Ho scritto... Cantalupa (dettagli)
Titolo: Ho scritto... Cantalupa, Sí alla terra
Autore: Sibilla Aleramo
Data: 1934-11-28
Identificatore: 1934_499
Testo:
Ho scritto...
Cantalupa
« Cantalupa » non vuol essere propriamente un romanzo ma piuttosto la cronaca della vita di una famiglia borghese lombarda dal 1876 sino al principio della guerra europea.
In questo mio libro, attorno al quale ho lavorato per un paio d’anni e con maggior fede ed intensità che attorno ad altri miei, ho raccolto mille ricordi, scene, episodi, paesaggi, sentimenti e figure in mezzo ai quali son vissuto e che mi hanno accompagnato nella mia giovinezza, procurando trasfonderli ed armonizzarli in una narrazione a pieno respiro, ma senza far perder loro l'accento e la freschezza della verità. Per modo che per un po’ il racconto si basa su fatti e scene di nuda cronaca paesana e cittadina e per un po’ è racconto puro ma che da fatti positivi attinge spunti e sviluppi.
Con « Cantalupa » mi lusingherei di aver fatto un tentativo nel campo del romanzo: e cioè di aver tolto il romanzo dai soliti binari d’intrecci combinati ad arte per far presa sul lettore, per riportarlo, s’è possibile, verso una maggiore naturalezza d’esposizione e d'eventi: cercando l'interesse del lettore di suscitarlo unicamente con la redazione precisa ed attenta di cose veramente accadute e sentite e vissute. In questo tentativo m’è stato ancor una volta buon consigliere il Manzoni, il quale in una lettera del 29 maggio 1832 a Claude Fauriel, mettendolo a parte della sua intensione di trarre un romanzo (I Promessi Sposi) da certe cronache di vita lombarda dal 1626 al ’31, gli scrive fra l’altro: Quant à la marche des évènements et à l’intrigue, je 'crois que le meilleur moyen de ne pas faire comme les autres, est de s’attacher à considérer dans la realite la manière d’agir des hommes et de la considérer surtout dans ce qu’elle a d’opposé à l’esprit romanesque.
Con questa lettera il Manzoni mi par preconizzare un'epoca in cui gli uomini stanchi di pazzesche e strampalate invenzioni a intrecci combinati ripiglieranno il gusto delle cose semplici e troveranno nella rappresentazione di cose semplici, ma intensamente vissute dallo scrittore, un nuovo piacere della fantasia e dello spirito.
Quindi non grandi figure nè avvenimenti nel mio romanzo. Vi è descritta la storia famigliare di un quarantennio di vita borghese, tra l’invecchiare e lo spegnersi della generazione che fece il Risorgimento e il crescere e il fiorire dell’altra che farà la Guerra Europea: vi è delineato il contrasto fatale fra le due, impersonata l’una nella figura del padre Campieri, tecnico ed architetto, l’altra in quella del figlio Silvio, artista svagato, sportivo sentimentale, scettico e ardente, già affetto dal male del secolo: lotta tra il principio d'autorità e lo spirito di libertà, d’avventura e di fantasia. Su questo spunto scorre tutta una trama di altri motivi paesani, e amori e avventure e sofferenze e morti, mentre due figure di donna, Lia Vianello ed Egi Fauletto, si contendono il cuore di Silvio, motivi dominanti della sua vita sentimentale.
Ma se la scena del romanzo ha luogo un po’ qua e là per monti, fiumi e pianure lombarde, o altrove (una parte si svolge pure a Messina, dopo il terremoto), Cantalupa è pur sempre la vecchia casa lombarda che trattiene e raccoglie in sè i destini delle due generazioni e placa i loro dissidi. E fino a quando Silvio Campieri sarà fedele alla vecchia casa, avrà tregua la sua corsa disperata di passione in passione, quella sua amara cupidigia di sempre, nuove esperienze. Noi lo lasciamo così sulla soglia della guerra, avviato a raggiungere il suo reggimento alle falde del Podgora. A Cantalupa è morta, cieca, la madre, e pure il vecchio Campieri vi è morto, a novant'anni, mentre stava componendo al piano una Marcia Nuziale, sperando di veder sposato ed accasato il figliolo. Oramai Silvio è solo, è solo in Cantalupa deserta di voci!
Quale sarà la nuova vita di Silvio Campieri dopo la guerra?
Ma il libro cessa qui perchè io ritengo che in quel punto si sia concluso un periodo tipico di vita italiana, quell’ultimo Ottocento, così ricco di bontà e d’idealità, pur nelle sue ansie difformi, ed in cui erano già in germe le forze erompenti di una vita nazionale più alta e più intensa.
Carlo Linati
Carlo Linati.
Sì alla Terra
Il titolo di questa mia nuova raccolta di liriche mi balenò alla mente un mattino dello scorso giugno passando lungo il tratto di muraglione della Villa delle Uose che sta fra Capo le Case e Via di Porta Pinciana. Nello stesso momento sentii in me i primi accordi della lirica che poi chiamai con ugual nome: « Tanto splende nella luce di certi mattini — con le sue rose e i suoi cipressi — la Terra... », e che scrissi l'indomani. Quel mattino mi recavo dalla pittrice Leonella Cecchi Pieraccini, per la posa d'un nuovo ritratto, il quarto o quinto che la valorosa amica mi ha fatto nel corso d'un ventennio. Doveva esserci nell’aria di Roma una magia più grande della consueta, quel giorno, poiché Leonetta, in due sole ore, compose forse il suo pezzo di pittura più felice, un impasto di celeste e rosa delizioso. E mentre le posavo dinanzi, io dissi: « Sai, per strada, nel sole, ho pensato tre parole che potrebbero essere il titolo d'una poesia o anche d'un libro: Sì alla Terra». «Bello! » fece Leonetta.
Così fu battezzato il volume che dapprima intendevo intitolare soltanto Nuove poesie.
Non già che tutte le 33 liriche siano affermatrici in senso assoluto; scritte fra il 1928 e il 1934, ispirate ai motivi più vari, talune di esse, prese separatamente, appaiono anzi, a prima vista, desolate, intrise come sono di pioggia o di pianto, invece che di sole come le altre. E nondimeno, nella sua essenza più sottile, l’intera raccolta è adeguata al titolo. Non soltanto per il fatto che la poesia è sempre uno stato di grazia, anche quando canta le più insolubili, le più tragiche realta, ma perchè veramente un senso profondo di accettazione e insieme di trasfigurazione corre dalla prima all'ultima di queste liriche.
I temi, ho detto, sono assai varii. C'è un sorriso di bimba, c'è una bufera, ci son delle rose, e una danza, e una veduta di Positano. E c'è (non trasecolate) una Biennale Veneziana del Cinema: « avventura degli occhi — tutto il mondo è imagine fuggente », con la quale la Decima Arte, sia pure umilmente, viene forse per la prima volta riconosciuta e onorata dalla poesia.
Poi, ecco una Visita a Littoria e Sabaudia, che m'è stata dettata dal ricordo indistruttibile d’una mia antica e, posso dirlo, eroica esperienza di « bonifica sociale » compiuta con pochi altri volontari nell'Agro Romano, per un lungo ostinato periodo di sei anni.
E ancora, un’alba, un paesaggio lunare, un fuoco; sinché il volume si chiude con Eternità, dove io credo aver fermato uno dei momenti mici d’emozione e di meditazione più alti e intensi e puri.
Momenti s’intitolava la mia prima breve raccolta di poesie, nel 1920 (raddoppiata poi nell’edizione del 1929), e potrebbe intitolarsi anche questa nuova messe. Momenti di canto, e li offro alla vita per ciò ch'essa m'ha dato di più prezioso, il potere appunto di sentirli effusi nello spirito delle cose, le gioiose e le dolenti, e di notarli in accordo al ritmo del mio cuore.
Sibilla Aleramo
Sibilla Aleramo nel suo studio.
Collezione: Diorama 28.11.34
Etichette: Fotografia, Ho scritto, Sibilla Aleramo
Citazione: Sibilla Aleramo, “Ho scritto... Cantalupa,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1864.