Il poema della "28 Ottobre" (dettagli)
Titolo: Il poema della "28 Ottobre"
Autore: F.T. Marinetti
Data: 1936-05-01
Identificatore: 1936_55
Testo:
Il poema della
"28 Ottobre"
7. Le ambe ispiratrici
Questo illimitato fastosissimo tramonto di altipiani abissini mi dardeggia in bocca mentre parlo alle camicie nere della 114 che cantano Mafarka Mafarka le anime volanti delle ambe tabulari e parlo anche a voi ambe ambe ambe
Siete incudini su cui spezzano enormi scintille le lunghissime spade arroventate del sole
Siete lo credo dichiaro ci tengo mense sterminate offerte dalla patria ai giganti Galliano Toselli De Cristoforis cenino alfine decorosamente vivande e liquori celestiali senza scatolame politico
Ambe slittanti inviti alle feste dell’infinito
Ambe campi di corsa per le nuvole e le stelle motorizzate
Ambe sorprendenti banchi per la mostra completa delle costellazioni
Ambe campi di pattinaggio per voi camicie nere della 114 affollate dalla parola Italia fra i pietroni e gli edmò preistorici col riverberato bianco rosso e verde della grande bandiera in faccia e il luccicare delle mitragliatrici fanti fanti fanti color oliva e color arenaria caschi in cima alle baionette dei moschetti
Con quanta maestria di elettrizzato Ministero delle Comunicazioni le raffiche mi rubano dalle labbra e smistano in Patria i nomi di Garibaldi Cavour Mazzini Crispi Mussolini e quello rindorato di Adua nazionalismo futurismo preparatori della grande sensibilità fascista interventismo grande guerra arditismo Vittorio Veneto squadrismo diciannovista Covo di via Paolo da Cannobio e via Cervia Casa Rossa direzione del movimento futurista battaglia del 15 aprile bellezza della patria madre moglie pupi e pupette tutto per la nuova più grande Italia
Arrampicarsi acrobatismi col mulo che scimmiescamente pianta con ferocia le zampe anteriori e mi tira su in bilico sospesi insieme in avanti o rovesciati all’indietro nel caos dei pietroni di limunite di ferro rossastri violacei cespuglioni di salvia gelsomini freschi amorosi a consolarci dal vulcanico infierire delle scabrosità torride le martella il sole nella sua diabolica lezione di scherma infilzante a fondo contro i petti colpiti di fuoco delle ambe arrampicarsi su fino al fortino che magicamente vorrebbe sciogliermi il suo cioccolata durissimo in bocca
Con le labbra così inumidite alla meglio esaltare il terzo bersaglieri velocisti che si divertono a consolidare fortini mitraglianti con l’arte di Leonardo Sangallo
3. Elegante regina dei paesaggi
Poiché si riparte per il sud sbarrato dicono da fucili mitragliatrici numerosi quanto i capelli le mosche e i granelli di sabbia dicono gli informatori vieni con me o elegante aerea regina dei paesaggi saluterai le euforbie ad una ad una col suo nome la Casta l’Infedele la Violenta la Decadente la Silenziosa la Futurista nel cavo del mai asciutto
La tua fantasia si smarrirà fra tanti illusori mazzi di speranze che per te diventano serpi catene ingranaggi braccia folli
Pensa allo strambo desiderio che assilla l’acacia sanguigna vuole ecco tenta riesce a spruzzare di sangue luminoso l’ardito slàncio guerriero erotico mistico di un’euforbia ma si pente scarta ogni tragicità e con volanti schizzi di una confettura di rose innaffia le euforbie di colpo ringiovanite festa di bambine nitrire d’orrore i muli giù per la pietraia aggrovigliati cespugli blocchi di limunite di ferro e precipitante arabesco di burroni profondi di rupi e costoni rossastri a picco che covate di iene gementi umanizzano d’angoscia
Ma giù in fondo valle ci liberiamo dalla diabolica atmosfera attraverso l’oro vecchio ondulato della dura e gli splendori biondi del grano dove zebù guidati da negretti e negrette crani imburrati lucentissimi bronzi con piccoli drappeggi di fute affumicate sgambettio nero nel campo fa funzionare per l’eternità il frantoio di grano calpestato girante
A 500 metri senza timore come pupette appoggiate alle declinanti pieghe della gonna su una mano severa i congiunti villaggi di Scelicot ridere con brillanti grandi alberi frondosi pel declivio speroni dell’amba Metere
Compenetrazione cinerea di conici guggì e sekelà vecchissime negre rugose tortuosi colli di cammelli vegliardi di bronzo capretti di carbone cesellato nonne simili a radici paglia corna di montone
Freschissimo il sentiero a volta fronzuta bassa scavalcare con lui ridenti acque limpide orti di cipolle e pepe rosso lungo il recinto della chiesa copta entrare pezzi polverosi di mendicanti e si respira la profumata ombra sacra nell’aroma bruno di alti cedri ulivi selvatici frusciare di foglie si fonde col mormorici di ruscelli tubare delle tortore azzurre in gara coi merli metallici da ramo a ramo
9. Pace ai gemiti umani delle iene
Per verificare se Scelicot contiene nemici andare in ricognizione col maggiore Vercesi e il maggior Rossi fuori dal fortino di passo Dogheà sulla carovaniera che il genio sistema
Ci fiancheggiano a 100 metri a destra e a sinistra reparti mitragliatrici leggere
Uno strapiombo di 100 metri fa
O tonda austera chiesa copta che facesti un dì circolare il tuo corridoio irto di S. Giorgio in battaglie rosse blu mascherate da musciarabie arabe dimmi come facesti ad infilzare sulle punte della croce d’argento losangata del tuo conico tetto di paglia tante candide uova di struzzi balzanti da nuvola a nuvola
Ferma beatitudine preistorica di pastori chiusa nel vetro di un vento continuo miliardario di chilometri e solitudini galoppanti affamato di spazio fiero dei suoi someggiati tattilismi polari
Come secchie nere di una noria orizzontale muli muli muli sgranare il loro andirivieni di casse sacchi legna sotto le ampie ruote dei falchi e le linee rette degli aeroplani distratti da ogni relatività diretti all’assoluto
10. Stemperare un po’ della nostra anima qua e là
Deporre e stemperare un po’ della nostra anima qua e là attendando sentimenti ricordi volontà su questo colle di solchi paglia mosche che domina le incisioni d’oro ebano del Calaminò errante per la pianura in cerca del villaggio Debrj teatrale profondo ombelico tortuosi strapiombi cascate d’acqua e chiesa copta alla punta d’uno sperone vuole aggredire gli inferni sotterranei
E anche qui tra le acacie sanguigne della gola del passo Dogheà favorevole agli agguati abissini ora lontani a scambiare cartucce con talleri
Sistematicamente la tenda mescola i nostri nervi alla terra o all’erba o ai ceci o alle gramigne o alle pietre amiche degli scorpioni
Come una bella signora raffinata sonnecchiare sdraiato nel lettino al centro d’una pianura con la lampada elettrica di Sirio a destra e l'acqua rosata dell’alba nella conca di ambe a sinistra non ancora riscaldata a puntino i costoni sono mobili domestici e l’aria è un cristallo di finestra indispensabile
Un’infusione di sole paglierino e aromatico nel Calaminò si muta in acqua di colonia italiana per lavarmi dalle mosche mentre il rasoio d’una camicia nera barbiera rade insieme il mio mento tre cespugli spinosi una nuvola pelosa d’argento e le frange lunghe verdi di una chiesa copta docciata dal sanguigno lilla viola degli shrapnels nostri precisi
Stemperare inoltre un po’ della nostra tenerezza sensuale sull’orso formichiere cauto segue fiutando i miei gambali col suo lungo muso cilindrico lingua rosea frecciante
Mai cameriera allenata avrà il garbo giocondo snello marziale insieme aggraziato con cui il caprone Macallé grossa coda di grasso in riserva gioca battendo elegantemente il minuscolo zoccolo del piede destro per sfidar me carponi e testate
Mai mendicante affamato saprà gemere come le iene truffate dagli sciacalli guidatori alla tenda dove ogni sera il mio attendente visita rivisita il lettino sospetto di naia ieri due in una tenda vicina
F.T. Marinetti.
Collezione: Diorama 01.05.36
Etichette: F.T. Marinetti, Fuori Diorama
Citazione: F.T. Marinetti, “Il poema della "28 Ottobre",” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/2271.