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Titolo: I caratteri della razza nella letteratura italiana

Autore: Angelo Gatti

Data: 1935-08-13

Identificatore: 1935_278

Testo: Le inchieste del "Diorama"
I caratteri della razza nella letteratura italiana
Stile fascista: coerenza di un’epoca che nasce
Abbiamo rivolto ai più noti scrittori italiani la seguente domanda:
Quali tra i tipi che si trovano nei libri dei nostri massimi scrittori rappresentano meglio, secondo voi, i caratteri della nostra razza?
Pubblichiamo le prime risposte pervenuteci:
La domanda che la Gazzetta del Popolo mi rivolge è, secondo me, essenziale.
Tutte le nazioni hanno un tipo letterario, che le rappresenta. La Spagna ha Don Chisciotte; la Francia, a scelta, Cirano o Tartarin; la Germania, Faust; il Belgio, Tyll Uylenspiegel; l’Inghilterra, Robinson Crusoé; la Svezia, Gösta Berling; la vecchia Russia, Oblomow (da cui addirittura la malattia spirituale russa dell’oblomovismo). Naturalmente, rammento soltanto i tipi letterari principali; in Inghilterra Robinson Crusoé, tipo del colonizzatore, potrebbe essere raddoppiato da un personaggio predace e spietato del Thackeray, o da uno malinconicamente e buffamente umanitario del Dickens; e in Russia, Oblomow da Bazarow, o da Levin. Ma non c’è dubbio che, ai nomi ora detti, non risorgano i loro paesi; quei personaggi portano davvero attaccata alle proprie suole un po’ di patria. Gli Stati Uniti, che sino a pochi anni fa non avevano tipo letterario, ora l’hanno: è Babbitt, se pure il tipo stesso non si vuole ricercare nella Tragedia americana.
Di fronte a questi tipi letterari, così netti e pittoreschi, chi può mettere l’Italia? Renzo Tramaglino? Lucia Mondella? Don Abbondio? Il cardinale Federigo? Il dottore Antonio? L’Italiano del Nievo? Franco Maironi? Mastro don Gesualdo? I Malavoglia? Zeno? Uno dei personaggi del Pirandello? Giorgio Aurispa? Il Cantelmo? Corrado Brando?
Qualche altro personaggio di altri grandi romanzi? Provi ognuno a ricordare, e si accorgerà che nessuno di quelli balza innanzi, vittorioso, per dire: « Sono io; sono qui ». La regione, spiritualmente e materialmente, li limita tutti. Non ostante il genio, si sente che I promessi sposi sono stati scritti da un lombardo. E Le memorie di un Italiano e Il Piccolo mondo antico da due veneti; La Bufera da un piemontese, Il paese di Cuccagna da una napoletana, Elias Portulu da una sarda, I Malavoglia da un siciliano. Di tutti quei personaggi letterari, io chiamerei più rappresentativi, cioè più largamente italiani, i due che sono, forse, i meno compiutamente artistici: il dottor Antonio e Corrado Brando; ma il Ruffini era profugo, e il D’Annunzio è il più cosmopolita dei letterati italiani.
Italiani dell’Italia
Chi delegano allora, o, per meglio dire, chi hanno delegato fino ad oggi gli italiani a rappresentarli, invece dei tipi letterari? Nessuno, non è possibile; perchè qualunque forza, spirituale e materiale, deve manifestarsi. Gli italiani hanno messo, al posto degli eroi e dei tipi letterari, gli eroi dell’azione, o gli artisti; per rimanere nella letteratura, Dante prima di tutti. Per molti secoli Dante ha camminato sulla terra, portando con sè il nome e lo splendore dell’Italia; era lui l’italiano, lui il rappresentante della razza, non le sue creature; in un certo senso, egli aveva ucciso la Divina Commedia. Similmente, saltando nel tempo (ripeto che devo esser breve), nè il Saul nè I sepolcri rappresentavano gli italiani del XVIII e dei principi del XIX secolo, ma l’Alfieri e il Foscolo. E, prima della guerra e durante, non il Cantelmo o l'Aurispa, ma il D’Annunzio. E, oggi, la persona del Marinetti è più italiana, per così dire, dei protagonisti delle sue opere. L’indagine intorno alla trasposizione di valore dall’opera all’operaio; del pieno rilievo di questo e del discreto passare in secondo piano di quella; di questo fatto specialmente italiano (anche però di qualche altra nazione: rammentiamo l’Ungheria, che ha per rappresentanti della razza uomini veri anziché personaggi letterari: primo il Pétöfi) è bellissima, perchè rivela i caratteri generali (passionali, intellettuali, politici, sociali, economici, ecc. ) del popolo, e i particolari degli individui. Anche questa sarà fatta, se avremo vita.
Tipi rappresentativi degli italiani, in un campo non puramente letterario, sono state invece le Maschere. Non si risveglino qui malintese suscettibilità: quello che è successo per secoli e, si tenga presente, accanto alle grandi manifestazioni dello spirito, ora non succede più. Ma le maschere italiane si sono sparse in tutti i paesi civili, acquistando diritto di città, in Francia, in Inghilterra, in Ispagna, dove sono diventate illustri, da Punch a Gilles. Ebbene: Pulcinella, Arlecchino, Pantalone sul palcoscenico, e, nei libri, Bertoldo, hanno detto, per centinaia d’anni, ciò che la maggior parte degli italiani non poteva dire, neppure voleva. (Riprova indiretta della naturalezza e vitalità delle maschere è il tipo letterario dialettale. Il popolano del Belli è proprio il romano, quello del Porta proprio il milanese; quei due tipi sono più compiuti e belli dei tipi della letteratura aulica. Ma, come le maschere, sono regionali).
Dopo la guerra del mondo, le cose però accennano a cambiare. Tipi più pieni di italiani, o almeno, elementi di tipi, che riepiloghino i caratteri della razza, si presentano e vivono qua e là. La ragione è che, dopo la guerra, gli italiani delle varie regioni diventano risolutamente e rapidamente (questi due avverbi sono necessari perchè la trasformazione era già cominciata) italiani dell’Italia. In tutto, non soltanto nell’abolizione materiale dei confini delle regioni (quanto avrà contribuito alla formazione del tipo letterario nazionale l’opposizione al teatro dialettale, cioè alla perpetuazione del tipo regionale? ), nel rimescolamento e nella fusione degli abitanti, nelle più larghe comunicazioni cogli altri popoli, ecc. Specialmente, nel modo di sentire e pensare, e di manifestare sentimenti e pensieri.
Fusione fascista
Diciamo chiara una osservazione che, al solito, indignerà alcuni raffinati, alcuni possessori della verità assoluta e della bellezza pura (ma non contano). Una delle apparenti forze, ma delle reali debolezze della letteratura italiana è stata il culto della parola. I letterati italiani, o per essere più esatti, i meno buoni tra loro, si sono più preoccupati del modo con cui manifestare se stessi, che di se stessi.
Di qui, scuole e scolette, schemi e schemini, e non si poteva, nè si può ammirare o commuoversi, se non secondo certe regole. Poiché parliamo di tipi di romanzo, un Balzac libero, duro, oscuro, scorretto, farraginoso, avrebbe avuto poca fortuna in Italia. Ma già si palesa il travaglio intimo od aperto per il rovesciamento del falso altare: l’idolo «parola», lo stile (spiegheremo più sotto, citando uno scrittore d’oggi, che cosa intendiamo per questo stile) è assalito da molte parti: sintomo mirabile, specialmente dai giovanissimi. Non è piaggeria asserire che Benito Mussolini ha concorso gagliardamente all’opera, non soltanto perchè ha fuso e cerca di fondere gli italiani, ma perchè, come scrittore e oratore, ha dimostrato « che un buon ragionamento, ben manifestato, è bello ».
Aria di famiglia
E abbiamo finalmente udita chiara una conchiusione d’uno scrittore giovane, del Bargellini, alla quale alludevamo nelle righe precedenti; questa: « Lo stile non è la piccola trovata d’oggi, la consorteria della maniera, la piccola parentela dei particolari. Lo stile è la coerenza d’un’epoca, il carattere comune di cose disparatissime e distanti, l’aria di famiglia tra individui nati e cresciuti in uno stesso clima storico. Lo stile è una conseguenza, non è un presupposto, nè una maniera, nè una regola ». In questo modo, e non in altro, abbiamo messo, o tentiamo di mettere insieme, vita ed arte; e oggi gli scrittori che con i loro personaggi rappresentano meglio, se non ancora compiutamente, l’italiano, si debbono cercare tra quelli che vivono e soffrono la vita. Sono, per il romanzo (citati alla rinfusa e largamente, poiché accettiamo i valenti di ogni scuola), Saviotti, Sobrero, Soffici, Cozzani, Perri, Repaci, Moravia, Malaparte, Alvaro, Bacchelli, Marpicati, Monelli, Gallian, Vergani, e, per la sua forza rappresentativa, diciamo ancora, Marinetti (non rammentiamo i più vecchi ed illustri, nè i pittori, pur ottimi o buoni, di tipi regionali). E i personaggi che più hanno i caratteri generali dell’italiano (citati, anche qui, come vengono, e simpatici o no) sono Rubè, Cola, e, mi sia permesso d’aggiungere, Alberto.
Angelo Gatti.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 13.08.35

Citazione: Angelo Gatti, “I caratteri della razza nella letteratura italiana,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/2187.