Heine in italiano (dettagli)
Titolo: Heine in italiano
Autore: Bonaventura Tecchi
Data: 1935-06-12
Identificatore: 1935_238
Testo:
Heine in italiano
Quand’ero a Berlino — e s’era al tempo degli entusiasmi, in Germania, per la socialdemocrazia, per tutte le forme di libertà, anche le più scapicollate — mi raccontava Paolo Monelli, allora corrispondente da lassù di un giornale italiano, che il suo padrone di casa aveva fatto sparire dalla propria biblioteca i volumi di Heine perchè l’ospite straniero, desideroso di molte letture, non si abbeverasse a quella fonte impura... Chi sa che cosa sarà successo oggi al povero Heine in tempi di nazionalsocialismo!
Pensavo queste cose mentre andavo sfogliando, qualche tempo fa, nientemeno che tre traduzioni di Heine, uscite quasi contemporaneamente nella nostra lingua: l’epistolario completo, tradotto molto bene e annotato da Vittorio Trettenero (Treves), l'Antologia lirica a cura di Tomaso Gnoli e di Amalia Vago (Mondadori), nella quale i due compilatori e traduttori hanno fatto quanto era possibile per riuscire nella difficile impresa, e infine, nell’elegantissima collezione romantica dello stesso editore, Il Rabbi di Bacharach e altri racconti, tradotti da Enrico Rocca.
Da noi il poeta di Düsseldorf ha avuto sempre grande fortuna. Culminò col Carducci che, campione del classicismo, s'innamorò del romantico Heine, lo incoronò ex cathedra, tra foglie d’acanto e strofe saffiche o alcaiche, nè gli dispiacque se il nordico beffardo gli fece il tiro di scoprire quanto di romantico e di affettuoso era nascosto sotto l’armatura scontrosa e salda della sua anima di maremmano. Ma la fortuna di Heine era cominciata già prima, poco dopo la morte del poeta; nè da allora più s’è impallidita.
Il perchè di questa straordinaria e ostinata fortuna è stato detto sia nel fatto che Heine è il meno tedesco dei celebri poeti, nati in terra di Arminio. È vero? Io non direi. A me Heine ha fatto sempre l’impressione d’esser molto tedesco, anche quando non è facile dimenticare che egli è ebreo, anche quando civetta volentieri leggerezze e briosità parigine. Gli è che la fortuna di Heine dipende dal fascino particolare del suo genio, che è si personalissimo, ma che interpreta pure assai bene lo spirito di un determinato periodo storico e insieme un aspetto eterno, e, direi quasi, cotidiano dell’anima umana.
È stato affermato che con Heine incomincia a rompersi quel delicato edificio dell’unità della coscienza moderna, e specialmente tedesca, a cui tanto, avevan lavorato, nello spirito della Riforma, e la filosofia di Kant e la poesia di Goethe e di Schiller: l’idea dell’attivismo, del faustismo, dello spirito creatore. Niente di più esatto e di più vero. Eppure non direi che nell’anima di Heine l’eco di quell’atmosfera non ci sia: anche nell’ironia, anche nel sarcasmo, essa è presente. Heine è proprio il poeta della chiarezza ellenica, del dualismo solido e antico, il fugatore delle nebbie nordiche? Sì e no; e se il realismo rimane la sua aspirazione, quanto ancora lo attira il canto di Loreley! E il romanticismo, quanto lo ama anche quando lo irride e non ci credei Per contrapposto, fu esaltata, dopo che per parecchio tempo la si tenne in dispregio, l’ultima parte dell’opera del poeta, quella che, scritta su! letto del dolore, parve avere accenti più seri, affermanti qualche cosa di sicuro e di universale, di là dal giuoco dell’ironia. A un nostro studioso di letteratura tedesca, Rodolfo Bottacchiari, nel suo bel libro sull’autore dei Reisebilder, fu agevole dimostrare (e fu affermazione giusta) che quanto in Heine sembra discendere da una concezione generale del mondo è attaccato a casi particolari della sua vita, è voce contingente del proprio dolore... Ma se è vero che in questa riduzione dell’universale al particolare, della Weltanschauung al dolore di un uomo, sono i limiti della poesia di Heine e il carattere della sua arte, non è anche vero che in tale riduzione (se così può chiamarsi) è il segreto della fortuna di Heine, della sua popolarità e umanità, della chiarezza e facilità con cui la sua poesia è arrivata a tanti lettori? Ed è verissimo che Heine è frammentista, che egli è il primo vero frammentista moderno; ma come è che da tanti spezzettamenti e fughe, divagazioni e bizzarrie, risale sempre costante e prolungantesi nella nostra anima, un’eco, una vibrazione particolari? Non è l’eco di una concezione comune a tutta l’epoca post-romantica e in generale alle epoche venute dopo gli arditi idealismi e le grandi costruzioni? E se non merita il nome di Weltanschauung filosofica, l’atteggiamento di chi vorrebbe credere all’ideale e non può, di chi irride ciò che in fondo ama, non è profondamente umano, vicino all’anima di tutti?
Forse la risposta, in sede di poesia, a tutte queste domande il lettore italiano la troverà con chiarezza nel piccolo libro tradotto da Enrico Rocca dove due o tre opere minori si uniscono per dare toni diversi ma essenziali di un autore, come è nel caso di Il Rabbi di Bacharach, le Memorie di von Schnabelewopski e le Notti fiorentine. Sono tre gocce, dice giustamente il Rocca, nel mare della produzione di Heine. Ma « come una sola goccia di acqua salsa contiene tutte le particolarità del mare, così questi tre racconti di Heine ne rivelano tutte le, caratteristiche ». Ecco Il Rabbi di Bacharach. È semplicemente un racconto, anzi un frammento di racconto, interrotto al terzo capitolo. In esso Heine aveva cominciato a dare, con quel senso di grandiosità epica e insieme di commozione profonda che gli venivano dalle sue origini, la vita di una comunità ebraica del Medio evo, al tempo delle persecuzioni: epicità e commozione, non disgiunte da ironia e perfino da satira, che egli poi ritroverà nelle Melodie ebraiche. Ma accanto al tono epico del racconto, metterei l’accento su quel senso di « abbrividente intimità », che Heine sentiva nella cantilena dell’Agadà, e che è propria di molta parte della poesia heiniana. E nelle Notti fiorentine non solo abbiamo due celebri ritratti di nostri musicisti: quello fanciullesco e allettante di Bellini e l’altro, notturno e fantasmagorico, di Paganini; ma nella storia di damigella Lucrezia, in quel mischio di macabro e di leggero, in quella balenante visione di Londra, satirica eppure suggestiva più di un inno, non è la quintessenza dell’arte di Heine? Eppure ancor più heiniani, se mai fosse possibile, sono i 14 capitoletti del racconto Dalle memorie di von Schnabelewopski. Il quale è appena uno scherzo, a cominciare dal nome, « simile a uno starnuto », e s’inizia come un giuoco; eppure contiene qualche cosa che, tra il buffonesco e l’irriverente, è di una accorante tristezza. Sentite che cosa dice del sogno nella vita moderna. « E il sogno? Perchè non temiamo molto di più di coricarci che non di venire sepolti? Non è spaventevole che il corpo possa per una notte intera esser simile a una salma mentre lo spirito in noi vive la più animata delle vite, una vita con tutti i terrori di quella scissione, prodotta tra la vita e lo spirito? ». E come è piena di poesia la storia del piccolo Sansone! Le parole, con cui gli studenti ad Amsterdam prendono posizione in una disputa filosofica nientemeno che sull’esistenza di Dio, sono teoricamente esatte, anche se pronunciate in un’allegra atmosfera di giuoco. Ma a chi tocca difendere sul serio il « vecchio Dio », contro uno studente panteista e uno fichtiano, è proprio il piccolo fragile Sansone, che in un duello si busca una ferita mortale. Sul letto di dolore, per consolarlo, i colleghi gli leggono la Bibbia e proprio la vita di Sansone, con i ripetuti tradimenti di Dalila e la storia dei capelli tagliati e il famoso finale: muoia Sansone con. tutti i Filistei! « A questo punto il piccolo Sansone apri spettralmente gli occhi, si rizzò convulsamente, afferrò con le sue esili braccia le due colonne appiè del letto... Ma le forti colonne del letto rimasero immote; sfinito e con un sorriso melanconico il piccolo ricadde sui guanciali e dalla ferita, donde s’era spostata la benda, sgorgò un rosso fiume di sangue ».
In quest’aria, che è di ironia acre, quasi irriverente eppure di una gentilezza feerica, in questa atmosfera, che è universale e insieme tedesca, in questa lontananza dalle posizioni filosofiche eppure con un’eco fievolissima e suggestiva di esse, è il segreto del fascino di Heine, cioè l’afflato stesso della poesia.
Bonaventura Tecchi.
Arrigo Heine.
Collezione: Diorama 12.06.35
Etichette: Bonaventura Tecchi
Citazione: Bonaventura Tecchi, “Heine in italiano,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/2147.