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Titolo: Dick cane da caccia

Autore: Pier Luigi Bucciantini

Data: 1935-07-02

Identificatore: 1935_249

Testo: Dick cane da caccia
Quel buon uomo di nonno Masino, forse oggi me l’avrà perdonata, oggi che gira per il paese, appoggiato alla mazza di ginepro, tutta bernoccoli, un po’ curvo, con la mano sinistra sulle reni, insaccato nella sua vecchia cacciatora. A caccia non ci va più. È vecchio. Ha passato l’ottantina. Si contenta di andare tutte le mattine verso le undici al solicchio, quando c’è, dietro la canonica di prete Poldino che, anche lui quasi della sua età, l’aspetta per far quattro chiacchiere insieme. Nell’inverno si trovano nella cucina del prete dove c’è il foco e la bottiglia del vin santo.
Io, nonno Masino, lo conobbi quando quei due poderi ce li aveva ancora, con in mezzo una casina bianca, quadrata come un dado, in cima al poggio. Da parte ci aveva la pergola, e, sopra la pergola, una finestra coi gerani, che fiorivano a maggio: la finestra che dava sul pomaio dove si affacciava la sua figliuola: la Tetta.
Nella casetta solitaria, lassù, viveva felice con lei e coi suoi cani. Allevava pointers e bracchi; setters e spinoni, segugi e fox-terriers. Li teneVa a gruppi nei larghi gabbioni che aveva fatto costruire appositamente dietro casa.
Incrociava le razze; faceva cucciolate nuove, studiando le diverse combinazioni d'incrocio, incaponito di trovare una nuova specie. Un giorno, nonno Masino credette di essere diventato celebre nel campo della cinofilia. Una cucciolona in amore, una bella mattina, arrampicatasi alla porta del gabbione dei maschi, riuscì a farli tutti scappare con lei in mezzo ai prati. Accadde che dopo nove settimane da quel giorno beato la cagna dette alla luce tre cucciolini, fra i quali ce ne era uno che Masino da tanti anni aveva sognato.
Il cane fu chiamato Dick di Populonia. Esso però non riuscì ad essere, come l’avevano battezzato, il campione di una nuova razza canina. Confidando però nell’istinto che gli aveva dato madre natura volle per forza diventare un meraviglioso campione di cani da ferma.
E fu proprio per lui che nonno Masino un bel giorno vuotò gabbie e canile, vendè casa e poderi ormai gravati da tasse e ipoteche, riprese il suo fucile da caccia e diventò il povero cacciatore vagabondo delle colline pisane.
Al tempo che io andavo lassù Masino stava ancora nella casetta bianca, ma già gli era passata la fregola di diventar allevatore.
Avevo allora diciotto anni e una grande passione alla caccia. Per quel cane chi sa che avrei fatto! A Masino gli avevo già fatto delle offerte perché mi vendesse Dick, ma mi aveva sempre risposto che prima di vendere il cane, avrebbe venduto il fucile.
La risposta era come una doccia fredda sulla mia ardente passione. Poi, ripensandoci, mi ci arrabbiai e volli vendicarmi.
Avevo messo gli occhi sulla Tetta. Quando Masino andava a caccia, io andavo a fare all’amore. Ci si trovava tutte le mattine nel greto del fiume. Ella non mi chiedeva mai nulla. Si stringeva soltanto a me, ed io sentivo quel suo cuoricino battere come quello di un povero uccellino spaurito.
Passarono delle settimane; io non prendevo più il fucile in mano. Masino e il prete se la ridevano la sera in crocchio nel paese, facendo sapere ai compaesani che mi avevano messo fuori di combattimento. Io intanto ero giunto al termine del mio piano.
Una mattina chiesi alla Tetta:
— Tetta, domani vado a caccia. Dammi Dick.
— Mah!... Come dirlo a babbo?
— Tu non dirai nulla... domattina alle tre sarò sotto la tua finestra...
Quella notte! Quella finestra illuminata! Quel quadratino di luce acceso lassù nel buio. Tetta si affacciò sospettosa; con paura... Mi portò Dick.
Questo giochetto durò per tre volte, poi mi scoprirono. E fu don Poldino, il prete amico di Masino, che zitto zitto mi fece la posta. M’acchiappò per il collo, una mattina mentre scendevo con Dick al guinzaglio, giù per il greto del fiume. Mi agguantò con quelle sue manacce di ferro che mi strinsero come una tenaglia, e, datomi una scrollata: — Vattene, birbante — mi gridò. — Vattene dal paese prima di stasera, se non vuoi che Masino ti faccia la pelle.
Non me ne andai; ma per qualche giorno non mi feci più vedere. Poi una notte, che a tarda ora scorsi la finestra di Tetta illuminata, osai andare lassù a darle il mio addio. Era una notte buia e fonda con in cielo un paradiso di stelle.
P.L. Bucciantini.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 02.07.35

Citazione: Pier Luigi Bucciantini, “Dick cane da caccia,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 14 maggio 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/2158.