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Titolo: La stella solitaria

Autore: Eugenio Bertuetti

Data: 1936-07-21

Identificatore: 1936_69

Testo: La stella solitaria
È il titolo del nuovo libro di Orazio Pedrazzi. attuale Ambascia core a Madrid di S.M. il Re d’Italia e Imperatore d’Etiopia. Capitoli staccati di una sola esperienza o avventura — come forse a lui piacerà meglio si dica, avendo nel sangue la febbre del giramondo —, avventura che incomincia con la partenza da Genova per il Cile in un giorno d’autunno e finisce un anno e mezzo dopo a Gibilterra, sulla via del ritorno.
Giornalista e scrittore, questo giovane diplomatico fascista è forse il primo in casa nostra che, similmente a molti suoi colleghi di fuori, unisca all’arte machiavellica di trattare affari di Stato, l’altra, altrettanto machiavellica, di raccontare. Il libro su Praga e il romanzo « Terra di Dio » (dove, sotto il velame della favola immaginaria, senti maturare i frutti di due esperienze diverse — in Palestina prima, in Cecoslovacchia poi) ci avevano dato per sé soli la misura del suo spirito d’osservazione e della vena. La quale è toscanissima, cioè facile e vivida — e sana soprattutto. Il Pedrazzi che abbiamo conosciuto al tempo della preparazione, della vigilia; tutto estri, entusiasmi — tutto fede; che c’insegnava a credere contro le stesse apparenze avverse con quel piglio categorico e quella eloquenza così lineare e limpida da sembrare. persino mnemonica, lo ritroviamo intatto nei libri: e come allora nelle parole, così oggi nelle pagine si muovono spiriti di presagio destinati via via a placarsi in noi e in lui col compiersi della realtà.
Il giornalista, che ha speso adolescenza e giovinezza a vedere paesi, a studiare avvenimenti, uomini e costumi con l’assillo di coglierne il nesso intimo e renderlo intatto ai propri lettori, apriva la strada al diplomatico, il quale vede il suo mondo per introspezione e facilmente lo connette ai fenomeni di causa e d’effetto in relazione al resto che lo circonda, alla storia dalla quale esso mondo nasce, al paese in cui vive, all’avvenire che lo attende. E il giornalista ventenne, dal cuore traboccante di nostalgie, cui piaceva sentirsi sradicare perché gli piaceva anche di più il portarsi poi dentro le fibre recise e guarirle a poco a poco con la preparazione dei ritorni, rieccolo tale e quale nella maturità operosa del diplomatico scrittore. La prima riga della prima pagina di questo libro — stampato in Ispagna (Espasa-Calpe, S.A. Madrid) — è proprio un grido di quei vent’anni: « Quel saluto mi martella nel cuore: — Buon Natale! ». S’era ai primi di novembre, il Pedrazzi partiva da Genova per Santiago, e gli amici lo salutavano così, per dirgli che a quasi due mesi di distanza la festa del focolare l’avrebbe poi sorpreso chissà dove. Il viaggio è appena incominciato, dunque, e già la nostalgia, come dice lui, « martella ». Ora, questa corda in minore, accorata e patetica, vibra in ogni capitolo ad onta dei problemi diversi e gravi che vi si studiano, e dà il tono al libro, come il cuore lo dà all’uomo.
Una stella campeggia sola in mezzo alla bandiera del Cile, il quale volle forse ricordare, con questo, « che le sue coste lunghe quattromila miglia, bagnate dall’Oceano Pacifico, vigilate dalla Cordigliera delle Ande, hanno la protezione delle divine lampade poste da Dio sopra la vita del mondo ». Ma potrebbe anche significare orgoglio della solitudine — coscienza delle lontananze dal resto dell’umanità e della lotta da sostenere per eliminarne i danni — spirito di poesia. Nel suo studio scrupoloso, sempre tenuto dal lievito d’una simpatia schietta per l’oggetto, il Pedrazzi interpreta il Cile al lume di quella stella. I caratteri del vasto e lontano paese, stretto fra l’oceano e il monte, gli si rivelano non propriamente per quello che sono forse in se stessi, ma per il significato che acquistano all’ombra d’una bandiera siffatta. In una parola, egli sembra dirci: « Volete capire? Guardate la bandiera ». Ed ecco che nella terra angusta e insieme senza fine, aggredita ad occidente dal mare sterminato, premuta a levante dalla Cordigliera — aspra, inospitale, inaccessibile quasi —, che si perde al sud verso gl’inverni perenni dei mari antartici, riusciamo a scoprire una nobiltà singolare, antica, che ce la farà prediligere fra tante.
Le interpretazioni che Orazio Pedrazzi ci offre dei singoli aspetti del paese — interpretazioni in rapporto alla sua posizione geografica, alla natura del terreno, alla tempra degli abitanti, alle risorse economiche e così via — sono sempre originali pur conservando il carattere essenziale del documento. Il Pacifico, le costellazioni straniere — d’altro polo —, le Ande, l’umanità eterogenea — dalle origini più distanti e diverse — che ha fatto la storia del Cile, sono visti e trattati da lui sotto la specie di creature, alle quali, per comprendere, è necessario scoprire l’anima. L’oceano, le stelle, la montagna non sono meno vivi e palpitanti degli uomini, né hanno sul fatale formarsi della storia meno importanza di questi. Si leggano i capitoli L’Oceano della fantasia, Croce del Sud, Il muro della prigione, L’anima a spicchi, Canali di Magellano, e si vedrà con quale ricchezza di vibrazioni e padronanza di tavolozza questo diplomatico abbia saputo cavare voce e significato da quelle che sono le cose in rapporto alla vita e al destino dei popoli. Ma due capitoli meritano sopra tutti gli altri d’essere segnalati; pagine — qualcuno l’ha già scritto — le quali dovrebbero essere senz’altro raccolte per Te antologie che vanno in mano ai giovani. S’intitolano Morte del lavoro eroico e La capitale della solitudine.
È il primo un ritratto sobrio e potente di Iquique e Antofagasta, le città del sole, della rupe e della cenere, morte solo da ieri, ma già ferme e lunari, come se i millenni le avessero disseccate e corrose. Città sorte come sotto l’impulso d’una sarabanda frenetica nei tempi abbastanza recenti della fortuna del salnitro, si sono spente quasi d’un tratto pochi anni dopo la guerra, quando la « carriera del salnitro » era spezzata dall’avvento della chimica industriale. Il Pedrazzi ce le mostra nel fulgore della fortuna e quindi s’attarda a studiarne il dramma della decadenza. Dramma di folle che piombano dalla ricchezza più smodata alla miseria più livida; di moltitudini fuggiasche fra gl’inutili segni di una prosperità perduta, risospinte dal terrore delle solitudini, dallo spettro della fame. Storia di ieri — indimenticabile.
Opposto ritmo, tutt’altra voce nella Capitale della solitudine, Magellano. Città illogica. Metropoli dell’impossibile. Nelle sterminate distese invernali del sud è sorto questo miracolo di tepore, d’allegrezza, di vita. Come Iquique e Antofagasta erano nate per virtù del salnitro in margine ai deserti petrosi di Tarapacà e di Atacama, così grazie alla lana dei mareggianti armenti delle pianure patagoniche si affermava Punta Arenas (« nome che per lungo tempo fu dato alla città di Magellano »). La battaglia dura, soprattutto contro i rigori del clima, dei primi colonizzatori è dall’autore sentita con simpatia così chiara che tutto il racconto n’è permeato — terso e commosso. Gli è che il lievito di cui si discorreva più sopra, quella corda in minore, più si fa sentire quanto più grande è il fascino della materia. Ma tale delicatezza del Pedrazzi scrittore la trovi anche più trepida e umana ogni qualvolta la sua nostalgia s’imbatte con gl’italiani che vivono laggiù — e ne incontra molti, e in ogni luogo, vanto d’Italia. Allora sulla prosa orgogliosa affiora un che di tenero e di paterno, come lacrima su ciglio fiero. E i richiami alla Patria grande e lontana, così lontana che non se ne vedono più neanche le care stelle, sono pieni d’amore.
Eugenio Bertuetti.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 21.07.36

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Citazione: Eugenio Bertuetti, “La stella solitaria,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 17 maggio 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/2285.