Enrico Thovez Nel decennale della morte (dettagli)
Titolo: Enrico Thovez Nel decennale della morte
Autore: Enrico Thovez
Data: 1935-02-27
Identificatore: 1935_121
Testo:
Enrico Thovez
Nel decennale della morte
Cade in queste settimane il decimo anniversario della morte di Enrico Thovez. A ricordare l’illustre scrittore e critico, della cui collaborazione la Gazzetta del Popolo si è onorata, trascegliamo dai suoi manoscritti inediti, messi gentilmente a nostra disposizione dal fratello, questa breve antologia di pensieri e di spunti autobiografici. Essi provengono da note e da abbozzi tra i quali figurano larghi frammenti di un poema drammatico intitolato La trilogia di Tristano, che è ampiamente e lucidamente esaminato in un libro uscito in questi giorni in coincidenza con l’anniversario della morte del Thovez. L’autrice, Silvia Gabutti, (Armonia d'arte e di vita nell’opera di Enrico Thovez - Tip. Del Signore, Torino - L. 10), con indipendenza di giudizio e acuta comprensione del problema critico del Thovez, riesamina e definisce con esattezza il valore dell’opera dello scrittore torinese e la sua influenza sulle correnti del pensiero e della cultura contemporanea.
L’ambizione è uh istinto che non può essere soddisfatto se non col danno altrui, piccolo o grande che sia. Non si avanza se non conculcando gli altri, se non occultando le proprie deficenze, esaltando i propri meriti e deprimendo gli altrui. Senza violenza e senza scaltrezza il merito non può farsi strada se non in circostanze eccezionalmente fortunate; in genere è molto se può sperare il riconoscimento dopo la morte, quando non fa più ombra e non desta più invidie ed ire.
Le donne piangono a leggere in un romanzo ciò che fanno con crudele indifferenza nella realtà.
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Vi sono mediocri onestissimi che fanno professione di immoralità per creduta eleganza d’ingegno, e nessun immoralista è più insopportabile di questi innocui.
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Se i mediocri sapessero mostrarsi quali sono, riuscirebbero quasi sempre persone rispettabili per un apprezzabile buon senso. Ma quelli che consci della loro mediocrità si sforzano d’essere da più, affettandosi superiori alla morale comune, cadono nei più grossolani errori di giudizio, perché manca loro il mezzo di misurare la loro finzione.
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Vecchio, quando le correnti del pensiero, del sentimento saranno inaridite, quando il mio cuore sarà torpido e la mia mente stanca, allora leggerò ciò che pensarono gli altri intorno alla vita ed al mondo. Finché dentro di me palpita un desiderio mio, finché nella mia mente lampeggia un ideale mio, voglio vivere di me stesso, elaborare secondo la mia mente la mia visione del mondo, vivere col mio cuore.
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V’è un passo dell'Iliade che non ho mai potuto leggere senza una commozione indicibile. È quando nella tregua fra Achei e Troiani, Priamo dall’alto delle mura di Troia chiede ad Elena il nome dei capi greci che stantio in campo. Ed ella gli indica Agamennone, Odisseo, Aiace, ma invano cerca fra di essi Castore e Polideukes, di cui ignora la morte. Forse che si nascondono — si chiede — per onta della colpa della sorella? « Così parlava, ma quelli la terra nutrice di vite teneva giù nel suo seno, nel caro suolo della patria ». Che suono accorato, che aura solenne di mistero in questi versi!
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Chi vede i difetti più che le qualità e le difficoltà più che la facilità, lo deve al fatto d’avere una maggiore idea di perfezione. Le persone che più facilmente vedono il buono e il fattibile sembrano avere miglior carattere, e non hanno invece che minor intelligenza e coscienza.
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Il pessimismo è un errore. La vita non è cattiva. Essa può essere bellissima di poesia e di piacere. Il vero è che l’individuo è impotente a indirizzarla. Tutto dipende dalle circostanze, cioè dalla sorte. Fossi pur nato colle qualità più preziose che possano rivestire la natura umana, la tua vita può essere infelicissima, come è infatti, se manca il campo alla tua azione. La sorte è la sorte. E noi vediamo che essa offre piaceri e creature elevate all'uomo sensuale che si prostituisce, e incatena in mezzo a cose e a genti vili l’anima eletta capace di un godimento ideale. La sorte è tutto, e come è noto è cieca. Io non mi lagno della vita, ma delle circostanze. Furono esse che mi compressero, mi snaturarono, mi inaridirono.
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Il filantropo piange tutto il giorno sui mali della lontana umanità ed escogita innumerevoli progetti per salvarla; ma se di notte sente che qualcuno di casa sta male, finge di dormire e si volta dall'altra parte.
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Tu trovi sempre ragioni alle tue debolezze. Sei buono ma sei debole. Vedi il bene, ma non hai sempre la forza di perseguirlo. Ti lasci attirare dalle perversità raffinate perché condite da un certo spirito mordente...
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Vi è qualche cosa nel mondo che mi attira, ed è la poesia; e non la poesia che si traduce in parole o in pittura, ma la poesia che è vita. Fare della mia esistenza un’opera di poesia è per me lo scopo più alto: anzi non è un desiderio, ma. un bisogno. Vivere la poesia del mondo in ciò che ha di più puro, natura e creature, e se da questo godimento rampollerà poi l’opera d’arte, sia pure, non potrà non essere grande.
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L’attività dell’uomo moderno è veramente immensa e mirabile. Egli sta curvo sul mistero delle cose, ne scruta con l’occhio armato l’intima vita. Invano la natura riluttante vorrebbe sfuggirgli: egli la incatena e le strappa a forza la legge. Ciò che già apparve meraviglioso si rivela logico e inevitabile: il miracolo cade ed il fenomeno si traduce in rigidi numeri. Se una cosa avviene è perché non poteva non avvenire. Una catena infinita di cause e di effetti lega strettamente tutta la realtà delle cose in un’armonia impeccabile. Noi penetriamo nel segreto della natura, ne ascoltiamo gli interni battiti, ne comprendiamo l’intima bellezza: ah! l’antico alchimista che tra la fuliggine e i fuochi dei suoi fornelli credè di veder brillare il lucido metallo nella fiala, non ebbe il senso di questa gioia ineffabile!
La chiave della natura non è da cercarsi fuori di noi; non cade gettata da una mano misteriosa da una finestra socchiusa del cielo: essa è in noi, non è altro che l’immortale spirito dell’uomo. Egli non deve attendere ingannevolmente che una scala di seta rotoli dall’alto a condurlo alla stanza del suo divino amore, ma deve virilmente sovrapporne i gradini col cumulo dei fatti e cementarli col suo sudore.
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Ritornare al sentimento, che non è il sentimentalismo. Si, non c’è altra via di salvezza per un’arte che non voglia diventare una letteratura di bruti.
Enrico Thovez.
Collezione: Diorama 27.02.35
Etichette: Enrico Thovez, Fotografia
Citazione: Enrico Thovez, “Enrico Thovez Nel decennale della morte,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/2030.