senso della poesia è concepibile una sola novità ed una sola originalità: quella che il poeta trova o non trova in se stesso.

3. Non so.

4. Non so. Io sono un conservatore: conservatore di idee larghe, e ammetto ogni genere di possibilità in materia di prosodia e di metrica. Ma mi pare che, finora, l’esperienza non abbia dimostrato la superiorità espressiva dei metri liberi di fronte ai metri tradizionali.

Francesco Chiesa

Valeri

Diego Valeri ha acquistato attraverso l’esperienza simbolista, pascoliana e crepuscolare, una sua personalità e una sua autonomia: poeta attento e delicato, gentile e vario, canta le « Gaie tristezze » e l’umana sofferenza con accento inconfondibile. Egli ha raccolto pochi mesi fa in un volume il fiore della sua poesia dolce e buona.

1. Oggi, come ieri e come sempre, la poesia mi par essere oggetto di grande amore per pochi, e pretesto di chiacchiere salottiere e di pose modaiole per moltissimi. Direi dunque: situazione immutata, in un mondo mutato appena in superficie da quel che fu (e sarà) nei secoli.

2. Nella poesia dei poeti veri tutto è, in forme personali e perciò nuove, antico come l'uomo. Chi si vanta d’aver fatto tabula rasa del passato, e scoperto nuova materia di poesia, mi par vittima d’un’illusione giovanile, anche se ha sessant’anni sonati.

3. La nostra civiltà meccanica (l’ho già detto) non ha mutato né, presumibilmente, muterà il fondo della natura umana. Vano perciò attendere da essa civiltà il dono d’una poesia affatto inedita, dato che la poesia non può vivere se non mette radice in quel fondo d’umanità essenziale.

4. Mutano senza posa, invece, tutte le forme e i costumi della vita; e la tecnica poetica è anch’essa, naturalmente, in continua evoluzione. Oggi come oggi, da noi, i metri chiusi sembrano meno atti del verso libero (libero, ma che sia verso) ad accogliere e contenere la nostra, qualsiasi, poesia.

Diego Valeri

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 07.10.31

Citazione: Non firmato (Lorenzo Gigli), “Inchiesta mondiale sulla poesia,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 17 maggio 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/181.