Beta!
Passa al contenuto principale

Titolo: I giorni amari di Pascoli

Autore: Giulio Tognacci

Data: 1934-06-06

Identificatore: 1934_544

Testo: I giorni amari di Pascoli
(Da lettere inedite del Poeta)

Dal 1897 al 1903, Giovanni Pascoli insegnò letteratura latina nella Regia Università di Messina. La mollezza di quella terra che aveva inspirato Wolfango Goethe, gli prese l’anima, l'insonne mare lo rallegrò, il profumo dei cedri e degli aranci che saliva alle finestre della sua linda casetta, in faccia allo stretto e alle balze d’Aspromonte, lo addolcì, e più forse l’ospitale bontà dei messinesi. A Messina dove passò sei anni, fu desiderato e amato. Anni fecondi, sacri alla meditazione. Un editore coraggioso, Vincenzo Muglia, pubblicava Sotto il velame, la Mirabile visione e La prolusione al Paradiso. Il Pascoli amava di più i suoi libri su Dante che quelli di poesia, e mentre contro di lui infierivano le polemiche, il Pascoli esclamava con trionfale orgoglio: «Io ho trovata, tra i roghi e i bronchi che la nascondevano, la porticciuola del gran tempio mistico. E sono entrato, e ho veduto... ». Fu in quel tempo che con più veemenza si accanirono contro di lui i critici, e il Pascoli ne soffrì profondamente. Le lettere inedite che oggi pubblico nella Gazzetta del Popolo (inviate al buon Pirozz, Pietro Guidi, vecchio segretario comunale di San Mauro; ed a Peppino, Giuseppe Gori, sammaurese, console d’Italia nella Repubblica di San Marino), hanno molta importanza nell’affermarsi dell’opera del Pascoli. Vi splendono i giorni amari di Zvani, forse i più amari che diedero impeto e fiamma alle ispirazioni più alte, alle creazioni più profonde, e dicono com’egli fosse un forte e come la sua umiltà fosse nutrita di santità eroica.
* * *
« Caro Peppino, dopo Pasqua torno a Messina. Mi fermerò un giorno a Roma. Mi dispiace che tu non sia stato bene. Non so più nulla di ciò che è avvenuto dell’intenzione di tuo babbo. Io ancora non sono stato bene. Ho avuto occasione in questi giorni di maledire il mio destino! Gli studenti di Bologna unanimi pregarono me, per mezzo di Puntoni, di presentare al Carducci il volume dei manoscritti che gli s’offrono per il suo nuovo giubileo. Dovei rifiutare! Fare il bene e ricevere il male; ecco il mio destino. Quanto a quel telegramma del Carducci, prima di tutto non va interpretato come con accorgimento poco lodevole lo interpretò il... almeno a mio parere: del resto che male c’è? Non hai letto tu la mia Piccozza? Ebbi, per l’ultima tua, a strabiliare e poi a commuovermi nelle intime fibre. Parleremo. Intanto, silenzio! Presto avrai cose mie. Tante cose alla tua signora e ai bimbi.
Tuo Giovanni Pascoli.
Barga, 1° aprile 1901.
P. S. - Gli studenti di filologia unanimi a Bologna per me, unanimi per me a Roma... Oh! per un uomo che non s’è mai battuta la gran cassa, ce n’è assai per inorgoglirsi! ».
« Caro Peppino, ti mando auguri per il nascituro sì dramma sì figlio e sì discorso. Quanto a me lavoro nè tristo nè lieto. Non dico quel che faccio, perchè c’è de’ grandi uomini poeti che non hanno mai inventato nulla e sono radicalmente impotenti, i quali fanno quel che romagnolescamente si dice in termine venatorio le brette agli altri e stanno sempre attenti non alla preda ma agli occhi e alle peste e ai cani altrui. Sono per finire un grande e inutile volumone Dantesco......
Addio, mio bel nido di lodola tra il grano! Addio, bei cantieri! Addio, bianchi bovi! Addio lunghe e larghe strade tra olmi e pioppi! Addio, terra dove ho tanto sofferto e tanto sognato! Addio, camposanto nativo! nativo, sì: in quel breve chiuso io son nato poeta! Non ti affannare per me, caro Peppino, e abbraccia per me il mio amato Pirozz, e saluta Dico ed Enrico e gli altri amici tutti, e il nostro (cioè vostro) ottimo sindacò. Tra pochi giorni torno...
L’Italia ha il suo poeta, simile a lei, e non ha bisogno di me, che sono libero e simile a me.
E tante cose alla tua Tina e al bimbi.
Tuo Giovanni Pascoli, Barga, 29 7bre 1901 ».
« Mio caro Pirozz, da tempo ti volevo scrivere d’una certa amarezza che ho qui dentro e ora te ne scrivo. Si tratta della casina. Mi pare ormai certo che si voglia aspettare a vendermela, quando quella cara e buona signora Pedriali non sarà più nel dolce mondo. Mi pare ormai certo. Orbene tu comprendi che io nè voglio nè devo nè posso sollecitare la cosa, a rischio di fare uscire dalla casa, dove anch'essa ha tante memorie, quella signora che tanto amiamo e rispettiamo. Quindi tu non farai parola a Nino uè ad altri di ciò che sto per dirti; ma ricevi tu intanto il mio pensiero, perchè tu ne possa col tempo fare testimonianza. Ed è questo: Per tutto l’oro del mondo non vorrei esercitare una pressione in simili fatti. Entrare io là donde una povera e buona donna esce, per causa mia, col cuore straziato di non poter morire dove gli è morta la persona amata? Nemmeno per sogno. Come vedi, è fatalità. Era un bel sogno ed è svanito. Non ci sarà altro mio « Ritorno » a San Mauro che quello fatto in sogno e che ho messo in versi e che presto sarà stampato in volume.
Dammi tue notizie e del paese. Come sta il tuo bambino? Ho veduto l’opuscoletto per il nostro illustre Sindaco. Mi rallegro di nuovo. Tante cose a tutti dal tuo Giovanni Pascoli. Messina, 10 del 1901 ».
« Caro Peppino, in questi giorni in cui più che mai sento la mia amara sventura d’aver dovuto lasciare la mia Bologna, dove avrei fatto così splendida carriera, dove avrei passata tranquilla la vita tra amici, non lontano dalla mia piccola patria;.......
ecco, caro amico, che cosa mi capita in questi giorni! ...........Dunque non la finirà mai? Dammi tue notizie.
Tuo Giovanni Pascoli. Messina, 17 Xbre 1901 ».
« Caro Beppino, « la tua lettera, che rassicurandomi sull’affetto tuo e dei miei buoni terrazzani, m’avrebbe empito di gioia nella mia solitudine piena di fantasie, mi rattrista invece profondamente per il patire di Giovannino che mi pare abbia tanta ideale relazione con me. E sì anche in questo: da piccolo e da ragazzo ho molto sofferto: poi sono divenuto per troppa grazia di Sant’Antonio tale che Sant’Antonio non disdegnerebbe a compagno. Fatti coraggio! Speriamo che sia come di me che ho a momenti l’età in cui fu strappata la vita a. mio padre, e non ero nato vitale.
Abbi speranza. Tieni viva la speranza e la fede nel cuore della tua compagna. Io ti mando, con Mariù, un fervido augurio che ci esce proprio dal cuore. Giovannino, guarisca!
Un abbraccio dal tuo
Giovanni Pascoli. Messina, 21 II 1902 ».
* * *
Queste lettere scritte da Barga. e da Messina, nel 1901 e 1902, nel fragore delle polemiche per i suoi volumi danteschi, ci dicono come ben tristi dovessero essere quegli anni, pure allietati dalla cortesia e dall’affetto di una gentile e forte città. Ma Egli aveva resistito ad altre e ben più dure avversità. Ed era un forte, che se chinava il capo e spegneva le ribellioni dell’animo esulcerato, gittava lampi e lanciava gridi ch’erano canti d’angoscia e faville di bene. Nessun poeta, come lui, cantò l'immenso pianto umano e del suo dolore fece vessillo di pietà e di bellezza per tutte le genti. L’Italia di Mussolini e il mondo oggi s’inchinano davanti alla sua memoria ed alla sua gloria.
Giulio Tognacci.
Autografo di Giovanni Pascoli (da una lettera del 1897).

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 06.06.34

Etichette:

Citazione: Giulio Tognacci, “I giorni amari di Pascoli,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 17 maggio 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1909.