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Titolo: Una passione quattro modi

Autore: Paolo Monelli

Data: 1935-05-22

Identificatore: 1935_223

Testo: Gli scrittori italiani e la guerra
Una passione, quattro modi
Tedeschi, francesi, inglesi, italiani in guerra; una sola passione, quattro diversi modi di sopportarla.
Per il tedesco, popolo bellicoso, che vede nella guerra il solo modo per affermare diritti, essa è un fatto naturale; va in guerra cantando, sicuro della vittoria, certo di schiacciare il nemico. Come il prepotentone all'osteria, picchia il pugno sulla tavola, lieto di sfidare i circostanti, contento di menar cazzotti sul grugno. Ma se il nemico resiste, se mena a sua volta cazzottoni che lasciano il segno, il tedesco s’infuria, furor teutonicus, di sdegno e di misticismo insieme. Continua a menar sodo, ma fa scrivere ai suoi professori che la guerra è barbara cosa; e se finisce col prenderle, tornato a casa geme sui morti inutili, sul carnaio che non spaurì il nemico, sulle oscenità della trincea; nessuna dolcezza lo consola, i suoi ricordi sono sanguinosi e dispettosi.
Il francese, popolo sulla difensiva, tanto coraggioso quanto pacifico, non ama la guerra. È un male che non doveva capitargli addosso; se gli capita, lo affronta con arditezza, con spavalderia, con bei gesti, dietro ai quali c’è sempre un accoramento per la quieta vita di prima, ed il senso che questo sacrificio è accettabile pur che sia per l’ultima volta, e possa essere risparmiato ai figlioli. Soldato romantico e tenace, il francese ha fatto questa guerra con l’impeto richiesto dalla sua canzone rivoluzionaria, marchons, qu'un sang impur abreuve nos sillons; ma la canzone di questa guerra l’ha trovata fra i fornelli e le tavole d’una osteria in seconda o terza linea, e invoca le repos et le plaisir du militaire. Per l’inglese la guerra è un’avventura sportiva; forse altri sport gli piacciono più di questo, ad ogni modo a questo vuole partecipare a modo suo con libero arbitrio, con i necessari intermezzi, insomma quando se la sente. E quando si accorge che la guerra non va a modo suo, ed è cosa obbligatoria il farla, e non può piantarla a mezzo come un incontro sportivo che lo ha seccato, si rannuvola, dice che non è fair play; va fino alla fine da bravo, non molla, ma il gioco non gli piace più. E quando è tornato a casa dice: « Qual è il modo più spiccio per dimenticare questa brutta partita? ». E tende la mano al nemico, subito e ritira il braccio dal braccio dell’alleato; quasi quasi gli parrebbe giusto, e sportivo, scambiare i posti, come si fa nei circoli di tennis, che l’avversario del primo gioco diventa collega nel secondo.
Ma per gl’italiani poveri e avventurosi, razza di emigranti e di navigatori, buoni a tutti i mestieri, tenaci e intelligenti, per gli italiani che hanno il senso della vanità delle cose, della labilità della vita, la guerra è un male necessario come il lavoro, come le disgrazie, come la morte, da affrontare con spirito alacre e sereno, con orgogliosa tristezza; duro abituarcisi, ma abituarcisi bisogna; e allora non ci si deve stancare di farla finché sia necessario, come bisogna scavare nella miniera finché non si sia fatto crollare il tetto, come bisogna andare nelle viscere della montagna finché non si senta il martellare di quelli che hanno cominciato a forare dall’altra parte.
L’italiano ha portato nella guerra uno spirito di operai che lavorano a cottimo. E ne è uscito con i nervi a posto. Il francese si è quasi avvilito della vittoria, l’orrore della passione sofferta è stato spesso più forte della gioia di averla superata. Il tedesco ha reagito sulle prime alla sconfitta con disperati rinnegamenti, poi con un esaltato orgoglio di vincitore nonostante la sconfitta con parole d’ordine come queste: Im Felde unbesiegt, Eine ganze Welt gegen uns (Imbattuti sui campi di battaglia, Un mondo intiero contro di noi). Prendete il più celebrato libro di guerra tedesco, Nulla di nuovo sulla fronte occidentale (Im Westen nichts neues). C’è rinnegamento, c'è la voluttà di confessare orrori e terrori; ma sotto sotto c’è orgoglio e truculenza. L’avere perduto la guerra fa parere più orrendo il macello, più meschini gli animi, più bestiali i gesti, ed il libro ha potuto essere definito opera di propaganda pacifista; ma è soltanto lo sconforto e l’abiura di un battuto che non si rassegna. Oggi in Germania questo libro è rinnegato; ma poco diverso di tono e di contenuto sarebbe domani in Germania il libro della guerra vittoriosa.
Di questi stati d’animo bisogna tener conto per comprendere le fondamentali differenze fra le letterature di guerra dei vari paesi combattenti. Guardate al libro di guerra francese più noto, Les croix de bois. C’è tutto quello che ho detto prima dei francesi, commozione, spavalderia, sacrificio, un po’ di amour; tanta generosità, tanti cuori miti al macello, tanto eroismo di imbelli. Dei libri di guerra italiani tipico per segnare un contrasto con i due indicati è per me Kobilek del Soffici; nitido, schietto, umano, senza jattanza, senza sentimentalismi, ed il pensiero sempre vivo anche nella buca mortale scavata dagli scoppi; e l’inerzia non è mai bestiale, e la nostalgia non è mai lacrimosa.
Questi caratteri, più o meno, informano tutti i libri della guerra italiana che non abbiano preso a modello i più celebrati stranieri, e corrispondono allo spirito ed alle reazioni dell’italiano in guerra. In tutti c’è quell’aria di casa, quell’odor dei campi, quell’affetto fraterno per i compagni, quell’accettazione naturale degli avvenimenti. Sono libri di fede e di solidarietà umana, scritti non per predicare o per imprecare, ma per chiarire a se stessi la gesta vissuta, per fare testimonianza ai cari morti, per esprimere sentimenti che solo la guerra parve creare, puliti e casti e cordiali, e illuminarono quel quattro anni di vita: e più la guerra si allontana più quei sentimenti sembrano strani e sovrumani, e non si riesce più a ritrovarli nel nostro cuore inaridito dalle meschinità del tempo di pace.
Non si può dire che i libri di guerra italiani abbiano avuto gran successo di pubblico, anche se parecchi di essi siano il caro e ricercato breviario di chi ha combattuto. Furono preferiti ad essi i grandi romanzi a tesi o a sentimento obbligato delle letterature straniere; sopra i più scandalistici si sono buttati decine di migliaia di lettori, che furono in guerra imboscati o assenti, o sono nati dopo, per trovarvi la giustificazione o il conforto della loro assenza. Oggi questa infatuazione s’è calmata, e i librai segnalano un ritorno alle cronache in lingua nostra.
Ma bisognerà forse riconoscere che queste cronache, pur così oneste e pulite e autentiche, sono più documenti che arte; e per quanto carissime al cuore dei reduci, e qua e là per immediatezza e sincerità assai belle, resteranno forse solo come materiale a cui attingerà qualche grande scrittore del futuro per scrivere il romanzo epico della guerra italiana.
Paolo Monelli.
Il « Dantino » intriso di sangue trovato su Giosuè Borsi dopo l’assalto al trincerone di Zagora.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 22.05.35

Citazione: Paolo Monelli, “Una passione quattro modi,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/2132.