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Titolo: La prova

Autore: Adriano Gigli

Data: 1935-07-16

Identificatore: 1935_255

Testo: La prova
Il volto della donna, troppo lungo per quel corpo smilzo e succhiato, aveva dei riflessi giallognoli. Solo quando le labbra si muovevano pareva che una striscia di sangue lo solcasse: perché le gengive eran rosse e ricoprivano la parte superiore dei denti, tutti mingherlini e senza luce.
Nessuno specchio davanti: per questo la donna ignorava come i suoi assalti di cattiveria si rendessero evidenti sulla sua faccia e come l’epidermide apparisse in quei momenti ancor più anemica del consueto.
— Non vuoi che parli? Non parlerò. Ma io non voglio passare per stupida con loro. Già per te, tutto va bene. Tutti sono bravi e buoni e non t’accorgi che ti prendono in giro.
— Mamma! — interruppe il giovane e batté con forza sulla tovaglia la scatola dei fiammiferi, quasi che afferrando un oggetto così fragile avesse voluto esprimere, verso di lei, il proprio dispetto. Con un altro, con chiunque altro, sarebbe insorto con violenza. Questo, bisognava capire.
Allora la madre tacque. Ma fu un attimo solo. Un fiotto di parole, di buone ragioni, di sotterranee malignità le salì alla gola e alle labbra. Voleva tacere, non poteva tacere. E già le pareva di compiere uno sforzo enorme su se stessa nel non gridare, nel misurare le frasi, nel dire una parte sola, e minuscola, di quello che da tre mesi andava pensando nei suoi desolati silenzi.
— Va bene, va bene, come vuoi tu. Tutto come vuoi tu. Ma non venire a dirmi che quello è un corredo. Quelli sono quattro stracci, caro, quattro stracci fatti in economia. Ah!, non si buttano via davvero per la loro ragazza il papà e la mammà!
— Me l’hai già illustrato quaranta volte questo concetto. Non ti pare che basti?
— Basti... basti...
Ripeté in tono vibrato le ultime parole del figlio e finalmente trovò la forza per tacere davvero. « Bisogna che mi moderi, — pensò — bisogna che gli dia ragione questa sera ». Allora, d’un subito, con un passaggio troppo rapido e ingenuo, cercò di assumere un atteggiamento bonario.
— Caro, non vorresti un bicchierino del cognac vecchio?
— Grazie. Non ne ho voglia.
— Che hai, Enrico, non stai bene? Dimmi la verità. Hai qualche cosa? Perché mi nascondi la verità? Hai mal di testa? Dovresti metterti il termometro.
— Ma no, mamma, non ho proprio niente. Sto benissimo e non è un delitto non aver voglia di cognac.
— Va bene, va bene... non insisto... ma mi fa pena vederli così cupo...
Si trattenne ancora con fatica. Avrebbe voluto continuare a parlare, sfogarsi una volta per tutte, dire la verità: dire che era disperata, disperata, dire che il pensiero del matrimonio del figlio le dava un’angoscia struggente, dire che era piena di paure, dire che Elena era troppo magra, che Elena era troppo povera, dire che non era giusto che Elena sposasse il suo Enrico, che non era giusto che di colpo si conquistasse tanta fortuna - e un marito giovane e una casa ricca e una villa in riviera e una automobile di lusso e pellicce e gioielli... lei che a casa sua viveva con una domestica e una donna a giornata, lei che da due anni girava con quella pelliccia di cavallino che valeva forse un biglietto da mille, E poi, che cosa importava quello? No, non era per il danaro. Era perché Enrico se ne andava di casa, perché la sera, ora, lei avrebbe mangiato da sola, perché aveva paura, perché i genitori della ragazza avevano preparato sessanta bomboniere (e brutte per colmo! ) invece di trecento, perché è terribile perdere un figlio affettuoso. Affettuoso? Macchè! « Da tre mesi — pensava — non è più nemmeno affettuoso. È sempre laggiù. Anche quando è con me, il suo occhio è lontano, perduto. E la chiama « mamma » quella strega! Una balena piena di lardo. E la bacia, anche ».
Senza accorgersene, si portò la mano alla guancia. Ecco, proprio lì, il suo Enrico la baciava quando veniva a casa di notte. Proprio lì.
In quel momento il giovane si alzò e le disse:
— Mamma, io dovrei uscire.
Disse « dovrei » con una sfumatura di titubanza come se oscuramente avesse sentito di essere in colpa, o forse per timidezza, o forse per gentilezza.
La madre senza alzare gli occhi mormorò:
— Aspetta ancora un momento.
Perché aveva qualche cosa da dirgli. Oh, una vecchia cosa... ma così difficile da dire, così difficile da presentare, che si sentiva in gola l’affanno.
Parevano due persone che non avessero più nulla da dirsi. Cadevano le parole, una ad una, stanche. La donna avrebbe voluto che il figlio fosse rimasto seduto. Perché tanta impazienza? Non cascherà il mondo se rimarrà un poco a discorrere con sua madre. Invece, non stava fermo un momento: appoggiava il ginocchio sul bracciolo della poltrona, poi si alzava in piedi, poi si allacciava la giacca, poi passeggiava per la Sala, inquieto e muto.
« Come posso incominciare? », si chiese la madre. Essa ignorava quanto spesso le sue parole fossero irose e gelose e come, attardate in meschine cattiverie, nuocessero all’armonia dei loro rapporti e forse all’affetto del figlio per lei. Ma chiaramente ella sentiva che il modo con cui il figlio ora la guardava e l’ascoltava, era diverso da quello d’un tempo. Colpa di Elena, diceva. Ed essendo ingiusta soffriva come un castigo la supposta ingiustizia dell’altro. Come incominciare? Come dire — finalmente — il suo segreto progetto? Come dire che lei era vecchia, era stanca, era sola, era triste, e aveva paura d’essere abbandonata? Come dire ad Enrico, di essere buono, di convincere la futura nuora ad accoglierla in casa? Come, come dirglielo? Aveva fatto male, ecco, a parlare del corredo di Elena — i quattro stracci — a dire che lo prendevano in giro... Ma forse Enrico non le avrebbe serbato rancore. Era tanto buono, Enrico, una volta... Ma come incominciare?
E all’improvviso, le balenò un’idea: bisogna che io gli parli di Elena benevolmente, perché è la sola cosa che lo interessi. Ma ancora, ancora non sapeva da che parte incominciare e incominciò goffamente.
— In che anno è stata malata Elena?
— Senti, mamma. Vuoi ricominciare da capo con questa storia? Prima i quattrini e poi la malattia. Poi la malattia e poi di nuovo i quattrini. Ma che gusto ci provi, me lo vuoi dire? Ti diverte tanto litigare? È inutile: è meglio che me ne vada.
— No, Enrico, aspetta. Fermati ancora un minuto.
— Ma che gusto ci provi?
— Ancora un minuto per farmi un piacere...
La voce le era uscita dalla gola tremando con una angoscia così scoperta e così insolita in lei, che anche il figlio ne rimase sorpreso.
Un lungo silenzio fra i due. Ora il cuore della donna batteva senza cadenza. Eran proprio dei colpi, dentro. Dei colpi furiosi.
— Non volevo litigare, Enrico... volevo chiederti... così... non è una colpa essere malati.
— Essere stati malati.
— Ma sì... ma sì... qualunque cosa ti dica io, ti inalberi... Sono stata malata anche io e so che cosa vuol dire... Tu eri troppo piccolo allora per ricordartene... ma sai... quattro mesi a letto... senza muovermi...
— Lo so, mamma...
Era una frase gentile, quella... una frase buona finalmente. Ma gli occhi del figlio erano fissi, lontani... Ah! ecco... sono fissi sul tavolo e sul tavolo c’è l’orologio... « Ha premura di andarsene — pensò. — Ha premura. E poi, la storia della mia flebite l’ha sentita tante volte. Non ha cuore, quel ragazzo... Io non sono più niente per lui... ».
Ma tentò ancora di parlare:
— Senti, Enrico, non ti arrabbiare con me. Io so benissimo che Elena è guarita. Ci credo, e lo so. Ma non credi che quella figliola abbia bisogno di molti riguardi, ancora? Di qualcuno che le stia vicino, che la sorvegli? A casa sua, non t’arrabbiare, Enrico... a casa sua io ho l’impressione che non la guardino abbastanza... forse sono in troppi, non dico...
— È giusto questo. Sono in troppi. Ma quando sarà con me solo starà benissimo. Non ti preoccupare, mamma. Ora scappo perché è tardi.
La baciò frettolosamente sulla guancia, le carezzò un braccio in fretta, e se n’andò.
* * *
« Quando sarà con me solo starà benissimo ». L’ha detto apposta per respingermi, per farmi capire che non mi vuole in casa. È certo. Ha detto così. Me ne ricordo bene. Con una parola soltanto mi ha ricacciato indietro come una mendicante ».
Si sentiva la bocca cattiva. Si sentiva malata. Aveva voglia di piangere.
Ma dopo un poco ripensò che forse quella frase del figlio non aveva nessun significato preciso. Era una frase così, detta così, per caso...
Allora la speranza la inebriò di gioia. Chissà, forse domani, forse, avrebbe potuto ritentare la prova. Forse.
Adriano Grego.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 16.07.35

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Citazione: Adriano Gigli, “La prova,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/2164.