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Titolo: Storia di una frase

Autore: Adriano Grego

Data: 1935-02-13

Identificatore: 1935_98

Testo: Storia di una frase
Quel ramo della famiglia Rotabile che risiede a Milano, da una serqua d’anni ha perduto, se non ogni contatto, almeno ogni fraternità col ramo maggiore che abita nell’Italia centrale. A capo d’anno o a Natale vengono ancora spediti dei telegrammi augurali, ma subito chi li riceve li getta con malcelato dispregio in un angolo. — Di chi è? — chiede qualcuno. — È la tua ineffabile cugina Anna — si risponde. Oppure: — Sono quei simpaticoni di via Monte di Pietà. — Quando poi per avventura, in occasione di un matrimonio o d’un funerale o d’un battesimo, l'incontro è inevitabile, si ripetono le solite scene, punzecchiature, paroline prudenti dette in punta di labbra, sorrisi mielosi, consìgli col veleno nascosto. — Hai fatto bene, in fondo, a far troncare gli studi alla tua Luciana. È meglio non affaticarle le ragazze. E poi, per dedicarsi con impegno al tennis, c’è poco da dire: bisogna sacrificar qualche cosa. Dove siete stati in montagna quest’anno?
L’ostilità tra le due famiglie è assoluta e non si esaurisce col passare degli anni. Gli uni accusano gli altri d’esser taccagni. Questi di non avere prudenza. Gli uni dan troppa importanza agli studi dei ragazzi; gli altri li trascurano. Gli uni conducono le figlie in società dopo quindici primavere; gli altri preferiscono allungare l’infanzia della loro prole. Ogni modesto problema economico, mondano, culturale, ogni minuzia della vita quotidiana — i caloriferi, la scelta dei domestici, i titoli cavallereschi, i vestiti delle signore, la maggiore o minore osservanza religiosa, l’uso della lavanda a preferenza dell’acqua di colonia, l’arredamento all’antica o quello razionale delle case, i tappeti o il linoleum — tutto costituisce motivo di dissenso, tutto conserva e inasprisce l’ostilità delle due famiglie.
Nell’una e nell’altra, poi, esistono gli elementi prototipici, quelli cioè che riassumono i difetti delle due parti e li esasperano. Elementi che servono al gioco d’irrisione e di denigrazione degli avversari e che si citano come spauracchi borghesi ai bambini:
— E tu, caro, non studiare. Vuol dire che finirai come lo zio Anseimo.
— Ma togliti quella cravatta, sciocco che non sei altro. Una cravatta così non la sceglierebbe nemmeno tua zia Amalia.
Da quanti anni dura questa discordia fra i Rotabile di Milano e gli altri? Ecco quanto sono riuscito a sapere esattamente dopo un’indagine su Cui sarò lieto di ragguagliarvi.
* * *
Vi dirò dunque che frequentando i Notabile di Milano mi nacque il desiderio di conoscere le ragioni per cui — senza che esistessero gravi conflitti d’interessi o sostanziali differenze di temperamento — un’ostilità cocciuta e remota separasse le due famiglie. I bambini, in fondo, subivano l’influsso dell’educazione paterna. E quell’antipatia che i padri non riuscivano ad istillare nei loro pargoli verso la deplorevole usanza di bagnare i gatti del cortile, di suonare i campanelli delle porte dei vicini per poi scappare ansimanti e gioiosi su per le scale, di sfruconarsi le narici coi ditini — riuscivano invece mirabilmente ad imporre nei confronti dei cugini lontani. Sparlare della zia Amalia era un gusto prelibato per tutti. Era un gioco di maldicenza in cui la solidarietà familiare e l’istinto della irrisione s’incontravano, si componevano simpaticamente.
Ma anche i padri non avevano ragioni precise di rancore, ché il rancore l’avevano ereditato dai loro maggiori e solo coltivato con mediocri scoperte personali. E i nonni? Anch’essi innocenti. C’era stata, è vero, ai tempi di Pelloux e delle barricate rosse, una questione spiacevole per certe ipoteche su un fondo chiamato Mondor, ma poi la pace era stata fatta.
Bisognava risalire ancora indietro nei tempi per trovare l’origine della discordia. Ecco. Immaginate il vecchio Carlandrea Rotabile e la moglie, seduti intorno al tavolo. È sera e la lampada a petrolio segna nel soffitto un cerchio di luce tremolante e intorno, negli angoli, una zona di ombra. Al solito, si litiga. Nulla di strano, perché quando un vecchio compito ordinato regio notaio s’azzarda a prendere in moglie una donnina di ventitré anni più giovane di lui, coi capelli a boccoli tizianeschi e con una madre francese, c’è poco da dire: bisogna che il regio notaio passi metà del suo tempo a cavar grilli dal capo della consorte e a frenarne gli impulsi da poliedro.
— Claretta, te lo dico per la terza volta, il modello di biancheria che hai scelto non mi va. » Sono certo che anche Giuseppe non la trova « comme il faut ».
— Giuseppe è un bravo ragazzo, ma non sa nemmeno come son vestite le donne.
— Meglio così per tutti.
— Gli uomini, caro mio, se non fanno i capricci prima del matrimonio, li fanno dopo.
— Claretta, non voglio che tu parli così. Se qualcuno ti sentisse crederebbe che tu avessi una conoscenza perfetta di tutta l’umanità maschile.
— E tu non ti preoccupi che di quello che pensano gli altri.
— Sicuro! Io difendo il mio decoro.
— E tu hai un’idea del decoro che mi fa ridere.
— Basta! Claretta!
Va bene. Basta. Claretta si ritira imbronciata e ricomincia a leggere le sue poesie. Sa che il regio notaio non può sopportare le donne che leggon troppo e per questo tiene ben in vista il suo libro. Intanto, ricomincia a pensare al corredo da sposa che ha preparato per la figlia, ai bei merletti antichi, a quel Giuseppe che è un fidanzato un poco scolorito, con delle vecchie idee nel cervello. Non le piace quel fidanzato. È un cugino anche luì, un Rotabile, un manico di scopa che non è mai stato a Parigi, che non ride nemmeno quando c’è la luna nuova.
Avrebbe preferito di gran lunga che la figliola avesse sposato Monsieur Pierre. Quello era un uomo davvero! E poi un vecchio casato, un giovane coi fiocchi. E se Monsieur Pierre avesse rapito la ragazza! Che grande avventura! Aveva un modo di baciar la mano alle signore...
Pensieri che frullano per il capo, fantasie. I bei boccoli tizianeschi di Clara sono immobili e solo gli occhi si muovono, avidi, palpitanti, come se cercassero lo spazio che non trovano in quella chiusa stanza. Clara non ha più sogni per sé: o almeno pochi. Ma per la figliola i sogni sono intatti e Giuseppe Rotabile è un manico di scopa.
Ecco. Sono passati tre giorni. La bomba è scoppiata nella casa del regio notaio e i domestici, prima d’entrare, si consultano fra di loro. Clara piange. La figlia si è sciupata gli occhi sfregandoli coi fazzoletti, di batista. Tutti parlano dell’uovo alla coque. Carlandrea passeggia come Napoleone all’Isola d’Elba. Che si fa? Che si deve fare? Il regio notaio è contro la consorte a tu per tu, ma è vicino a lei di fronte al nemico. L’affare dell’uovo alla coque è enorme. Giuseppe Rotabile è un imprudente, uno scostumato, un essere indegno. Dov’è la lettera? Dove l’avete messa? Ma è inutile riguardarla, perché tutti la sanno a memoria.
« Amatissima mamma, avevo già espresso il desiderio che Monsieur Pierre, notorio corteggiatore della mia fidanzata, non frequentasse ulteriormente la vostra onorevole casa. Ma poiché ho appreso che per tutto il pomeriggio di ieri il nominato Monsieur si è trattenuto con voi, sono a pregarla per un’ultima volta di porre un termine a codesta indesiderabile assiduità. Scrivo a Lei anziché al signor zio, essendo che egli non è presente in città. Tengo eziandio a farle noto che fra l'umile sottocritto e un uovo alla coque esiste qualche differenza.
« Mi professo di Lei umilissimo e affezionato servitore Giuseppe ».
Clara piange, Carlandrea passeggia. Da tre giorni Giuseppe non si è più fatto vedere in famiglia. Il decoro — dice il regio notaio — vuole che Giuseppe non metta più i piedi in questa casa. Ma la ragazza? La ragazza dichiara che non mangia più. Che vuole morire. Che Giuseppe è il suo ideale. Che sposerà Giuseppe, Giuseppe, il suo adorato Giuseppe.
* * *
— E allora sposalo, se lo vuoi — ha dichiarato il regio notaio. Ma l’ha dichiarato a denti stretti e ha conservato per Giuseppe, l’uomo dell’uovo alla coque, una sorda ostilità. Baci, abbracci, al momento della partenza, ma il rancore è sempre vivo. Passeranno gli anni e il rancore rimarrà. Così il germe della discordia è nato e si è conservato nel tempo: perché gli uomini ereditano volentieri e volentieri trasmettono le loro antipatie.
Adriano Grego.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 13.02.35

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Citazione: Adriano Grego, “Storia di una frase,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/2007.