VIAGGIO LETTERARIO NEL BELGIO: Colloquio con Franz Hellens (dettagli)
Titolo: VIAGGIO LETTERARIO NEL BELGIO: Colloquio con Franz Hellens
Autore: Lorenzo Gigli
Data: 1935-09-10
Identificatore: 1935_291
Testo:
VIAGGIO LETTERARIO NEL BELGIO
Colloquio con Franz Hellens
Un’oasi italiana - Come si va verso il popolo - Correnti linguistiche e letterarie nel Belgio - La "scuola di Gand" - Biografia e opera di Hellens - Tre viaggi in Italia - Amici mediterranei
Brusselle, settembre
Siamo in sei, ad una tavola del piccolo ristorante privato nella Casa degli Italiani nella silenziosa rue de Livourne; sei attorno ad una terrina di spaghetti e ad un fiasco di Chianti: il poeta e romanziere belga Franz Hellens, il pittore Cadorin, che nel salone della Casa conduce a termine un grande affresco murale, Mario Viscardini, che da due anni, lui ingegnere e filosofo di molte e complicate speculazioni interiori, insegna la lingua e la letteratura italiana ai brussellesi, e infine un medico torinese e la sua signora, coi quali son venuto sin qui in macchina attraverso il Giura, la Franca Contea e le Fiandre.
La Casa degii Italiani è una mirabile istituzione italiana nella ospitalissima capitale del Belgio: occupa un bell’edificio dove troverà prossimamente la sua sede anche il Consolato, e ospita il Fascio, l’Istituto di Cultura, il Dopolavoro, la Scuola, tutte le organizzazioni politiche, culturali e assistenziali che il Regime, dopo averle instaurate in Italia, mette a disposizione di quanti italiani all’estero cercano attraverso di esse di mantenere i contatti con la Patria lontana: e non chiede a nessuno dichiarazioni di fede politica e non guarda a partiti. L’istituto di Cultura organizza corsi di diffusione della nostra lingua tra i belgi, e vi fa penetrare il gusto e l’amore della nostra storia letteraria e della nostra poesia Ma, commovente esempio di solidarietà umana, realizzazione che lavora in profondità negli strati più umili, ecco la scuola per i figli dei lavoratori nostri spaesati: tutte le mattine c’è un autobus che gira per Brusselle, si spinge nei sobborghi, raccoglie i bambini degli italiani, li porta qui ad imparare a leggere e a scrivere nella lingua della Patria; e la sera li ridistribuisce nelle varie case. Qui si impara che l’ « andare verso il popolo » non è un modo di dire dell’oratoria politica: è una moralità tradotta in pratica, senza rumore e senza amplificazioni rettoriche, dovunque vive e lavora una collettività italiana.
Un sentimento d’orgoglio e una punta di commozione accompagnano la nostra visita alla Casa: i muratori lavorano ad ampliare, qua a buttar giù un muro divisorio, là ad aprire un passaggio o a tirar su una scala. Sulle impalcature del salone, il quadrato veneto Guido Cadorin distribuisce pennellate sul muro, dove la sua composizione allegorica traduce in chiari simboli la vivente realtà dell’Italia mussoliniana. Lo guardiamo lavorare senza disturbarlo. Ci incontreremo tra dieci minuti davanti agli spaghetti.
Due tendenze
Qui anche Franz Hellens, che ha visitato la Casa con noi, si ritrova in clima mediterraneo e spera controluce il bicchiere colmo di rubizzo vino toscano.
Hellens è il più illustre rappresentante della letteratura belga d’oggi e la sua fama ha varcato da tempo i confini della patria. Precisiamo. Il Belgio ha ora due correnti linguistiche oltre che letterarie: la fiamminga, a tono regionale, mistico, popolaresco (per fare un nome noto anche tra noi, citeremo Timmermans): e la francese, più ampia e varia, ma non tanto fusa nel movimento letterario parigino da toglier risalto al proprio suo carattere, marcatamente gotico, trasognato e fantastico. Di codesta corrente Franz Hellens è l’espressione più chiara e significativa. Nel suo solco lavorano molti giovani di talento, come Robert Poulet. Corrente o scuola letteraria, come dice qualcuno. La chiamano anche la « scuola di Gand », in un senso, crediamo, strettamente biografico, allusivo cioè al fatto che i suoi primi maestri, come Maeterlinck e Van Lerberghe, nomi di risonanza mondiale, e come del resto Rodenbach e Verhaeren, fecero i loro studi in un collegio di gesuiti di Gand e vi passarono in parte la giovinezza. Significativa e conclusiva codesta formazione in un ambiente come quello di Gand che con Bruges e Malines divide la tradizione liricomistica di città morta e di cattedrale del silenzio fiammingo, rotto talvolta dal compianto dei cariglioni magici che rovesciano le loro timide strofe metalliche sulle vie deserte e lungo i canali cantati da Rodenbach:
... les canaux bleuis à l’heure ou l'on allume les lanternes, canaux regardés des amants qui devant l’eau qui passe échangent des
serments
en entendant gémir des cloches dans la brume...
Ed ecco evocata, per virtù di poesia, un’atmosfera. Tutto agonizza e tace. Anche le campane sono rientrate nell’ombra. Sopravvive soltanto una lieve aria di flauto relegato chi sa dove: indovini quasi il volto e la miseria di colui che lo suona, le cui dita filtrano la tristezza della sera.
Questa è Gand, la città dell’« Agnello mistico » e delle beghine, del raccoglimento e del silenzio; e, anche, di traffici e di industrie. Nuova ed antica, ha messo intorno al nucleo de' suoi storici monumenti un baluardo d’opifici che guadagnano la campagna, e ai suoi canali rodenbachiani, « en proie aux cloches », fan riscontro le arterie viventi del porto fluviale. Ma la « ville morte » suggerisce pur sempre immagini di disfacimento, dove le cose
se font l’effet d’être posthumes
panni cet au delà de silence et d’oubli...
Realismo fantastico
E il vento del nord gioca sull’acqua stagnante dei canali e fa girare vorticosamente sui loro perni i galletti di ferro delle torri (come un prolungamento della pittoresca melanconia della vecchia Fiandra, ritroveremo il motivo del vento in alcune delle migliori pagine di Hellens, ma con accento ben più deciso, con una sinfonia di collera brutale e di fatalistico peso. Il vento è un elemento caro agli esseri protesi a cogliere le voci del mistero eterno. La sua musica discende dai cieli più remoti, s’inabissa nelle imperscrutabili profondità del cosmo).
Hellens è nato nel 1881. La sua infanzia trascorse liberamente in una proprietà dei genitori: e di questo contatto diretto con la natura, che si chiuse sui dodici anni, dura indelebile la memoria in lui come d’un tempo singolarmente felice: molti temi della sua arte nascono da questo fondo primitivo di sensazioni e di ricordi, come si può vedere in molti de' suoi libri, soprattutto nel trittico del Naïf, delle Filles du désir e del recentissimo Frédéric, che contiene gli elementi del ritratto d’un essere umano in evoluzione tra l’infanzia e la pubertà. Lui, Hellens, puledro selvaggio nelle piane della Fiandra orientale. Compi poi il ciclo consueto d’un figlio dell’alta borghesia intellettuale (suo padre era professore all’Università di Gand): studi, la laurea, un impiego; e, da parte sua, la fedeltà ai richiami dell'ispirazione e alle suggestioni della poesia. Oggi Hellens è bibliotecario del Parlamento, potrebbe, se volesse, entrare all’Accademia, ha ottenuto nel 1934 il premio triennale di letteratura, scrive nelle maggiori riviste europee, ispira movimenti e rassegne, è unanimemente riconosciuto dalla critica come un maestro. Il suo realismo fantastico è impregnato di succhi terrestri, denuncia l’origine fiamminga dello scrittore, la sua affinità con le visioni di Breughel il vecchio, con la sensualità mistica e raffinata del suo paese. Un suo libro s’intitola appunto Réalités fantastiques; è una scelta di racconti del ventennio 1909-1929 che lo rappresentano compiutamente ne’ suoi contatti col mondo del soprannaturale coesistente al mondo reale.
Un pittore che s’ignora
Battute d’un dialogo intimo, sul passo dell’uscio.
— Hellens o Franz von Ermengen (Hellens è uno pseudonimo, dicono le antologie). Nato a Gand o a Brusselle?
— Che importa? Sono di ceppo fiammingo autentico, con aggiunta di sangue spagnolo e francese per parte di mia madre. C’è, nel temperamento fiammingo, uno strano dualismo che lo porta talvolta al realismo più diretto talaltra verso un misticismo non meno assoluto. E questi scambi continui, spesso eccessivi, questa penetrazione dei due elementi, in apparenza così contrastanti, dona alla nostra opera un carattere speciale. Géròme Bosch e il suo discepolo Pietro Breughel sono i maestri di noi tutti: chè in fondo ad ogni scrittore fiammingo c’è un pittore che s’ignora.
— Quale dei vostri libri denuncia particolarmente questa doppia tendenza?
— Tutti, secondo me, la denunciano. Io ho tentato d’armonizzarla, d’orchestrarla in qualche modo, come mezzo d’espressione del dramma umano, in opere caratteristiche quali Bass-Bassina-Boulou, Mélusine, Le Naïf, e soprattutto nelle Réalités fantastiques che considero il libro più rappresentativo della mia maniera.
— Quando avete cominciato a scrivere?
— Chi se ne ricorda più? (pallido sorriso). Tempo dei tempi. Il mio primo libro, En ville morte, lo pubblicò l’editore Van Oest a Brusselle nel 1906. Poi vennero gli altri, una trentina ormai, da Les Hors-le-Vent a Frédéric. Un critico, leggendo Mélusine, che è del 1916, mi ha fatto passare per un precursore del surrealismo francese. Occorre dirvi che non tengo alla carica di caposcuola? Del resto, anche nelle opere del periodo che s’è convenuto dalla critica di definire del subcosciente, della trasposizione in blocco della realtà, o dell’allegoria se meglio vi piace, non ho mai dimenticato gli avvenimenti umani e i rapporti umani, ho sempre cercato d’analizzare il mistero dei sentimenti umani attraverso la mia diretta esperienza.
— Dal punto di vista biografico...
— Non avrei altro da dirvi, se non che sono stato e sono un viaggiatore curioso, ho visitato tutta l’Europa e una parte dell’Africa. Per il resto sono un uomo molto misurato nei miei gusti e nelle mie azioni. Ho passato nel Mezzogiorno della Francia e a Parigi sei anni della mia vita; poi mi sono stabilito definitivamente nel Belgio. Ecco tutto.
— Di tanti viaggi quali sono quelli che vi hanno lasciato l’impressione più profonda?
— Non esito a dirlo, e senza nessuna intenzione di farvi piacere: i miei tre viaggi in Italia. Ci sono stato la prima volta nel 1907 ma mi sono limitato a visitare le città settentrionali. Ci sono ritornato nel 1925 in compagnia di Jean Paulhan, e allora mi sono spinto fino a Roma dove mi sono legato d’amicizia col mio caro Ungaretti che amo ed ammiro. Ho conosciuto anche Emilio Cecchi e Giorgio de Chirico, il quale allora dipingeva delle nature morte d’un gusto molto realistico, contrastante con quello delle sue opere precedenti. Il mio terzo soggiorno è del 1927: sono rimasto in Italia più di due mesi e avevo l’intenzione di visitare la Sicilia, ma una malattia mi costrinse a fermarmi a Sorrento: qui ebbi la fortuna di conoscere Massimo Gorki e passai con lui ore indimenticabili. Dire che amo l'Italia, la sua natura, il suo popolo, è poco: posso confidarvi che sogno di finire tra voi i miei giorni? È il paese della terra in cui l’essere intiero trova completa soddisfazione. E siccome io mi sento, malgrado le apparenze, un’anima di classico (diciamo, se volete, di classico che si vergogna), l’Italia, terra classica per eccellenza, è il mio paese d’elezione. Ho parecchi amici italiani: Ungaretti, vi dicevo, che ho ospitato alcune volte in casa mia qui a Brusselle, poi Prampolini, Mario Puccini, Aldo Capasso. E, voi sapete, uno dei miei intimi adesso è Mario Viscardini, del quale ho finito di tradurre l’ammirevole Giovannino che uscirà quest'inverno a Parigi.
Hellens e l’Italia
— Esistono traduzioni italiane delle vostre opere?
— Sì. Il romanzo Le Naïf è stato pubblicato in Italia col titolo L’ingenuo: la prefazione è d’Ungaretti e la traduzione è buona, ma la presentazione editoriale molto mediocre. Anche tradotto in italiano, ma non ancora pubblicato, è il romanzo lirico Bass-Bassina-Boulou che si svolge prima in Africa poi in Europa: storia d’un feticcio negro, una specie di Giove africano, che s’è messo nome da sè «il padrone dell’universo ». Questo romanzo ha avuto un grande successo ed è stato tradotto in dodici lingue. Ho anche collaborato e collaboro a riviste e giornali italiani: a Solaria (a proposito di Italo Svevo), a 900 di Bontempelli, a Lirica, a Occidente, ad Arte Mediterranea, all’Italia Letteraria che ha pubblicato poche settimane fa il mio lungo racconto Al riposo della salute.
— Un’ultima domanda: esiste in Belgio un’importante attività editoriale?
— La più parte degli autori belgi di lingua francese stampa a Parigi e perciò l’editoria locale non ha grande sviluppo: le maggiori iniziative editoriali si trovano nel campo cattolico e hanno mire propagandistiche. La letteratura indipendente vive in qualche ebdomadario e rivista: la più recente è Ecrits du Nord che conoscete anche voi. Il racconto poliziesco ha un rappresentante belga in Simenon e il teatro vanta il nome di Crommelinck che tutto il mondo ha acclamato. Eccovi tracciato un piccolo panorama delle cose nostre. Arrivederci laggiù'
Lorenzo Gigli.
Franz Hellens con Massimo Gorki a Sorrento nel 1927.
Autografo di Franz Hellens: è l’ultima pagina della sua traduzione di « Giovannino o la vita romantica » di Mario Viscardini.
Modigliani: Ritratto di Franz Hellens.
Collezione: Diorama 10.09.35
Etichette: Lorenzo Gigli
Citazione: Lorenzo Gigli, “VIAGGIO LETTERARIO NEL BELGIO: Colloquio con Franz Hellens,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/2200.