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Titolo: Inchiesta mondiale sulla poesia

Autore: Non firmato (Lorenzo Gigli)

Data: 1931-10-21

Identificatore: 195

Testo: Inchiesta mondiale sulla poesia

risposte al nostro questionario

Abbiamo aperto sugli aspetti spirituale ed estetico del problema della poesia nel mondo un’ inchiesta alla quale sono chiamati a rispondere i rappresentanti più insigni dell’arte e del pensiero del nostro e degli altri Paesi. Le domande sulle quali chiediamo ai poeti e ai pensatori di tutto il mondo di pronunciarsi sono le seguenti:

1. Qual è oggi la situazione della poesia nel mondo?

2. Quali sono le sensibilità nuove che vi si manifestano, volte alla ricerca di nuova materia di ispirazione e di forme originali?

3. Esiste una nuova poesia che si ispira alla civiltà meccanica del nostro tempo?

4. Quali sono le nuove possibilità tecniche della poesia, e quale valore attribuite alla sua evoluzione che dai metri chiusi ha condotto al verso libero e al di là di questo alle parole in libertà?

Ungaretti

La risposta di Giuseppe Ungaretti, poeta allo stato di grazia, è di quelle che confermano la santità d'una fede. Dietro il volto ermetico della sua Musa, tremano le luci delle aurore più pure, vibra il sentimento della natura e della umana pietà. La fama internazionale d'Ungaretti cresce ogni giorno: l'ultimo fascicolo della Nouvelle Revue Française reca quattro suoi Inni tradotti da Pierre Jean Jouve come si deve tradurre la poesia.

Per Dante la persona umana è un assoluto chiuso nell’individuo, colle infinite possibilità di bene e di male, colla volontà, la libertà e la responsabilità che dànno valore religioso alle opere del singolo e, senza rimedio, modellano ciascuno secondo le sue opere. E vedo che trova ispirazione nel rapporto fra fisico e morale e, per esempio, nel Conte Ugolino, tra la fame e l’amore dei figli. Andando avanti di pochi lustri, incontro un poeta per il quale non contano se non posteri e passato, cioè se non fantasmi della mente. Invece di uomini duramente distinti, abbiamo il triste infinito dell’uomo. Poche decine d’anni sono bastate, da Dante al Petrarca perchè l’ispirazione avesse tutt’altre fonti. Sarà dipeso da circostanze e sterne? Può darsi. Ma per dare circolazione a motivi tanto diversi, sono bastati pochi ritocchi all’endecasillabo di Dante.

E quando verrà Leonardo, e penserà che la metafora sta tra la facezia e la profezia, e dirà, per esempio: «Il bastone ch’è morto, può farvi dire: Il movimento de’ morti farà fuggire con dolore e pianto con grida molti vivi », oppure: « La salsiccia ch’entra nelle budella, può suggerirvi: Molti si faranno casa delle budella, e abiteranno nelle lor proprie », e ridurrà l’idea che del mistero possono farsi gli uomini a una semplice figura rettorica, sarà perchè sulla terra era ricomparso in carne ed ossa il diavolo e bruciavano le streghe? Era aperto il Rinascimento, e di già come aggravate la trasformazione dell’uomo e la nozione del mondo apparse al Petrarca.

Mi spiegherò meglio. Ecco il nudo d un pittore primitivo: vedo ch’è coperto di mistero. Il pudore era nell’animo dell’artista. Nel creato, egli sentiva la grazia; il Signore, che anche quando colpiva era per il bene, era lodato nelle sue opere. Coll’Umanesimo, gli occhi s’aprono. Ciò che rende commoventi le opulenze del Rinascimento è di sentire che dentro quella vita veglia la morte. Tale è il nuovo modo d’essere; tutte le meraviglie che circondano l’uomo, il suo desiderio, sono per il suo strazio. Un sentimento del male, un pessimismo, un giudizio sul mondo come opera diabolica, e la convinzione di patire senza colpa nè scopo. C’è, in un commento al Petrarca del Castelvetro, una spiegazione. Per etimologia, dice il Castelvetro, leggiadro significa che riduce la noia E’ una spiegazione terribile. In tali condizioni, con tale animo, per vincere il tempo, per separare un po’ l’uomo dalla natura, spietata allettatrice, vanità adorabile, il pudore non aveva se non una risorsa: gli accorgimenti, il funambolismo, la disperazione del puro mestiere. Sempre il verso di Dante e del Petrarca, con qualche ritocco.

Passeranno anni, e Galileo scriverà: « Quello che noi ci immaginiamo è o una delle cose già vedute, o un composto di cose o di parti delle cose altra volta vedute, che tali sono le sfingi, le sirene, le chimere, i centauri ». Per Leonardo il mistero era un passo ironico dell’immaginazione, per il Seicento l’immaginazione nasce dalla memoria. Forse perchè c’era il telescopio? Mai come in quel tempo la memoria non s’è identificata nel mestiere; forse il mestiere non sarà mai come allora fonte d’ispirazione.

Con il Romanticismo riappare una sete d’innocenza. Per contrasto colla civiltà meccanica? Certo scoppia l’eresia che i vecchi metri sono esausti, ch’essi ormai suonano falsi, che l’ispirazione, devo inventarsi volta per volta i suoi schemi. Il risultato fu che un componimento non era ancora finito di fare che già suonava falso, e che si perse la testa, non volendo più dare valore se non all’ispirazione, solo dietro la forma.

E che cos’è, volendoci spiegare l’avversione romantica, questa civiltà meccanica se non l'impresa maggiore della memoria? E’ dunque la memoria che ha reso estrema e intollerabile nel secolo passato l’antinomia tra individuo e società? E’ la memoria che ha prodotto la guerra e tutte queste crisi che si succedono? La civiltà meccanica è drammatica; bene è nata nel secolo di Hegel: è la memoria ed è, contrastante, il contrario della memoria. Il male viene dalla difficoltà di rimarginare questa scissura che ha reso vastissima nell’essere. Il Leopardi osservava che l'uomo avendo tolto alla realtà il mistero, la visione del vero è spaventosa. Capovolgendo questo pensiero, Nietzche riterrà che più nulla essendo vero, tutto è lecito. La civiltà meccanica ha posto il dramma umano fra questi due limiti. E ogni uomo moderno di buona volontà dovrebbe avere per affanno di riconciliare il vero col mistero. Un poeta non è mai fuori del suo tempo, è un uomo, l’uomo che sempre ha sofferto e gridato per tutti Meglio d'ogni altro, a sue spese, egli sa che la macchina, figlia prediletta della memoria, può bendare gli occhi alla memoria, e può. e l'ho visto, per esempio, in guerra, fare smarrire all'uomo la nozione del tempo, fargli credere, non per modo di dire, il tempo eterno.

Non mi è stato nascosto l'orrore dell’eterno. Non contava più che l'istinto. Si era in tale dimestichezza colla morte che il naufragio era senza fine. Non c’era oggetto che non ce lo riflettesse; era, la nostra stessa vita, da capo a fondo, quell’oggetto qualsiasi sul quale cadeva a caso il nostro sguardo. Non era la nostra, in realtà, vita più che oggettiva, il primo oggetto venuto. Quel concentrarsi nell’attimo d’un oggetto non aveva misura. L’eternità si chiudeva nell'attimo. L’oggetto s’alzava alle proporzioni d’una certezza divina. Non conoscerò più tanta soggezione, nè quella libertà ferma. Ho capito perchè il Congolese fa gli occhi all'idolo con pezzetti di specchio.

Non è assurdo dire che la sete d’innocenza del romantici ha trovato un principio d’appagamento, fra le durezze più gravi della civiltà meccanica, in quello stato, così frequente nella poesia europea d’oggi, nel quale l’amore e la morte si toccano, nel quale la lucidità e il delirio si confondono. Esperienze orrende, lo so, e del resto fatali. Ma attraverso esperienze simili, purtroppo, va, per fortuna, rifacendosi strada la convinzione che la realtà è vera se non si ha la presunzione di negare ch’è misteriosa.

Nell’altro senso, nel senso della memoria, superato finalmente il contrasto romantico, la macchina richiama la nostra attenzione perchè racchiude in sè il ritmo, cioè lo sviluppo di una misura che l’uomo ha tratto dal mistero della natura. La macchina è una materia formata, severamente logica nell’ubbidienza d’ogni minima fibra a un ordine complessivo; la macchina è il risultato di una catena millenaria di sforzi coordinati. Non è materia caotica. La sua bellezza sensibile cela un passo dell'intelletto. Così, usando il verso, ch’è la macchina più perfetta della poesia, il poeta italiano torna a riconoscere che si mette in grado di ascoltare i ritmi a mezzo dei quali all’orecchio dei padri era persuasiva la musica dell’anima; e vede ch’era una bella stoltezza rinunziare a tanta profondità. Ma non sarebbe arrivato a tanta accortezza senza il Futurismo; qui sta il merito di Marinetti.

In breve, la macchina può interessare il poeta se, con mezzi poetici, egli scopre ciò che in essa è racchiuso di naturale, di permanente, d’umano, di universale; se, da un campo non suo, riesce a trasferire nel proprio leggi che sono anche sue.

Noi Italiani siamo figli della misura. Noi, e in questo vediamo riconciliabile la memoria coll’innocenza, torniamo a credere che la luce del mistero scatta ogni volta che nell’opera è raggiunto l'equilibrio. Non abbiamo nè l’accidia, nè la lussuria degli Indiani per ritenerci capaci di mettere al mondo emblemi mostruosi.

Non rispettando la nostra tradizione, dando retta a vocazioni che possono portare alla grandezza popoli d’altra pasta, saremmo condannati a non vedere della realtà se non l’aspetto provvisorio; e perderemmo di vista che ogni atto profondamente umano (e quindi la poesia) emana dall’illusione di vincere la morte. Privi di tale illusione, abbagliati dal nostro io come fosse eterno, e avesse valore fuori delle sue opere, trascureremmo di formare le nostre ispirazioni in qualche sostanza di durata, e saremmo condannati a produrre opere vuote di qualsiasi mistero.

Giuseppe Ungaretti

Mario Carli

E’ l'ormai celebre romanziere di L’italiano di Mussolini, che sintetizza la sua grande passione di futurista fiumano e di fascista. Egli ha dato anche delle splendide manifestazioni del suo ingegno lirico e della sua genialità narrativa in Trilliri, Addio mia sigaretta, e ha partecipato con Settimelli e Bruno Corra al movimento del teatro sintetico. Mario Carli è uno dei più attivi scrittori del movimento futurista ed insieme un forte ed aggressivo polemista. Diresse con Settimelli l'Impero, dirige Oggi e Domani ed ha pubblicato recentemente — in collaborazione con Fanelli — un'ottima antologia di scrittori fascisti. Come poeta estremista futurista e parolibero egli è noto per le sue Notti filtrate e la sua Intervista lirica con un « Caproni ».

1.

Nel tempo dei motori e della radio, che hanno impresso alla vita umana l’imperativo categorico della velocità, guai a chi resta indietro! Non c’è posto ormai per lentezze contemplative, esitazioni amletiche, indugi idilliaci. E la poesia, se vuole resistere ai travolgimento di ogni cosa statica, deve mettersi al passo con la realtà che marcia; giacché senza questa non può esistere. Non c'è più posto nel mondo per la poesia intimista, autobiografica, crepuscolare, prolissa, analitica, microcosmica. C’è posto soltanto per tutto ciò che è alato, dinamico, turbinoso, veloce, sintetico, simultaneo, essenziale. La vita è breve, le cose da fare molte, e la poesia, se vuole incastrarsi fra le cose indispensabili, bisogna che si lan ci a 1000 chilometri l’ora — breve e decisa come un razzo — nella scia della radio e della luce solare. Essa ha sempre avuto la capacità del volo, da Pindaro in poi; e quegli scrittori che la pretendono a immortali e si sentono cittadini dell’eternità, assumendo che la poesia è fuori del tempo e dello spazio, sono essi fuori del loro tempo, di cut non sanno vivere il dramma e la poesia che lo caratterizzano.

2.

La velocità ha creato nuovi paesaggi, panorami imprevedìbili. L’occhio del poeta non si ferma più a osservare il mandorlo in fiore, la farfalletta che svolazza, il lento declino del sole morente, nè il suo orecchio a cogliere i rumori di un casolare in una notte di Luna. Attraverso la velocità le visioni si sovrappongono, s’intrecciano, s’inseguono, si fondono: ne risulta un complesso nuovo, sempre diverso, molto più interessante del vecchio dettaglio. Coloro che dicono: « la velocità è stupida, non permette di veder nulla » vuol dire che non hanno sensi pronti per afferrare l’originalità del paesaggio scorrente, rimbalzante, trasfigurato in un grande affresco volante, in cui gli elementi essenziali, associati in una violenta schidionata diabolica, offrono inediti panorami poeticissimi. Il poeta moderno trae la sua ispirazione sopra tutto dall’incontro del vecchio mondo col nuovo: un deserto africano visto dalla carlinga a 250 km. l'ora non è più il solito deserto dei romanzi d’avventure e dei diarii di esploratori. Una tempesta oceanica attraversata da una motonave dagli stantuffi lottanti come muscoli di giganti non assomiglia alla classica tempesta del brigantino o del tre alberi di verniana memoria. Così per il dramma dei minatori a seicento metri sotto la crosta terrestre, e per quello dei palombari sul fondo del mare. Fate un viaggio in sottomarino, e vedrete quanti mondi nuovi si schiudono alla sensibilità lirica: Guardate una città dall’alto di un grattacielo, e vi accorgerete dei nuovi punti di vista che vi si offrono! Perfino il silenzio, l’immenso silenzio dei cieli, ascoltato a cinquemila metri, mentre il rombo assiduo del motore lo trafora, che altra suggestione vi svela, quante imprevedibili profondità, e che riferimenti spirituali, che colloqui di concreto e di astratto, di finito e d'infinito!

3.

L’Italia, se non sbaglio, è stata la prima nazione a dare al mondo una nuova poesia, ispirata dalla civiltà meccanica del nostro tempo, e ciò e dovuto al Futurismo. Nel 1909, il primo Manifesto Futurista apriva i nuovi orizzonti alla poesia, indicava i nuovi mondi da esplorare, la materia fino allora ignota, da introdurre tra le fonti d’ispirazione lirica. Successivamente, il Manifesto dello Splendore Geometrico precisava e ribadiva i concetti sull’estetica delle macchine, sul fascino della velocità, sui pano rami di folle tumultuanti, sul pathos delle moderne metropoli. Marinetti, Paolo Buzzi, Settimelli, Folgore, Mazza e gli altri poeti futuristi hanno dato saggi bellissimi di questa poesia dal contenuto nuovissimo, a cui doveva forzatamente corrispondere la nuova forma delle parole in libertà e della prosa lirica. Tutto ciò che si è fatto dopo, in Italia e fuori, non è che imitazione o derivazione del Futurismo, che contìnua a sviluppare il suo programma con l’Aeropoesia, già ricca di creazioni fortissime: basterebbe l'Orazione di F. T. Marinetti per la Crociera Atlantica di Balbo, magnifica impennata lirica dalle cento eliche travolgenti. Io stesso ne ho dato dei saggi, fin dal 1917, con la Intervista con un Caproni e con Battaglia, edificio di rumori.

4.

L’immaginazione senza fili, lo stile telegrafico creato da noi futuristi, costituiscono già una sconfinata apertura di orizzonti tecnici. La necessità dì dire molte cose in poche parole ha soppresso molti elementi logici e grammaticali dalla composizione letteraria. Si è fatto anche di più: con la rivoluzione tipografica, si sono introdotti molti segui ed elementi extra-alfabetici, e varietà di caratteri e libertà di ubicazione, fino a far sconfinare la poesia dalla letteratura nella plastica. Con questo non si dice che tutto sia fatto. Le applicazioni della radio, che giungono fino alla televisione e alla trasmissione delia fotografia a distanza non tarderanno a trovare anche nella poesia il loro fecondo campo d’azione. L'immaginazione esige le supreme libertà: lo dimostra il cammino che la tecnica ha compiuto dalla terzina di Dante ai Petits poémes en prose di Baudelaire, e dall’endecasillabo di Foscolo alle Otto anime in una bomba di Marinetti.

* * *

Vi sono poi i « cerebrali puri », i filosofi idealisti, che non voglion distinguere poesia da romanzo e, da dramma, e combinano arzigogolatissimi so fismi per non riconoscere l’esistenza di no nuova estetica, quindi di una nuova poesia. Costoro vorrebbero, con filosofici bizantinismi, dare un nome unico al prodotto del cervello, tanto per non riconoscere il maggior fascino della poesia sulla barbosa filosofia, e pretendono che le macchine non siano materia d’ispirazione o che lo siano allo stesso modo del vecchio mondo poetico e dei vecchi soggetti.

La vita è fenomeno in perpetuo rinnovarsi; cambiano i miti — lo dice proprio Bontempelli — e quindi anche le fonti d’ispirazione. Si ha voglia a essere classici e pagani! Il poeta 1931 preferirà il canto della mitragliatrice e della centrale elettrica al canto della maga Circe sulle rive del Ponto.

Ma niente niente Bontempelli si fosse messo d’accordo con Gentile? Questa sarebbe grossa!

Mario Carli

Franz Hellens

Franz Hellens è uno dei maggiori « romanzieri lirici » ed il maggiore degli scrittori belgi di lingua francese. Opere principali: Les Hors-le-Vent (1909), Les clartés latentes (1912), Nocturnal (1919), Mélusine (1920), Réalités fantastiques (1923), Le Naif, Oeil-de-Dieu. Quest'ultimo romanzo è stato pubblicato, nella traduzione di Salvatore Rosati e con prefazione di Giuseppe Ungaretti, anche in italiano, presso Veditore Vecchioni di Aquila. L’opera di Hellens è tradotta nelle principali lingue europee.

E’ molto difficile rispondere alla vostra prima domanda. lo penso che il pubblico che legge, l'élite stessa, sì sia un poco disinteressato della poesia dopo la guerra; a meno che non siano gli scrittori che si sono allontanati da questo modo d’espressione, attirati dalla voga momentanea del romanzo. A giudicare, tuttavia, dal gran numero di raccolte che compaiono ancora, si può affermare che le Muse non hanno perduto il coraggio ispiratore, anche se la potenza ispiratrice s’è indebolita. Un altro segno che mi permette di credere che la poesia, malgrado tutto, è sempre onorata, lo vedo nel numero abbastanza considerevole d’antologie poetiche che vengon fuori da qualche tempo.

Qual è la sensibilità nuova che si manifesta nella maggior parte delle poesie che leggiamo, sia nel testo originale, sia tradotte? Si riscontrano, nell’ispirazione dei poeti, degli elementi nuovi forniti soprattutto dal « décor » moderno, e particolarmente dai progressi della meccanica. Ma c’è dentro davvero uno spirito nuovo. La vera poesia è prima di tutto movimento, ritmo interiore, « canalisée » direbbe Valéry. La grande poesia, dopo Omero, s’è sempre rivelata per questo carattere essenziale. Ma i poeti contemporanei si contentano nella maggior parte dei casi di segnare nelle loro opere il carattere esteriore di questo movimento accelerato della nostra epoca. Il ritmo nuovo dell’ispirazione non sembra ancora esser stato inventato.

Se ci volgiamo verso la Russia dove i poeti devono respirare, per principio, un’aria tutt’affatto nuova, vediamo che i due maggiori poeti dell’epoca attuale, Essenin e Majakowsky, non hanno portato, dal punto di vista dell’ispirazione e della forma, dei valori molto nuovi. Essenin è un immaginista di genio, e Majakowsky un futurista, di genio anche lui, se si vuole, ma il cui movimento non supera quello inventato molto tempo prima della guerra da Marinetti.

Insomma, lo non credo che la poesia possa rinnovarsi radicalmente. Non credo a una rivoluzione poetica. E’ un genere essenzialmente conservatore, perchè la poesia è eterna, universale, come l'anima umana. Lo spirito poetico non si modifica nè nel tempo nè nello spazio. E’ come il soffio divino; è un puro principio, una vibrante astrazione. Se esiste, nel fondo dell’uomo creatore, qualche cosa d'essenzialmente permanente e immutabile, è proprio questa facoltà d’emozione superiore che si traduce nella musica della poesia. Il verso libero non ha per nulla liberato la ispirazione. E’ un fenomeno, in un certo senso, sociale.

Penso che una poesia veramente moderna (ancora una volta, io non amo questa parola che suona falso quando si tratta di poesia, ma bisogna pur adoperarla per farsi comprendere) si distingue, nella forma, per un’economia di mezzi tutta particolare, per l’assenza di ornamenti inutili, per quella certa varietà di ritmi esteriori che il verso libero, o meglio liberato, permette. La lirica contemporanea si allontanerebbe dalla pittura per l’abbandono quasi completo dll’immagine esteriore, e si accorderebbe con l’architettura per la armonia e le sobrie proporzioni dell’insieme. L’utilità, un’utilità superiore, e, se si può dire, divina, sarebbe il suo carattere principale.

Non ho parlato dell’invenzione. Ma cos’è la poesia senza invenzione? Questa invenzione sarà lirica. Un ritorno al lirismo è necessario. Penso a un poeta la cui ispirazione lirica abbia la forza sobria e profonda, terribile e contenuta, che anima lo straordinario film di King Vidor: Hallelujah! Da questo film alla tragedia eschilea, non c’è che un passo.

Ma ho l’impressione che parlare della poesia sia un’impresa ben vana! Non si proverà mai la poesia, come non si può provare Dio. Ma si può essere condotti verso di essa, avvicinarlesi: ma dalla grazia soltanto.

Franz Hellens

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 21.10.31

Citazione: Non firmato (Lorenzo Gigli), “Inchiesta mondiale sulla poesia,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 17 maggio 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/195.