Ciò che si stampava un secolo fa (dettagli)
Titolo: Ciò che si stampava un secolo fa
Autore: Lorenzo Gigli
Data: 1936-02-11
Identificatore: 1936_35
Testo:
DIORAMA LETTERARIO
Ciò che si stampava un secolo fa
Pseudonimo parigino del Guerrazzi ed esordio del Prati - Centenari di uomini celebri - Titoli famosi del periodo romantico Un libro torinese di Stendhal - Le fatiche d’un nuovo Sisifo
Gli storici del movimento romantico dicono che il 1836 fu un anno di decadenza. Anche a noi, se scorriamo i manuali bibliografici, non si offrono alla memoria avvenimenti letterari di prima grandezza. Tuttavia qualche nome e qualche titolo di cent’anni fa meritano di essere appuntati: è nel ’36 che il giusti pubblica Lo stivale e Nicolò Tommaseo il saggio Dell’Educazione, e Cesare Balbo la Vicenda della costituzione delle città lombarde; ancora nel ’36 il Guerrazzi stampa a Parigi L’assedio di Firenze con lo pseudonimo di Anselmo Gualandi; Giovanni Prati pubblica a Padova il suo primo libretto di versi; e giuseppe Ferrari cura per la Società dei Classici di Milano, fra il '35 e il ’37, l’edizione in sei volumi delle Opere del Vico ordinate e illustrate con l’analisi storica in relazione alla scienza della civiltà. Nel medesimo anno nascono l’architetto e scrittore Camillo Boito, lo scultore e scrittore Adriano Cecioni, il romanziere Anton Giulio “Barrili, il giornalista “Pier C. Ferrigni detto Yorick, il critico e filologo Bonaventura Zumbini; e muoiono il candido poeta bresciano Cesare Arici (la cui umanità pudica e la cui arte ricevono maggior luce dalla pubblicazione recente dell’Epistolario completo di Vincenzo Monti, del quale fu amicissimo) e il filosofo e letterato romagnolo Paolo Costa. Poi, chi va a caccia di centenari da celebrare, rammenti che sul finire del 1336 muore Cino da Pistoia, esimio interprete del giure, come dice un’iscrizione, e poeta « tutto delicato e veramente amoroso » secondo il giudizio di Lorenzo de’ Medici; che nel 1436 nasce un altro pistoiese illustre, Antonio Cammelli, il quale riprese i motivi tradizionali della poesia giocosa e satirica e li rinnovò aprendo la strada al Berni; che nel 1636 morì Francesco Carletti, mercante fiorentino, il quale fece il giro del mondo e raccontò le vicende del lunghissimo viaggio in dodici ragionamenti, testo di lingua.
Ecco dunque, per i volonterosi, quattro o cinque temi di commemorazioni secondo il gusto d’una volta. E per completare la lista non sarà male ricordare che proprio cent’anni fa Stendhal pubblicava a Torino per i tipi di Pietro Marietti e con la semplice sigla H.B. (Henri Beyle) « Une coquette à Turin, Suite des moeurs piémontais », edizione oggi assai rara e se qualche lettore per avventura l’avesse nei propri scaffali la tenga da conto. I bibliografi di Francia registrano nel ’36 la comparsa di più d’un libro famoso nella storia del romanticismo: la Confessione d’un figlio del secolo di De Musset; Simone di Giorgio Sand (storia di un giovane contadino autodidatta che diventa avvocato e s’innamora di un’italiana, patriota ardentissima); Il giglio nella valle di Balzac; il Saggio sulla letteratura inglese di Chateaubriand; Fiori del mezzogiorno, il primo volume di versi di Luisa Colet; La via più breve di Alfonso Karr; infine Jocelyn di Lamartine, che raggiunse in due mesi la quarta edizione (e alla quarta l’autore aggiunse un poscritto, con la data di marzo, per difendere il libro dal punto di vista degli scrupoli religiosi ch’esso aveva destato sulla questione del celibato sacerdotale).
Quest’è, nelle sue principali espressioni, l’annata letteraria 1836. Per un’annata di decadenza, non si può dire che sia stata troppo cattiva nei riguardi della posterità.
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Formiggini ci domanda se abbiamo mai sentito nominare Sisifo. Certo che l’abbiamo sentito nominare. « Bene, fa lui, il Sisifo dell’età moderna sono io ». La sua fatica consiste nel sostenere sulle spalle, del resto capaci, il peso di un’iniziativa editoriale che alcuni anni fa gli parve una trovata: un dizionario dei contemporanei L’iniziativa si concretò, come tutti sanno, nell’ormai famoso Chi è?, repertorio di nomi e d’opere di gente che in un modo o nell’altro fa parlare di sè. Codesto repertorio stava per toccare la terza edizione quando al Formiggini balenò un’idea rivoluzionaria; bisogna ch’esso comprenda tutte e soltanto le « voci » di quanti sono attualmente sulla breccia. Ne consegue che, a partire dalla terza edizione uscita in questi giorni, il Chi è? si pubblicherà a data fissa ogni anno, e sarà convenientemente aggiornato secondo le indicazioni che i singoli interessati avranno cura di comunicare all’editore dentro l’autunno.
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Uno dei capitoli più interessanti del volume Storia e Poesia nel quale Ferdinando Neri ha raccolto un gruppo di saggi letterari (ed. G. Gambino, Torino) porta il titolo aereo di Fiabe e segue il corso del racconto meraviglioso e della leggenda in Italia che, per la critica romantica, è il paese che più scarseggia di produzione fantastica.
La fiaba si ritrova nella nostra poesia giullaresca delle origini (più d’uno dei cantàri che ci rimangono si svolge sugli amori delle fate e dei cavalieri); tre volte nel Decamerone appaiono le meraviglie dei racconti popolari; e i novellieri di poi, il Fiorentino, il Sercambi, il Cieco da Ferrara, il Merlini, lo Straparola, non sdegnano le « stupende panzane » del popolino, e i casi fantastici, e le virtù di magia. Si aggiunga la simpatia spontanea degli scrittori dialettali per questi temi, alla quale dobbiamo soprattutto Lu Cunto de li Cunti, il gran libro di fiabe del napoletano Basile; al meraviglioso attinsero l’Umanesimo, il Rinascimento, il Seicento, la Commedia dell'Arte, il Boiardo e l’Ariosto, il Lippi e Carlo Gozzi.
L’arte nostra non ha mai sdegnato di accedere al regno delle favole; ma, conclude il Neri, « il modo onde l’Ariosto tratta il meraviglioso è prova della massima serenità, è un dominio, e non una dedizione, della fantasia ». E l’accento ironico che vibra in tutti i narratori italiani e che, dal Basile a Carlo Gozzi, associa sempre più strettamente la fiaba alla commedia, si spiega « con la preminenza dell’interesse umano a cui essi non rinunciavano dinanzi ai miraggi più incantevoli, nel brivido delle più strane paure ».
l.g.
Collezione: Diorama 11.02.36
Etichette: Lorenzo Gigli
Citazione: Lorenzo Gigli, “Ciò che si stampava un secolo fa,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/2251.