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Titolo: Speranze tradite

Autore: Pier Maria Pasinetti

Data: 1935-01-23

Identificatore: 1935_67

Testo: Speranze
tradite
Ho ritrovata dopo qualche tempo, non senza stupore, la « persona che si occupa di letteratura ». In verità non so perché me ne fossi scordato tanto presto: ad ogni modo, ecco che me la vidi davanti, sempre uguale a se stessa. Che potevo dire? Avrei voluto ritirarmi prima d’essere costretto ad aprir bocca e trascinato a dire delle sciocchezze, ma la persona aveva già incominciato a parlare.
Sentivo il rimorso e la vergogna di essere quello che sono. La persona invece credeva che fossi quello che lei mi aveva creduto una volta. E su questa base mi considerava un interlocutore ottimo, un piatto di lusso alla sua mensa. Forse mi avrebbe invitato a prendere una tazza di tè? Trasalii. Le mie prime risposte furono evasive: non avevo letto la Nouvelle Revue Française per un pezzo; mi scusasse; ero stato malato; poi, grattacapi, le campagne, gente che non paga; allusi alla crisi; accennai alle difficoltà del momento; tentai un sospiro.
Non avevo il coraggio di dirle che l’editore Grasset era per me lettera morta, che non avevo voglia di leggere « l’ultimo Cocteau ». Sentivo, come ho detto, la vergogna di tale mia situazione. I miei sedici, i miei diciassette anni, che la persona ricordava, erano presenti tra noi e minacciosi, erano un atto d’accusa:
— Che hai fatto? — mi dicevano gli occhi della persona: — Mi sbaglio, o tu da quell’epoca non hai più letta una pagina di Proust? Mi sbaglio, o tu ci tradisci? Mi sbaglio, o tu hai dei dubbi su Huxley?
Cercai di ribattere; le giurai che avevo scritte certe cose, che avevo fatti certi articoli, che avevo letti uno o due libri. Volli farmi valere: le dissi che lei Huxley non lo poteva capire, che io sapevo l’inglese e lei no, che si vergognasse, ecco e basta: ma non serviva a nulla; mi sentivo insufficiente, quasi meschino. Gli scrittori erano cose di sua pertinenza; le mie scuse erano magre, arrivo a dire ridicole; il deserto della mia impreparazione si rivelava sempre più vasto, scoraggiante e arido davanti agli occhi della persona che si occupava di letteratura. Giurai rapidamente a me stesso di pentirmi, ravvedermi e mettermi sulla buona via: — Ho in mente dei racconti... — arrischiai. Mi guardò con sospetto, un sospetto che solo qua e là pareva aprirsi a fioche concessioni di speranza. Mi attaccai a queste ultime come il naufrago all’ultima tavola che fluttua sulle onde; mi sentivo già un altro; osai: — Forse non saranno proprio dei racconti, saranno dei... delle...
Stavo vincendola; quell’indecisione le piaceva, le piaceva proprio; riprendeva a contare su di me, a « piriar », come noi veneziani diciamo, su me e l’opera mia. Ero a cavallo: — Saran delle cose molto souples... — dissi con aria disinvolta e sbadata. Brillò. Mi prese una mano: — Mi dica, mi dica... facciamo quattro passi insieme, non le pare? E perché non verrebbe da me un giorno, sulle cinque? Venga, venga da me un giorno, sulle cinque.
Finsi che il pensiero delle mie souplesses mi tenesse svagato e lontano da lei così da non poterla udire; guardavo in alto, non si sa bene che cosa, ma in alto; le mie parole erano aspettate al varco; dovevo ponderarle. Successe un dialogo pieno di belle cose e interessanti, una causerie fine e simpatica, di cui riferirò qualche parola, come se noi la stessimo ascoltando, in un treno, dallo scompartimento vicino a quello in cui essa si sta svolgendo:
— Generalmente i giovani... Vede, Supervielle... No? Ma allora lei deve leggerlo!... vige un tono... perché certi innesti lirici... però, accostare Valéry... un seguirsi di tocchi che... se vogliamo, lo stesso Soupault... non glielo dicevo? quel che di féerique... è più che altro una questione di timbro... liricità... sono sensazioni scavate... urtano certi settori... auto-coscienza... i limiti... molto oscuro...
A questo punto, se fossimo stati nello scompartimento vicino, avremmo teso l’orecchio per qualche angoscioso secondo, forse per qualche minuto, senza raccogliere nulla. Che cos’è successo? Il rumore del treno. Il grasso che dorme, con la Gazzetta sulle ginocchia, di fronte a voi. Il termosifone sul caldo; aria afosa e intensa, con un profondo odore d’arance andate a male. Ma dopo un po’ si sarebbe udito un nome, il nome-chiave, interrompere quel silenzio, un nome breve e prezioso: — Freud... — Allora ci saremmo chinati a guardare il pavimento, in un raccolto rispetto. Se ci si fosse accostato il controllore l’avremmo preso per la manica della giacchetta e gli avremmo sussurrato: « Non vada di là... lo salti quello scompartimento... non ci vada... ». « Ma perché? » ci avrebbe chiesto il controllore. « Perché c’è di là della gente che sta parlando di... ». Avremmo portato l’indice alle labbra, aggiungendo pianissimo: «... che sta parlando di Freud, sss... non ci vada, non stia ad andarci... ». « Ma chi è Freud? » avrebbe chiesto il funzionario. Noi l’avremmo guardato un momento, congedandolo: « Sssss... non ci vada... ».
Dopo qualche tempo avremmo udita risorgere la conversazione:
— È così vigilato... un’intelligenza autocritica... però, se si prende l’esempio di Gide... assolutamente librato... che veramente assomma... dispersione... la polifonia di uno Stravinsky... sono piuttosto degli essays... ma, sa, Point counter Point... il suo...
La conversazione si sarebbe fatta sempre più piana e tranquilla, come una cosa che s'avvia a durare molte ore; così adesso, per noi, solo poche parole, una ogni tanto, sarebbero emerse dal borbottio...
— ... conchiuso... liricità... non del tutto persuasivo... fantasia vegetale... diffuso... ma non però... astrattismo... se...
A questo punto, se fossimo stati nello scompartimento, avremmo preso sonno.
La mia conversazione con la persona si protrasse oltre le due ore: mi aveva manifestata fiducia; aveva raccomandato, non senza una bonarietà materna, che mi mettessi al corrente; mi aveva promessi certi arretrati di una rivista franco-polacca e un numero dedicato al surrealismo da un gruppo di scrittori belgi e inglesi; poi un nuovo romanzo edito dalla N.R.F., che io avevo fatto finta d’aver letto, ma poi parlandone s’era accorta della bugia facendomi anzi arrossire; inoltre un pamphlet italiano, Ritorno al contenuto; e oltre a ciò mi aveva promesso un volume d’una giovane psicoanalista di Zurigo intorno a questioni letterarie, in cui la scrittrice scopriva il complesso edipico in un mezzo centinaio di scrittori europei. Poi s’era fatta promettere che, quando avessi pubblicate le mie prose, gliene avrei mandata copia con dedica; avevamo deciso d’intitolarle semplicemente: Saggi Lirici. Ma fu a questo punto che accadde il peggio.
Credo che anche i delinquenti, dopo aver negato persuasivamente in vari interrogatori la propria colpevolezza, e sul punto di passarla magari liscia, sentano come uno strappo, non siano come più capaci di resistere a quella febbre che è data da una menzogna sostenuta troppo a lungo; e confessino tutto. Così successe che a un certo punto io non potei più resistere; la guardai con occhi oscuri; gridai: — Non è vero! non è vero! non sto scrivendo i racconti souples! era tutta bugia! non è véro! ecco. — Come il delinquente quando dice: — L’ho uccisa io.
Una strana, immensa felicità mi pervase allora. Vidi d’averle dato un dolore, ma non vi facevo caso. Le vidi la tristezza dipinta sul volto, capii, ma non rimediai. Anzi continuavo a ripetere: — Non è vero, era bugia, non era mica vero, — con una voluttuosa acrimonia.
E detto ciò mi allontanai dalla persona che si occupa di letteratura, con l’impressione d’essermi fatto più forte ed eroico, come quando si è baciati da una donna per la prima volta.
Mi pareva di vederli, i suoi romanzi, i romanzi che non mi avrebbe prestato più, con le pagine segnate qua e là dalla sua lieve matita, mi pareva di vederli! E mi deliziavo in queste immagini, come il bambino gode sognando lunghe file di cucchiai pieni dell’infame liquido bianco, allorché, con un gesto deciso, ha spaccato la bottiglia dell’emulsione.
P. M. Pasinetti.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 23.01.35

Citazione: Pier Maria Pasinetti, “Speranze tradite,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 15 maggio 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1976.