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Titolo: Un buffone moderno

Autore: Adriano Grego

Data: 1935-01-02

Identificatore: 1935_35

Testo: Un buffone moderno
Era una vecchia casa. Vecchia non tanto nel colóre e nella forma dei mobili — ricordo certi grappoli di pesci e di uccellagione che formavano una specie d'alto rilievo sui portelli delle credenze — quanto nello spirito dei suoi abitatori. Buona gente a giudizio sommario, ma accampata a difesa del proprio nucleo familiare con troppa gelosa protervia: quasi che il padre, la madre, i tre figli, gli zii e perfino i domestici avessero ereditato un intoccabile privilegio. L'avvocato, il fratello del padrone di casa, era il miglior avvocato della provincia — dicevano — e quando andava in Cassazione, si muovevano ad ascoltarlo tutti i grossi giuristi della Capitale. L'altro fratello faceva strade asfaltate, e gente che avesse come lui la testa sul collo — dicevano — nello scegliere le maestranze, nell'amministrare l'azienda, nello stipulare contratti con Comuni e Provincie, non si trovava in tutta la Penisola. La moglie del primo era una santa; la moglie del secondo aveva un carattere forte, e « forte » nella dialettica familiare significava diritto ed eroico, come se ogni giorno questa donna fosse stata in procinto di consegnare al figliolo lo scudo, la daga e la benedizione e avesse mostrato l'alta fronte serena ai famigli piangenti. Persino il terzo fratello, un poveraccio che sbarcava il lunario alla meno peggio come contabile in un'officina d'astucci, aveva dei meriti eccezionali: era stato ai suoi tempi un grande schermidore e aveva una raccolta di francobolli che, a venderla, se ne sarebbe ricavato un centocinquantamila lire nonostante la crisi dei titoli filatelici.
Grandi, insomma, erano un po' tutti e se anche fra di loro, a tu per tu, si lanciavano forse delle botte di « somaro » « ignorante » « egoista », non appena appariva il naso d’un estraneo eccoli sprofondare in estasi di reciproca ammirazione. Quando pronunciavano il loro cognome — Mazzaricco — pareva scuotessero dai loro calzari un po’ di polvere guadagnata in Terra Santa. Avvolgevano quel nome di rispetto, di devozione quasi religiosa. Non perché avesse, il nome, origine patrizia, non perché qualche cardinale o qualche poeta, o qualche grande, giureconsulto l’avesse portato con onore, ma perché era il nome di famiglia: quell’oscura ambizione, quella superbia, quell’aspirazione al primato che i singoli individui non osavano ostentare privatamente, ostentavano invece collettivamente attraverso il nome dei Mazzaricco.
« Un Mazzaricco — dicevano a Pierino — deve vergognarsi quando porta a casa una pagella come questa ». « Voi — dicevano alla domestica — riportate subito al macellaio questa carne. È piena di nervi, immangiabile. Diteglielo. Ditegli che l’ha detto proprio la signora Mazzaricco; lei in persona ». E quando la figliola maggiore dell’avvocato era stata chiesta in sposa da un tale, in fama d’originale, un tale che pretendeva si celebrasse il matrimonio in grigio, senza veli bianchi, senza inviti e senza bomboniere, il consiglio di famiglia aveva risposto di no: « Che l’Adelina rimanga nubile, piuttosto. Piuttosto che questo matrimonio alla chetichella... I Mazzaricco non si sposano in grigio ».
O
Era insomma, quella, una curiosa esasperazione dell’affetto e della solidarietà familiare. E un ospite come io ero ne restava un poco sgomento. Ad ogni svolta del discorso ci s’imbatteva in una parete sacra. Era, per esempio, la muscolatura dello zio industriale, o la pazienza dello zio contabile o la serietà dello zio avvocato. Un musone insopportabile, quest’ultimo, triste e solenne come un candelabro: ma in famiglia definivano la sua musoneria come esemplare serietà. E l’ospite dal canto suo non poteva che annuire. Anche la prestanza fisica dei Mazzaricco era un dogma. L’incontro dei baffi biondi con i capelli neri (privilegio dell’industriale) era pertanto uno dei vezzi maschili più invidiabili e classici. E come sapeva vestirsi lo zio Filiberto! E la memoria spettacolosa dello zio Giacomo! « In che anno sono discesi i Longobardi in Italia? » — « Aspetta, ora si telefona allo zio Giacomo. Se non lo sa lui... ».
O
Una vera forma di omertà ammirativa regnava nelle case dei Mazzaricco. Unità di amori, ma anche — e me n’accorsi al secondo invito a pranzo — unità di dispregio e di odio. Odiavano tutti le carote, il fegato alla veneziana, le fragole e il canzoniere petrarchesco. Appena toccato uno di questi argomenti, tutti i membri della famiglia lo azzannavano: « e le fragole fanno venire l’orticaria, e il Petrarca era un indeciso che non sapeva nemmen lui quel che voleva, e a noi moderni ci lascia freddini freddini... ».
Ma la figura verso cui ostentavano maggiore avversione era il Pignati. In principio non capivo bene che cosa rappresentasse in quella casa, ma poi, a forza di sentirne parlare, a forza di vederlo spuntare in salotto, di vederlo sedere in mezzo a noi, senza
rumore, di vederlo sorridere con una smorfia identica e immobile a tutte le svolte della conversazione, incominciai a conoscerlo anch’io. Era una specie di cugino sciocco. E poiché al poco talento accoppiava scarsissimo censo, ecco che questo cugino da dieci anni viveva coi Mazzaricco, ora impiegato nella fabbrica d’asfalto, ora scrivanello e commesso dell’avvocato, ora incaricato della custodia dei ragazzi durante le gite sciistiche.
Povero Pignati! Passando dall'una all’altra casa dei Mazzaricco, si era portato nella valigia un unico libro grandissimo rilegato in pelle rossa, con un fregio in tutto oro. Sulla copertina era disegnata la figura d’un arciere e in alto, in bei caratteri gotici: Quintino Durward di Walter Scott. Nessuno avrebbe potuto dire se le nobili e storiche avventure narrate in quel romanzo avessero riempito di fantasie il cranio disadorno del giovane, o se il libro fosse stato un semplice compagno di pellegrinaggio, considerato prezioso per l’oro della copertina e la suggestività delle illustrazioni. Certo, era quella l’unica bandiera di cultura per il Pignati, che era giunto all’esame di maturità con non poca fatica e ora dimostrava la più palese inettitudine per qualunque lavoro mentale. Persino di fronte alle modeste necessità della conversazione dimostrava poca bravura: e più che parlare del tempo, ricordare i nomi dei film cinematografici, sorridere e tacere, ma sopra tutto sorridere, era impossibile ottenere da lui. Un personaggio senza importanza, dunque. Ma in casa Mazzaricco si parlava di lui continuamente, si rideva di lui, di lui si narravano storielle divertenti a bassa voce: storielle in cui tutti trovavano un motivo di riso smisurato, una ragione d’intesa, un divertimento eccessivo. — « Raccontagli, raccontagli quella delle poltrone! ».
E si mettevano in posa, si strizzavano l’occhio, si preparavano a leggere lo spasso nella faccia dell’interlocutore, godevano in anticipo. E quando la storia era terminata — la storia d’una sciocchezza madornale compiuta dal Pignati — allora, ecco la metamorfosi. Prima uno e poi l’altro incominciavano a mostrar pietà per il cugino dappoco, a chiuder le mani in segno di rammarico, a far la faccia angustiata.
Superfluo che vi dica che anche allora trasudavano gioia: i vecchi, confrontando la gagliardia mentale dei loro figlioli con la pochezza del Pigliati, trovavano ragione di orgoglio; i giovani — educati a quella scuola balorda — provavano un gusto matto nel compatirlo e deriderlo.
O
Ricordo che una volta il Pigliati, servendosi a tavola, lasciò cadere la posata grande da pesce. E mentre il poveretto confuso si chinava sul tappeto a cercarla, i Mazzaricco commentarono l’incidente con gesti e smorfie e parolette di' rassegnazione e di scherno, che mi offrirono la più perfetta e ridicola scena di concordia filistea.
In quanto all’altro, al Pignati, questi era sotto il tavolo e annaspava nel buio vicino ai piedi dei commensali.
Adriano Grego.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 02.01.35

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Citazione: Adriano Grego, “Un buffone moderno,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1944.