Carducci a scuola (dettagli)
Titolo: Carducci a scuola
Autore: Giuseppe Fanciulli
Data: 1935-08-27
Identificatore: 1935_279
Testo:
Carducci a scuola
Fra tanti scritti di commemorazione carducciana, non mi sembra che ancora si sia tentato di ritrovare quale il Poeta apparve a tante migliaia di ragazzi italiani durante gli anni della scuola: anni che contano anche da questo punto di vista, perché più tardi a molti non capita di incontrarsi coi poeti, e se mai si servono di quelle prime immagini.
La scuola di un tempo — frequentata, poniamo, dai ragazzi della mia generazione, e da altri venuti dopo, vivente il Carducci — si teneva piuttosto lontana dalla vita, proiettando i suoi entusiasmi, quando aveva un maestro di ingegno e di cuore, caso non raro, soltanto nel passato. Perciò i poeti contemporanei venivano esclusi dai programmi, e se non fossero state le antologie, non avrebbero mai figurato nelle nostre letture. Una di queste prime antologie modernizzanti, compilata da Ferdinando Martini, fece scandalo.
Ci volle l’autorità della grande fama, perché il Carducci potesse entrare nella scuola, sia pure a traverso le antologie, in volumi squallidamente vestiti come ragazzi corrigendi. Del Poeta, della sua vasta personalità, della sua posizione nella storia della letteratura, nessuno, per quanto ricordo, ci diceva nulla prima che avessimo imparato a memoria Il Bove; e, a onor del vero, nemmeno dopo. Pure è naturale, e si rivela anche nel ragazzo, il desiderio di conoscere oltre lo scrittore l’uomo, quasi ad avvicinarlo e intenderlo meglio. Noi, in mancanza di presentatori, rimanevamo al brutto ritratto messo insieme chi sa da quali malevoli imbrattatele e imbratta-glorie per troppo tempo diffuso in Italia: un uomo sanguigno, amante del buon vino, che si arrabbiava per nulla e se la prendeva con tutti, mangiapreti, giubba rivoltata — prima repubblicano e poi monarchico — capace, si, di buttar giù belle poesie in momenti di estro felice, ma troppo infarcito di mitologia, di storia, spesso oscuro.
Nemmeno a farlo a posta, le poesie che potevamo leggere non somigliavano per niente quel volgare ritratto. Ne balzava fuori, anzi, una figura virilmente affettuosa, memore, nonostante la lunga arte e la gloria, della sua triste primavera; campata in un paesaggio, che, se ha il divino del pian silenzio verde, è anche ricco di ombre fosche, di echi misteriosi, e di grandi nubi trasvolanti sui colli. L’albero a cui tendevi — la piccoletta mano... Ma vedi con quale nitore questo orso selvatico disegna una mano di bimbo di contro al melograno dai bei fiori vermigli! E quella prima conoscenza, una sorpresa, fatta con poesie di così chiara rappresentazione e così commossa musica — Pianto antico, Nostalgia. San Martino — ci conduceva agevolmente verso componimenti di' maggior mole, come Davanti San Guido e Il canto dell’amore.
Il « manzonismo degli stenterelli » e le « tre paghe per il lesso » facevano nera macchia nella pagina e come un buco nella poesia; ma la doppia fila degli schietti cipressi, la signora Lucia. il cimitero, la novella di lei che piange il perduto amore, tutto ci appariva vivido e ci era vicino, anche prima che tutto avessimo inteso. Il Canto dell’amore ci prendeva come l’onda di una sinfonia. Forse fu quella per molti di noi, e anche per molti ragazzi venuti dopo, la prima rivelazione della poesia rampollata da ricca vena, gonfia di canto e di travolgente impeto. Poco ci importava delle origini di rocca Paolina e del bicchiere offerto al cittadino Mastai; l’incanto stava tutto in quella lunga incalzante sospensione, gremita di immagini nitidissime: ponte che pareva lanciato verso l’infinito, e strapiombava sull’umanissimo amate, sul grido di ripresa, affannoso e vittorioso insieme, il mondo è bello e santo è l’avvenir. Era il nostro grido; e istintivamente godevamo nell'udirlo ripetere, con sì fremente entusiasmo, da chi era tanto in alto, arrivato a una vetta attraverso il dolore e la lotta.
Le poesie carducciane lette a scuola, imparate a memoria, non oltrepassavano questo gruppo; se pure talora un insegnante vi aggiungeva la grande ode Alle fonti del Clitumno, celebrazione della romanità qua e là anche per noi emergente in plastiche movenze, l’eroica Canzone di Legnano, e, più tardi, Saluto italico, l’audace affermazione irredentista in pieno triplicismo.
Poco, dunque, tutto questo in confronto della grande opera poetica, e delle interamente ignorate prose. Ma tale visione risultava incompleta, non direi inesatta o arbitraria; forse in conseguenza di quella unità di ispirazione e di stile, rilevata anche di recente dai critici nell’opera, per la quale non solo le parti stanno intimamente legate, ma in ogni parte si rivela o si adombra il tutto. Segni essenziali dell’anima e dell’arte del Carducci si riflettevano in quel nostro ritratto abbozzato e provvisorio: vi erano l’amore alla terra nativa, alla casa, e la fede nella bontà della vita; vi erano la concezione della Patria, dell’Italia, come creatura divinamente viva, e lo splendore dell’ideale, sovrastante la storia degli individui e dei popoli.
Anche da ciò emerge chiaro quale servigio rese così grande poesia alle generazioni degli italiani tanto appassionatamente auspicate. Nei più giovani anni ignorammo di quella poesia, oltre a pagine stupende, la parte politica, polemica, e perciò caduca; tutto era luce pura, e quel primo raggio ci aiutò poi a meglio illuminare i vertici e gli anfratti.
Per questo bisognava ricordare, mi sembra; ché se il grande artiere si riconosce dalla freccia d’oro scagliata verso il sole, l’arte sua veramente ascende, quando oltre quel fugace splendore rivive in anime innumerevoli, e si trasforma in opere degne della terra che generò il poeta.
Giuseppe Fanciulli.
Collezione: Diorama 27.08.35
Etichette: Giuseppe Fanciulli
Citazione: Giuseppe Fanciulli, “Carducci a scuola,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/2188.