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Titolo: La "secchia rapita" e il suo poeta. Nell III centenario della morte del Tassoni

Autore: Mario Sobrero

Data: 1935-03-20

Identificatore: 1935_151

Testo: Nel III centenario della morte del Tassoni
La "secchia rapita" e il suo poeta
Alessandro Tassoni aveva ragione di dire che il conte Brusantini, facendo scrivere due libelli contro lui, aveva « prestato un’opera al diavolo ». Il poeta è. morto da tre secoli — che si compiono ora — e la vendetta ch’egli si prese dura sempre. Senza quel moto di rancore e quel puntiglio di vendicarsi, l’estro tassoniano non si sarebbe mai scaldato a creare il mondo bizzarro del suo poema, nel quale la vita da lui infusa non s’è più spenta.
Il Tassoni detestava il tradizionalismo retorico; per dispetto ai pedanti esaltatori d’Omero ed ai tardi imitatori del Petrarca s’era scagliato contro Omero e contro il Petrarca; aveva incominciato un poema sulla scoperta dell’America ma, sentendolo falso come tutta l’epica che a quei tempi si continuava a dar fuori, l’aveva smesso; non era soltanto uno spirito indipendente, come aveva mostrato anche sostenendo nei « Quisiti » opinioni contrastanti con la fìsica d’Aristotile, era un uomo ironico, pieno d’una forza umoristica la quale attendeva soltanto un’occasione per manifestarsi. Il povero Brusantini che gliela fornì, essendo modenese come lui, gli diede anche aiuto, senza volerlo, a sceglier l’argomento. Del resto, la scelta derivò soprattutto dall’istinto artistico del poeta.
Per il De Sanctis questo poema non è che una « parodia delle forme eroiche ». Ma la parodia era già stata fatta da altri trattando la vecchia materia dei cicli cavallereschi con grossa comicità plebea. Quale materia ha scelto invece il Tassoni? Antiche guerre tra Modena e Bologna, e le ha vedute come fatti regionali, di gente simile a quella che abita i luoghi al tempo suo. « La secchia rapita — disse l’autore in una delle prefazioni — contiene una impresa mezza eroica e mezza civile ». Qui è l’originalità dell’opera. Nei combattenti di quelle guerre il Tassoni vede sempre i borghesi che sono; ed il comico nasce dal contrasto tra ciò che sono e ciò che fanno o dovrebbero fare. Parodia dei poemi tradizionali ve n’è certamente nella Secchia, e la più riuscita è quella degli Dei d’Omero; ma l’elemento nuovo, schiettamente tassoniano, è quel ridare a personaggi di fatti eroici la statura degli uomini comuni, anzi, il collocar quei fatti sul terreno stesso della vita comune.
Spesso l’autore, nelle note apposte ad un’edizione del poema sotto il nome di Salviani, si vanta che quella da lui narrata fu « istoria vera »; ma dà il rapimento della secchia bolognese, avvenuto nel 1325, come causa della battaglia di Fossalta che si combatte nel secolo precedente, e riunisce in una sola guerra parecchi altri episodi che si svolsero separatamente in anni tra loro distanti. L’arbitrio con cui il poeta tratta la storia è già in se stesso una canzonatura. Il movente della sua ispirazione è, sì, un’avversione contro la mitologia e contro la cavalleria e l’epica in genere, di cui tanto abuso poeti d’ogni risma han fatto e continuavano allora a fare, una noia di tutto questo; però, l’atteggiamento dello spirito che alla Secchia ha dato il suo carattere essenziale è l’interesse del poeta per la vita comune, per la gente comune, per i contadini gli artigiani i magistrati i nobili delle terre modenesi e bolognesi com’egli li ha visti. Questa gente, coi suoi difetti, col modo in cui si comporta in pace ed in guerra, con i suoi gesti ed i suoi dialetti, diventa per il Tassoni l’oggetto principale dell’interesse artistico, il vero « motivo » nuovo e ricco dell’opera.
Franco Sacchetti, al suo tempo, aveva provato un analogo interesse per la gente che gli si moveva attorno nella vita quotidiana, e con stupenda evidenza l'aveva mostrata, materialona e bislacca, nelle Novelle; ma senza toglierla dal campo della sua esistenza; invece il Tassoni trasportò di peso quei suoi contemporanei sul piano dell’epica, ne fece i condottieri ed i soldati della guerra di trecent’anni prima, rappresentandola nella maniera in cui da secoli si rappresentavano le imprese dei paladini di Carlo Magno o le Crociate. La prima spinta a questo gli venne dalla necessità di far movere comicamente il personaggio del conte di Culagna, raffigurazione del malcapitato Brusantini; all’estro tassoniano si rivelò poi subito per intero il potere comico, il valore artistico del procedimento; con un’occhiata egli vide quanto facesse al caso suo il mescolar le epoche in ogni modo, introducendo nell’azione anche personaggi antichi, più o meno storici, i quali si movessero e parlassero come la gente comune del suo tempo. Risultato principale del procedimento fu come un imborghesirsi della materia eroica: l’epica si trovò trasferita sul terreno della vita comune.
Fu chi prese per targa una padella.
E un secchio in testa in cambio di celata;
E chi con un roncone e la corazza
Corse bravando e minacciando in piazza.
Dalla tradizione epica italiana il poeta ricavava la grandiosità delle forme; e non è tanto preso dal suo spirito d’indipendenza, che qualche volta nell’epica tradizionale non ricaschi, trattando l’episodio idilliaco di Endimione e Diana cantato dal cieco Scarpinello e la giostra del cavaliere incantato, ove la caricatura degli incantamenti pare piuttosto un’imitazione. Quando i fatti son belli nella loro serietà, il poeta se ne lascia trascinare; descrive certi combattimenti quasi senza ricordarsi di scherzare. Per ciò la Secchia non è semplice parodia; per ciò il Tassoni ha diritto d’affermare d’aver « mischiati insieme due stili » e può rispondere, a chi paragonava il poema ad una livrea da Svizzero, che si tratta invece d’un « drappo cangiante, in cui mirabilmente risplendono ambidue i colori del burlesco e del grave». Ma, sia più o meno faceto il tono, il Tassoni è veramente lui, e la Secchia brilla d’originalità, quando senz’altro egli rappresenta i fatti eroici a modo suo, vedendo nei personaggi la gente della vita d’ogni giorno. In un combattimento un oste bolognese
Si riscontrò con Sabatin Brunello, Primo inventor de la salsiccia fina, Che gli tagliò quella testaccia riccia
Con una pestarola da salsiccia.
In una delle prefazioni il Tassoni dice che l’autore « nel rappresentare le persone passate s’è servito di molte delle presenti, come i pittori che cavano dai naturali moderni le facce antiche; perciocché è verosimile che quello che a' di nostri veggiamo, altre volte sia stato ». L’aver egli messo nel poema persone del suo tempo, allusioni satiriche a cose delle città e dei paesi, furono motivi di comicità e d’interèsse che certamente contribuirono assai al gran successo immediato dell’opera; a noi non importano più; ma, spogliato delle attrattive passeggere, il poema piace sempre come una visuale aperta sopra un mondo pieno di colori vivi, d’uomini bizzarri, d’una realtà stravagante e corposa.
Se il Brusantini, dopo che la Secchia fu stampata a Parigi la prima volta, cercò di valersi della Congregazione dell'Indice per impedirne la diffusione, molte persone importanti vollero invece esservi nominate, ed il poeta le accontentò con aggiunte di versi. Licenziando l’edizione di Ronciglione, il Tassoni dichiarò ai lettori che il conte di Culagna non era «persona determinata». Sebbene nel poema abbia gran posto, questa figura non ha artisticamente molto risalto. La più schietta e vivente bellezza della Secchia è nella folla che vi si agita, di campagnoli e cittadini corsi alle armi, da cui spuntano tipi strambi di podestà, di nobili, di dottori, e sulla quale si alzano figure che l’ironia quasi non tocca, come quella di Re Enzo.
* * *
Il contenuto del poema, non copioso, è disposto con semplicità. Ciò che rende sempre attraente la lettura, è la padronanza che l’autore dimostra della sua materia, quel narrare con sorridente facilità, mentre il lavoro vien fuori netto in ogni parte, ben finito, pieno di carattere. C’è l’aria dei luoghi, piuttosto paesana, c’è frasi in vernacolo; tuttavia la narrazione ha sempre tono robusto e quasi il fare splendido dell’epica italiana allevata a Corte. Dove al poeta l'umore burlesco prende la mano, la facezia è grossa, ma spontanea, non calcolata.
Nel poema il De Sanctis non trovò che un «comico vuoto e negativo»; Giosuè Carducci, lodatore della Secchia, vedeva in viso al suo autore un sorriso aristofaneo, «sorriso spensierato, se vuoi; ma dopo il quale non sogghigni nè fremi con amarezza ». Quanto al Tassoni, convinto d’aver inventato quella «nuova sorte di poesia mista d’eroico e comico », non cercava altro. Ma la Secchia si deve considerare soltanto uno scherzo riuscito, capace di durare oltre il proposito da cui è nato, di vendicarsi del Brusantini e di reagire, beffando, alla moda vecchia di scriver poemi epici? Un’opera felice nella quale un artista ha pienamente versato se stesso, ma priva d’un significato più vasto?
Alessandro Tassoni era ben lontano dall’essere solamente un burlone. Segretario di cardinali e, per poco, del Duca di Savoia Carlo Emanuele I, ed infine del Duca di Modena, ma non adatto a questa parte che accettava per necessità, egli visse il tempo migliore della sua esistenza a Roma, negli anni in cui fu libero e lavorò secondo lo spirito della nuova Accademia dei Lincei, la quale voleva emendare col metodo sperimentale l’antica filosofia. Tutt’altro che cinico negatore, sentiva la triste condizione degli Italiani oppressi dalla dominazione straniera, e scrisse contro gli Spagnoli le Filippiche; ammirava l'ardore eroico in Carlo Emanuele, principe italiano che non voleva essere «schiavo di ognuno». La Secchia fu scritta in quel tempo di Roma. La reazione beffarda all’epica di tradizione fu anche reazione al pensiero vacuo, alla parola senza sostanza, all’esaltazione convenzionale dell’eroismo dei paladini, alla quale non corrispondeva alcun sentimento eroico della realtà in atto. Quell’interesse del Tassoni per la gente comune, era un guardar uomini vivi non larve letterarie, significava un istinto d’avvicinarsi, scrivendo, alla vita. Il che andava d’accòrdo col nuovo indirizzo filosofico e scientifico da lui seguito. Nella Secchia, in somma, c’è anche questo, un indizio del secolo che viene innanzi, nel quale nasce la « verità scientifica» e si cercherà di farne un nuovo fondamento della vita.
Mario Sobrero.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 20.03.35

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Citazione: Mario Sobrero, “La "secchia rapita" e il suo poeta. Nell III centenario della morte del Tassoni,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/2060.