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Titolo: Andrea Maurois

Autore: Gualtieri di San Lazzaro

Data: 1935-01-30

Identificatore: 1935_84

Testo: ISTANTANEE PARIGINE
Andrea Maurois
Parigi, gennaio
Tra i libri della sua biblioteca Andrea Maurois non ha nulla del verme roditore cui potrebbe far pensare quel suo sfarfallamento argenteo nell’aria.
Precedendovi per le stanze e i corridoi della sua bella villa, ha il passo felpato e misterioso dei maggiordomi. Ma a guardarlo meglio, ora che vi è dinanzi, si scopre in lui un precettore, ma un precettore d’alto rango, per prìncipi ereditari: un professore di morale che si permetterebbe di tanto in tanto una rapida incursione nelle materie dei colleghi. È un uomo fatto d’aria compressa; si direbbe, con una vocina fioca che vorrebbe trarre in inganno; ma è la voce di quelli che per farsi ubbidire non hanno bisogno d’urlare.
Docile dinanzi all’obbiettivo. Sorride alla moglie (la figlia dell’illustre signora di Caillavet che fu, a credere a J. J. Brousson, più che la musa, il terrore d’Anatole France). Una fotografia per agenzia d’informazioni deve convenire a pubblicazioni di vario genere, dal magazine americano alla rivista coloniale. Dunque niente sorrisi: gli occhi grandi aperti, e « non pensate a nulla, Andrea, se volete aver l’aria di pensare a qualche cosa ».
Modesto? Ma è modestia innata, avita, o dovuta a una debolezza, a un pensiero costante, a un’inferiorità che si è obbligati a celare?
Soddisfatto di sè. Disraeli infatti è un capolavoro.
Sembra debba temere che un colpo di vento spalanchi la finestra che fa del grazioso giardino una vegetazione chiusa in un bicchiere. (Idea costante: finché la finestra rimarrà chiusa, tutto andrà bene).
Nella poltrona ritrova la piacevolezza del grande scrittore, l’autorità cordiale dell’autore più letto nel mondo.
È chiaro che la sua poltrona è la sua conchiglia. In un'altra non riuscirebbe a scrivere un rigo. A poco a poco va colorandosi; nella trasparenza della sua pelle sottile è come se un liquido riempia lentamente un recipiente di vetro. Finchè ci si trova in presenza di un Maurois carnoso, sicuro di sè, indistruttibile. Ora vien fatto di pensare al Napoleone di Kassner. Sopprimete il Maurois che vi sta dinanzi e un altro Maurois d’aria compressa s’avanzerà sorridendo dalla parete di libri. E se distruggete il secondo, ne verrà fuori un terzo, e dopo il terzo, un quarto. Una catena di Maurois. Se vi parla sembra che vi detti, ed è sorpreso che non gli rinviate lo strepidio della macchina da scrivere. C’è nelle sue palpebre umili quasi un rimprovero. Facciamo finta almeno di stenografare.
L’idea fissa non è più la finestra, ma la felicità. Andrea Maurois — e stupisce di non averci pensato prima — più che professore di morale è dotto in eudemonologia. Da bambino voleva abituare una tartaruga a servirsi di pattini. Più tardi, maturando il Bernard Quesnay, s’interessò ai dipendenti della fabbrica paterna. La fabbrica ch’egli diresse per lunghi anni, finchè gli interminabili giustificativi degli editori non richiesero l’apertura d’uno speciale conto in banca. Dopo Bernard Quesnay, Climats: l’evanescente e penelopea felicità coniugale. E dopo Climats, Le cercle de famille, L'instinct du bonheur. Anni di tirocinio: Mes songes que voici. Anni decisivi: Sentiments et coutumes, pubblicati in questi giorni dal Grasset. L’idea della felicità in Maurois è un’idea concreta. Egli promette la felicità come certe compagnie d’assicurazioni garantiscono una vecchiaia tranquilla. La felicità di Maurois non è la fragile coppa di Colette. È qualcosa che si acquista a piccolissime rate: un tanto di volontà al giorno. Non è l’affezionata e romantica felicità di Chardonne, riservata ad avventurose anime di provinciali. È, se mai, una vecchia signora che vi siete presa in casa e che quando Dio vorrà vi lascierà una fortuna. Intanto vi è dovere prevenire ogni suo piccolo desiderio, camminare sulla punta dei piedi, adattarvi al suo regime alimentare, farle la sera un po’ di musica, venerare ciò che sembra piacerle, aborrire quanto non è di suo gusto.
Immagino un lettore di Sentiments et coutumes fargli visita, tra venti anni.
— La vecchia signora è morta — dirà con voce cupa. — Erano vent'anni che l’avevo in casa. Ha legato tutti i suoi beni alla' clinica di un veterinario (adorava tanto le bestie quella non più tanto cara signora). A me non ha lasciato che uno specchio buio del Settecento.
— Amico mio, — risponderà l’autore di Felicità per tutti, dalla sua poltrona conchiglia, e la sua voce fioca sarà allora appena un sommesso bisbiglio — avevate chiesto di più? E di che cosa vi lagnate allora? Ricordatevi di San Matteo: « Chiedete e vi sarà dato; cercate, e troverete; bussate, e vi sarà aperto». Vi siete guardato almeno in quello specchio? Andate, guardatevi a lungo. Ormai non vi occorre più nulla. Alla nostra età, non è la felicità che ci viene a mancare; siamo noi, piuttosto, che manchiamo lentamente ad essa.
G. di San Lazzaro.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 30.01.35

Citazione: Gualtieri di San Lazzaro, “Andrea Maurois,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 16 maggio 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/1993.