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Titolo: Cocteau e il suo album

Autore: Eugenio Bertuetti

Data: 1935-07-16

Identificatore: 1935_256

Testo: Cocteau e
il suo album
Dal millenovecento al millenovecentoquattordici - In famiglia dai Rossini - La carrozza di Maisons-Laffitte - Al "Palazzo del ghiaccio" - Dargelos e gli "Enfantes terribles" - Il meglio di Parigi - La dedica del grande attore - L’areostato e il pesce giapponese
Non bisogna prendersela, dice Cocteau, con chi scrivendo di ricordi sbaglia. Conviene por mente ch’egli non racconta ciò che fu, ma ciò che è; ciò che rimane delle cose e degli uomini che sono stati; lavora cioè alla luce strana di brume deformanti. La memoria è una notte terribile e confusa. « Mi sembra impossibile, dice ancora, di poter scrivere delle Memorie. Prima di tutto imbroglio le epoche. Mi capita di saltare dieci anni e di porre personaggi in ambienti che sono d’altri... ».
Ritratti scritti
Giustissimo. Ma se il lettore vorrà farci compagnia a sfogliare questo album di ritratti scritti (Jean Cocteau: Portraits-Souvenir, 1900-1914, con disegni dell’autore. Ed. Grasset - Parigi), non si pentirà. Le nebbie del tempo, dalle quali emergono i ricordi dell’A., hanno estri e colori così ricchi di significato che non è neanche il caso di parlare di « deformazioni ». Meglio dire interpretazioni. Il tempo ha una sua coscienza attiva. La spiritualità di Cocteau è mordente insieme e rarefatta. Cose, persone, avvenimenti passati — morti — che entrino nel campo di quelle due forze non possono se non riapparirci davanti vivi, d’una vita che direi più delicata e originale. Artefatta, ma con quale delizia!
Bella per il teatro...
I primi ricordi risalgono al 1900, gli ultimi al 1914. I lontanissimi sono a trentacinque anni da noi, i più vicini a ventuno. Non è un gran che. Eppure... « C’est dans un demi-sommeil que l’enfance traverse les événements ». Fra braccia materne e altalenio di chimere i fanciulli passano nel mondo; non c’è da stupire dunque se più tardi la memoria dell’umido profumo sul bolero di nostra madre ritornante da una passeggiata nei giardini, ci riporta tutta un tratto fra le sue braccia e su quelle altalene. Nessuna meraviglia se, pur non essendo moltissimi, gli anni trascorsi ci sembrano infiniti e quell’età remota. Alla moda, e al suo fluire rapido, abbandoniamo ogni giorno la crisalide di noi medesimi. Muore giovane la moda, « e codesta sua aria di condannata le attribuisce nobiltà ». Piene di nobiltà accorata sono infatti queste immagini che la prosa e il disegno di Cocteau risuscitano dai dormiveglia dell’infanzia.
Sua madre si fa bella per il teatro. Chiudiamo gli occhi con lui. Maniche a sbuffo, ampia gonna di velluto rosso, corsaletto attillato, ventaglio di tartaruga e pizzo nero, guanti lunghi, così difficili a calzare — « pelle morta che comincia a vivere » — e l’adorabile rito « qui consistait à boutonner sur le poignet, d’un geste féminin, la petite lucarne où j’embrassais la paume nue ». Oh, i dolci palchi che incastonano con cariatidi grappoli festoni cernecchi d’oro questa bellezza ornata, e il teatro, oceano di rumori, di gioielli, di piume, di specchi ov’ella entra come un fiume rosso a mescolare le onde del proprio velluto ai velluti ondosi della sala!
Io m’auguro — scrive — d’essere letto da chi sa rimanere fanciullo ad ogni costo. Costui può ben unirsi alla brigata pei viali di Maisons-Laffitte, e fumare foglie secche in pipe scavate nelle castagne d’India mentre si attende la carrozza grande sulla quale brillano le tube del signor Cocteau padre e di Sarasate. La madre sorride ai bambini di sopra al palpitare del ventaglio. Ma siccome « l’infanzia ha i suoi odori » non possiamo non sentire quella zaffata di carrozza — odori caldi di cuoio di cavallo di fieno di cipria di tabacco — che c’investe passando. Odori d’allora! i tigli che impazzivano ai seghi d’un temporale, la polvere bruciata nelle carcasse dei petardi accesi giocando, l’arnica sulle punture di vespa, il landò nero che conduceva la famiglia alla messa... (« Chiusi soli in questo landò, la mia cugina Marianna m’aveva detto un giorno: — Ascolta, io so tutto. C’è dei grandi che vanno a letto di giorno. Se sono uomini si chiamano finocchi; se donne, cocottes »).
Sarasate e Rossini
Sarasate con quei suoi grossi mustacchi, la criniera grigia, le massicce catene dell’orologio, i calzoni con sottopiede e le piccole scarpe di vernice, ben stringato in una specie di prefettizia brandeburghese, si sarebbe detto « un leone vestito da domatore ». Jean lo incontra spesso in casa Rossini, via della Chaussée-d’Antin. I Rossini abitano il primo piano, ricevono molto — signori in vista e belle signore —, senonché M. me Rossini — « était une femme sèche et méchante » —, non può soffrire il fumo, e spedisce i suoi ospiti fumatori al quarto piano, dove abitano i Cocteau. Dai fumi della memoria ecco emergere quel grand’uovo ch’era la testa del Rossini quando non aveva parrucca e che terrorizzava mamma Cocteau. (Notabene: sul pianoforte del maestro, infisse su pioli in fila, erano le sue parrucche, tante, ordinate secondo la lunghezza dei capelli, dai cortissimi ai lunghissimi. Rossini le portava una dopo l’altra, fino all’ultima. Allora si poteva credere che fosse il momento del parrucchiere, e tornava alla prima).
Colette - Il collegio
Ma l’infanzia s’allontana col suo corteo di cose, di ambienti, di odori, di personaggi — dov’è quel domestico favoloso, gran mangiatore di lumache crude senza distinzione di guscio e polpa? —. In primo piano affiorano ora fanciullezza e adolescenza.
Al « Palazzo del ghiaccio » incontra i primi zigani, vede per la prima volta Colette e Polaire. Non « cette solide Colette qui nous offre de succulentes salades à l’oignon... » ma una Colette sottile, sottile; una specie di « volpetta vestita da ciclista, un fox-terrier coi calzoni ». E Polaire? Testa piatta di serpente giallo, che si sforza di reggere in equilibrio le « ostriche portoghesi degli occhi »... Attrice violenta e come un insulto ebreo».
Del collegio, dove fu « modello di pessimo scolaro», i ricordi sono sinistri: alzatacce da ghigliottina, lacrime, quaderni sudici, macchie d’inchiostro, stanze vuote appestate dal gaz, « petites tables de bagne sur lesquelles je copiais mille fois: — huit et huit ne font pas quatorze — »... Però v’incontra Dargelos, colui che sarà poi il protagonista di Enfants terribles. Dargelos era Dargelos. Cocteau non gli ha cambiato neanche il nome. Così si chiamava in collegio, così tuttavia nella vita, così nel libro. Egli non ha fatto che staccarsi dal mondo intimo dell’autore e, pari al violinista zigano che s’allontana dall’orchestra per perdersi a suonare fra le tavole, Dargelos parla oggi di sogni ai giovani lettori sconosciuti. E l’autore si domanda: « Dove vive ora? Vive? Darà notizia di sé? Lo vedrò un giorno apparire ironico col mio libro in mano? ».
Mistinguett e la «pantera nera»
Al collegio — come per tutti i collegiali di questo e dell’altro mondo — sono legati i primi ricordi teatrali, le prime esperienze amorose, le prime inquietudini, i primi sogni d’arte, i primi entusiasmi. Mistinguett, Isadora Duncan, Sarah Bernhardt, Edoardo de Max entrano nella vita del Cocteau in quegli anni. Verranno poi Catulle Mendès, Lucien Daudet, Giulio Lemaître, Marcel Proust, Anna de Noailles.
Pensando ai suoi entusiasmi sempreverdi per Mistinguett («les larmes me montent à entendre cette voix mise de longue date à l’école des cris de la rue et des marchandes de journaux... Je ne sais pas. Elle s'incarne elle-même. Elle exprime le meilleur de ma ville... »), gli viene di compiangere la giovinezza moderna, che se vuol rendere onore alle proprie dive non può che attendere dei fantasmi all’uscita del cinematografo. Di Edoardo de Max, « prince du comme-il-ne-faut-pas », attore prodigioso, senza età come i felini, specie di «capo, di emiro, di grosso gatto siamese, di pantera nera », il Cocteau conserva una fotografia con dedica, che basta saperla leggere per capire De Max, e il tempo, e i casi, e il giovane cui era allora offerta: « A vos seize ans en fleurs, mes quarante en pleurs ».
Catulle Mendès
Ma come tradurre qui l’estrosità divertita e commossa con cui l’A. descrive la sua prima visita a Catulle Mendès? Puro caso se lo stordimento e il timore non l’hanno cacciato dalla casa del maestro come un ladro. Mendès « era grosso e camminava leggero ». Una specie d’areostato che andasse alla cieca. Gli era vicina sempre la signora Mendès, grande, dipinta come un idolo, simile, dietro l’acquario dei veli e con quelle maniche a volute di spuma e quello strascico, a un « meraviglioso pesce giapponese ». Mendès parlava di Baudelaire, di Nerval, di Rimbaud, di Verlaine... Usciva dalla sua memoria confusa « un corteo di re morti ».
L'imperatrice Eugenia
Lucien Daudet gli fa conoscere l’imperatrice Eugenia. Cap Martin, Ville Cyrnos, un giardino a picco sul mare. È l’estate. Il caldo è sfibrante, le cicale « cantano come la febbre e il chinino ». L’imperatrice detestava i fiori. « Elle les bâtonnait de sa canne à béquille, les écartait de sa route ». Ma quando Daudet, nel bel mezzo di un viale, le presenta il giovane poeta: « Je ne peux plus décorer les poètes, — dice l’imperatrice — tenez, je vous donne cela — et d’un geste rapide elle arrache une grappe blanche de daphné, me l’offre, me regarde la mettre à ma boutonnière, et continue sa promenade ».
Anna de Noailles
Il ritratto più commosso, in cui si stempera il cuore dell’A. a fibra a fibra, è della contessa Anna de Noailles. Emerge costei dalla mandra delle così dette letterate — donne convinte d’essere poetesse per il solo fatto che non « contano più i piedi sulle dita » — con atteggiamenti indimenticabili. Doveva essere una parlatrice incantevole, prodigiosa, se intorno a lei persone e cose si facevano attente, mute: « La comtesse parle... la comtesse parle... ». Barrès l’aveva definita: « Il punto più sensibile dell’ universo ». Cocteau scrive: « Une sorte de folie de la langue, de vertige verbale ». È morta. La credevano una falsa malata, come Marcel Proust. Se dici: «Sono morto, sono morto » in luogo di: « Sono stanco, sono stanco », è immaginazione. I poeti, malati immaginari. E muoiono... Ed è morta anche Anna de Noailles.
Uno degli ultimi segni tracciati su quest’album è per lei, che volle essere imbalsamata. Ma che tristezza, «... son petit corps de Christ espagnol »!
Eugenio Bertuetti.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 16.07.35

Citazione: Eugenio Bertuetti, “Cocteau e il suo album,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 15 maggio 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/2165.