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Titolo: Dostoievschi e la precisione

Autore: Giuseppe Ungaretti

Data: 1935-03-06

Identificatore: 1935_130

Testo: Dostoievschi
e la precisione
« Noi perlustriamo gli abissi » dice Jacques Rivière opponendo — in un saggio che è, a mio modesto parere, il più giudizioso apparso sul romanziere russo — l’arte francese, l’arte del romanzo francese — s’intenda addirittura il metodo occidentale d’analisi psicologica — all’opera di Dostoievschi. Ora l’errore di Rivière è di credere che l’opera di Dostoievschi possa trasporsi in problemi di metodo, d’analisi, di psicologia e così ridotta generare un buon romanzo di tipo francese. Per Dostoievschi c’è principio — diciamo principio lirico — quando non si capisce più nulla per avere capito troppo.
Se il buio non è un buio delle cose, né notte passeggera o un effetto di fumo o di nebbia, se non è nemmeno il buio d’un macigno — un macigno si può fare, occorrendo, saltare per aria — ed è invece buio dello spirito all’ultimo limite, come fare a entrarci coi lucignoli, quelli compresi della buona marca vantata da Rivière? Se Dostoievschi fosse stato francese, sarebbe stato tutt’al più uno Zola. Sono strade, sebbene Rivière rifiuti Flaubert « pour avoir voulu être d’emblée et directement objectif » dove, mettendoci a cercare il principe Miuschin, e volendo proprio trovare gente d’analoga specie e frutto d’una potenza d’arte non minore, non troveremmo se non Bouvard e Pécuchet.
Rileggiamoci Dostoievschi. V’incontriamo una turba, ma è sempre un’unica figura che gira su se stessa, e il suo moltiplicarsi è dovuto alla vertigine del suo giro. Vano a Dostoievschi, e a chiunque, qualsiasi tentativo di definire logicamente tale fantasma facendogli assumere, comunque, un atteggiamento di controllo verso le circostanze.
Non si tratta d’un modo diverso di concepire il dramma: il dramma infurierà sempre alle origini dell’essere, da Eschilo — che voleva dimostrarci come al principio non possa esserci se non misura e la tragedia non dipenda se non da eccesso o da difetto di misura — a Dostoievschi — che è d’altro parere.
Ma noi sappiamo benissimo che se per l’uomo tutto poggerà sempre su un dato oscuro, nessuno sarà mai in grado di risolversi umanamente in tale dato senza confondersi e perdersi, e non meno bene sappiamo che non ci sono luci umane — né proustiane, né freudiane — capaci di renderci chiaro tale dato.
Il mistero c’è, ed è in noi. Basta non dimenticarcene. Il mistero c’è, e col mistero, di pari passo, la misura; ma non la misura del mistero, cosa umanamente insensata; ma di qualche cosa che in un certo senso al mistero s’opponga, pure essendone per noi la manifestazione più alta: questo mondo terreno considerato come continua invenzione dell’uomo. Il punto d’appoggio sarà il mistero, e mistero è il soffio che circola in noi e ci anima; ma noi siamo portati a preoccuparci di quegli sviluppi che dànno situazione magari a un albero in un paesaggio, di quella trama di rapporti che non tollera spostamenti se non subendo un cambiamento di carattere. Ed è perciò che per noi l'arte avrà sempre un fondamento di predestinazione e di naturalezza, e insieme un carattere razionale, ammesse tutte le probabilità e le complicazioni del calcolo: se avessi quattro invece di tre elementi, se capovolgessi l’ordine, se soffiasse un gran vento, ecc., e se avessi un quinto fattore succederebbe... il finimondo, forse, ma resteremmo sempre in un campo di precisioni inesorabili. Trovata la via della logica, un ciottolino può diventare un macigno e tenersi in bilico, e un uomo tranquillo, grosso non più d’un granellino di sabbia, passargli sotto (all’ombra).
Quest’arte greco-latina, mediterranea, nostra, arte di prosa e arte di poesia, secoli e millenni d’arte, quest’arte può anche dirsi miracolo: miracolo d’equilibrio! Ho detto, e vorrei ripetere, che il mistero non può negarsi ed è in noi costante; ma vorrei dire che la logica in un’opera d’arte precede perfino la fantasia, se logica e fantasia non si generassero a vicenda; ma vorrei dire che tutto quel potere d’evocazione della realtà, quel potere magico di restituire per sempre, muovendo la fantasia, un momento della realtà, l’arte l’ottiene principalmente per una sua forza geometrica. Certo il dono degli artisti veri sarà quello di riuscire a dissimulare questa forza, come la grazia della vita nasconde lo scheletro.
Limiti e proporzioni: ecco, per noi! E non ci sono narcotici, stimolanti, paradisi artificiali che possano liberarcene. Un uomo può gettare un ponte, semplificare i mezzi di comunicazione, non abolire le distanze, tanto meno una distanza umanamente inconoscibile come quella tra l’effimero e l’eterno.
La nostra civiltà è fatta in questo modo.
E perciò, da noi, tanto è difficile la via dell’arte, e, quando la grandezza è raggiunta, tanto contiene malinconica serenità.
Giuseppe Ungaretti.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 06.03.35

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Citazione: Giuseppe Ungaretti, “Dostoievschi e la precisione,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 02 maggio 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/2039.