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Titolo: Letteratura da fiera, Bancarelle d’ Egitto con pesca reale Un uomo spaccato nel bazar, Miracolo d’un vecchio libro di medicina, Libri che vanno libri che vengono e libri che restano

Autore: Enrico Pea, Corrado Alvaro

Data: 1935-03-13

Identificatore: 1935_142

Testo: Bancarelle e muriccioli
Letteratura da fiera - Bancarelle d'Egitto con pesca reale Un uomo spaccato nel bazar - Miracolo d’un vecchio libro di medicina - Libri che vanno, libri che vengono e libri che restano
Avete mai fatto una scoperta sensazionale o per lo meno di grande interesse su una bancarella o su un muricciolo? Che cosa cercate e scovate di solito in queste umili, ma preziose fonti ausiliarie dei vostri acquisti di libreria? Quali sono i muriccioli e i « muricciolai » più caratteristici che conoscete e frequentate?
Il « Diorama » s’è rivolto con queste domande ai più noti scrittori italiani: pubblichiamo qui le interessanti risposte inviateci da Enrico Pea e da Corrado Alvaro.
In Versilia le bancarelle non usavano quando io ero ragazzo. E nemmeno nei giorni di fiera ne venivano di fuori. E poi questo nome è forse romano, napoletano o giù di li. Di altrove è certo perchè da noi si direbbe carretto, la bancarella, anche se si trattasse di tavolato a mo’ di banco improvvisato sopra due caprette di legno o di ferro, attrezzatura di tutti i venditori ambulanti dit chincaglierie, di nastri o di libri, di merci minute in genere, quando si fermano nelle contrade o nelle piazze in fiera. Anche a Livorno dove vidi per la prima volta alla rinfusa sopra un banco, per la strada, dei libri in vendita, si diceva carretto la bancarella. Dicevano: Ho comprato questo libro sopra un carretto in piazza, e via così. A Napoli, invece, quando ci passai per andare in Egitto, ragazzo, durante la sosta del vapore, vidi una strada apposta fiancheggiata da bancherelle di libri usati e si chiamavano proprio così « bancarelle ». Non escluderei che si chiamassero così anche dalle altre parti d’Italia, anzi, sarà in questo modo anche dalle altre parti, meno che da noi. La precisazione non è pedanteria, ma è per dire che libri sulle bancherelle durante la mia prima infanzia, al mio paese non ne ho veduti. Ho veduto invece e ne ho ben la memoria, al muro della canonica, e sul fianco della chiesa pendenti ad una cordicella come se fossero stati fazzoletti stesi ad asciugare, storie di Santi, tenute ferme e distese da una forcella rudimentale di canna, ed anche sui muricciuoli che fanno da sedile, ne ho vedute. Anche qui, distese pezzoline al sole con sopra dei sassetti perchè il vento non le facesse volar via, immagini di Santi, storie di briganti, stornelli e contrasti da cantarsi sulla chitarra. Storie con le vignette crudeli, stampate in fronte più eloquenti del titolo. Ed è per quelle vignette che comprai carta stampata, la prima volta, per due centesimi:
« La storia di Beppe Mastrilli assassino per amore » e « La cantata della nascita di Maria » che incominciava così:
A di otto di settembre - in sul far della mattina - venne al mondo la Regina - dell’aurora allo spuntar.
La vignetta che illustrava. l'avvenimento della nascita era a due colori, mentre quella del brigante era nera
Qui Giovacchino rassomigliava a Giuseppe e S. Anna a Maria e la puttina fasciata era simile a Gesù Bambino. Lo stesso frontone stava sopra le sestine che narra vano di Gesù nel Presepio. Ma anche l’uomo barbuto con il cappello a pane di zucchero, col trombone a tracolla, col pugnale alla cintola e le cioce figurava come testata ad altre storie di briganti e di brigantesse che vestivano anche loro abiti maschili e portavano forse anche la barba finta. Queste figurazioni e queste storie, che erano quasi sempre narrate in poesia, sono stati i Pinocchio, i Salgari, i Venie, le favole della mia. infanzia e ne serbo memoria felice come di tesori che m’hanno dato poi la voglia di sapere e di cantare.
In Egitto i libri vecchi non stavano nè su bancarelle, nè su carrelli, nè sopra muriccioli. Al bazar arabo dove io andavo tutti i venerdì (lavoravo alle ferrovie o al porto ed il venerdì era il mio giorno festivo) trovavo accatastati i libri per terra come se fossero stati laterizi di demolizione, scaricati lì da un carro, ammucchiati proprio alla rinfusa, come sassi al margine della strada. Per frugare in quel cumulo bisognava accoccolarsi per terra: bilanciare il corpo sulle ginocchia: sarebbe stato più comodo inginocchiarsi. E poi bisognava tirar fuori dal mucchio a caso. Era, come si dice, per un certo giuoco di beneficenza: pescare alla pesca reale. Qui si sarebbe dovuto dire: pescare alla pesca universale, perchè dentro quel mucchio c’era di tutto e tutte le lingue erano onorate a uno stesso modo. Rifiuti internazionali, questi. libri, di famiglie che vanno a stabilirsi nei villaggi interni, o vanno altrove, o rimpatriano. Paese di passaggio, di avventura, di conquista, questo, di provvisoria residenza sempre, per tutti: chi viene in questo paese, spera di potersene riandare; spera magari fino al giorno dell’agonia: in qualche modo si parte sempre. Si. vendono poi i mobili all’asta. Dei libri se ne fa un blocco e si portano con gli altri al bazar. In questo mucchio sono presenti tutte le parti del mondo che hanno una lingua scritta e stampata.
La gente accoccolata giro giro al mucchio era anche fisicamente diversa ma parevano associati tutti allo stesso rito, così torno torno a quella montagna di libri, come in adorazione d'un simbolico Sinai, ed invece ognuno pensava per proprio conto e se qualcuno pregava, pregava il proprio Dio nella propria lingua. Gli ebrei li riconoscevi subito dal naso e dalla barba, ed anche i protestanti e gli epiroti dalla testa schiacciata di dietro: sul capo gli si vedevano i cappelli stare malfermi. Gli arabi non era solo dalla calabìa che si riconoscevano, ma dal modo di agitarsi mentre leggono, ed anche gli ebrei indigeni leggevano così. E poi ci sono tante altre varietà di orientali. Italiani pochi, ne venivano intorno al mucchio, ma europei sì, ed anche loro denunziavano i paesi di origine chi dalla peluria bionda, dal viso ancora roseo, dai baffetti arricciati spuntati o a cavatappo all’in sù. Dal taglio del vestito, dalla paglietta, dalla caschetta del nord. Ma poi il colore locale è color pallido e si poteva giudicare chi era nuovo del paese. Io non ero nuovo nuovo, ma ero già assai olivastro (il termine non è esatto: ero patito e depresso) quando scopersi nel mucchio un libro di medicina naturalistica che pareva stampato apposta in quel momento per me. Un’altra volta avevo avuto una grande gioia: frugando nel mucchio avevo tirato fuori un pezzo di libro che doveva appartenere ad un intero trattato sul teatro. Ma il pezzo capitato nelle mie mani non era che un capitolo: « Del nodo e dello scioglimento »; il resto, forse, era sepolto sotto le macerie e per quanto frugassi, in quel giorno e nel giorno di poi, il rimanente non mi riuscì mai rinvenirlo.
« Del nodo e dello scioglimento », ecco finalmente come si costruisce un dramma, come si lega, come si scioglie. Analitico, citava esempi di tragedie vetuste che non avevo mai sentito nominare ma le rifacevo nella mia arbitrarla immaginazione. Quel capitolo è stato l’inizio alla passione che ho per il teatro e coincide con un infortunio che credetti mi avesse fracassato il petto per sempre. Ero caduto dal sommo di una locomotiva in riparazione alle ferrovie egiziane, dove facevo il meccanico. Ed ora, convalescente, stavo a giornate al bazar intorno ai vecchi libri, nella speranza di ritrovare il resto di quel libro che parlava del dramma. Il libro della medicina naturalistica mi dette subito il senso di una variante sullo stesso argomento. Ed era infatti per me un trattato sul dramma della salute precaria che mi scoraggiava: pareva che dovessi andare in cattiva disposizione. Dopo quella caduta ero dimagrato a vista d’occhio ed avevo la febbretta serale. E capivo quello che dicevano e quello che tacevano i medici. Nel tirar fuori dal mucchio il libro della medicina naturalistica, era caduto un foglio illustrato. Lì era raffigurato un uomo spaccato. Vidi per la prima volta come ero fatto di dentro ed ebbi terrore. Ma poi leggendo le descrizioni sull’uomo, delle malattie che lo affliggono e del modo di guarirle senza farmachi costosi e rari, cominciai a riavere fiducia nella vita e a capire che il corpo umano, tanto complicatamente delicato di dentro, era altrettanto perfetto: aveva risorse a noi ignorate. Provvedeva da sè a molte cose. Pensava anche a difendersi dagli sbagli dei medici.
Il libro era scritto in forma popolare, senza termini scientifici od oscuri a me profano. E parlava dell'acqua, dell'erba e del sole come se fosse stato un libro di poesia.
Enrico Pea.
Non ho mai fatto scoperte, purtroppo, presso i librai d’occasione; li frequento cercando la rivelazione e torno a casa con tutt’altro. Così mi sono fatto un fondo di biblioteca, cercando lo strano ho messo insieme i libri indispensabili. Un'avventura assai solita pei cercatori di occasioni è quella di portarsi via come curiosità libri di cui nessuno serba più memoria, i libri mediocri di epoche passate. Anche questi sono istruttivi: contengono tutti la medesima lagna: che i tempi son brutti; che non c’è più grandezza; non ci sono più artisti; una volta le cose andavano diversamente; ecc. Molti libri recenti fanno lo stesso; l’umanità si crede uscita sempre dal paradiso terrestre: le stesse frasi, gli stessi rimpianti li ho letti in libri del Cinque, del Sei, del Sette e dell’ Ottocento. Séguito a leggerli tutt'ora, press’a poco con le stesse parole e lo stesso impeto. Poi le epoche passano e qualche cosa resta. Presso i librai d’occasione un altro mio svago è di aprire a caso uno di quei libri che restano. Come il libro mediocre è in gioiellato, festoso originale, così il libro che rimane è dimesso; il ritmo del pensiero, della prosa, del verso, quel tanto che dà un sigillo all'opera d’arte ubbidisce sempre alla medesima legge; sotto questa legge si allineano i buoni libri, anche quelli che al loro apparire parvero i più strani. I quali sono sempre un fatto personale. Ogni epoca lascia nell’arte il suo modo di illuminare, d’impastare il colore, la sua moda che fa presto a parere dissueta; ma alla fine quello che resiste ha un solo tono, profondo, invariabile, come il respiro umano. A distanza di dieci anni, i buoni libri hanno già il colore del loro tempo e una certa patina; i mediocri danno l'idea di entrare in una vecchia mascherata. Aprendo presso i librai d’occasione i buoni libri dei vecchi e dei nuovi tempi, ci si accorge che l’arte ha l'insondabile monotonia della preghiera. Purtroppo tutto questo non è divertente.
Corrado Alvaro.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 13.03.35

Citazione: Enrico Pea e Corrado Alvaro, “Letteratura da fiera,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/2051.