Cinquantenario del Simbolismo (dettagli)
Titolo: Cinquantenario del Simbolismo
Autore: Lorenzo Gigli
Data: 1936-06-26
Identificatore: 1936_68
Testo:
Cinquantenario del Simbolismo
Una generazione di poeti e di artisti - La calamita del verso libero - Da Baudelaire a Maeterlinck - La reazione antinaturalista
Il cinquantenario del Simbolismo è il duplice giubileo di tutta una generazione di poeti, d'artisti, di uomini politici. È una data europea; ma come cade in un momento in cui l’Europa tra inquietudini, preoccupazioni e apprestamenti ha scarso tempo da dedicare alle commemorazioni sia pure de’ suoi giorni felici, è probabile che la mostra storica di libri, manoscritti, ritratti e cimeli raccolta da alcuni volonterosi nella Biblioteca Nazionale di Parigi non farà un chiasso eccessivo.
I padri e i figli
Tempi felici, appunto, nel crepuscolo del secolo che moriva, e ancora tre lustri separavano gli uomini dall'epilogo cruento d’un'epoca e d’una civiltà. Il tumulto delle passioni politiche e sociali, il dreyfusismo, l’antisemitismo, il boulangismo dell’ora, veduti dalle odierne posizioni ideali, sembrano piccole risse comunali. Anche allora la nuova generazione gridava alla vecchia: « Largo ai giovani! »; la protesta dei meno di trent’anni contro coloro che hanno il torto di resistere troppo a lungo era sì un aspetto dell’eterno conflitto dei padri e dei figli, ma i protagonisti lo drammatizzavano soltanto a parole.
In quest’atmosfera d’impazienza e d’eccitazione rumorose ed esteriori nacque il Simbolismo, si sviluppò, partì dalle rive della Senna alla conquista del Parnaso mondiale. E partì con le sue invenzioni (verso libero), calamita dei poeti giovani, con le sue riviste programmatiche e polemiche (il « Mercure » e la « Revue Bianche »), con le patenti delle proprie origini che mettevano radici nel terreno baudelairiano e su per i rami di Verlaine, di Rimbaud, di Mallarmé e di Laforgue mandavano linfe di grazia alle fronde nordiche di Maeterlinck, di Rodenbach e di Verhaeren.
Un’antologia mondiale del Simbolismo che partisse da Baudelaire e arrivasse al D’Annunzio e al Pascoli (anche a Govoni e a Marinetti; e l’apporto degli altri paesi sarebbe sempre riferibile all’età che sta a cavaliere dei due secoli e si chiude alla vigilia della grande guerra) potrebbe tuttavia portare come manifesto una pagina della prefazione che Remy de Gour mont scrisse per il primo « Livre des Masques ».
Per il Gourmont « la colpa capitale d’uno scrittore è il conformismo, lo spirito d'imitazione, la sottomissione alle regole. L’unica giustificazione ch’egli possa trovare al fatto di scrivere è lo sforzo d’essere originale. Deve dire delle cose ancora non dette, e dirle in una forma non ancora formulata. Deve crearsi la propria estetica ». Concludeva provvisoriamente con questa definizione anche troppo semplice: « Il Simbolismo è l’espressione dell’individualismo nell’arte ». E la sua testimonianza di glossatore fedele al monito goethiano che se non si discorre delle cose con una parzialità piena d’amore non mette conto di riferire ciò che s’è detto, giungeva con Montesquiou e con Claudel sotto le mura del fortilizio massiccio di Proust e della torre eburnea di Valéry.
Cinquant'anni. Perchè al 1886 si fa risalire l’atto di nascita della nuova scuola poetica (il primo manifesto del Simbolismo, steso da Moréas, apparve nel supplemento letterario del Figaro nel settembre di quell’anno) che fu poi per mezzo secolo uno dei movimenti letterari più fecondi di messi solari, più eccitatori della sensibilità e dell’intelligenza. La reazione classica che seguì al Simbolismo gli deve il senso della complessità del mondo e del valore del linguaggio per trasportarne musicalmente il mistero.
A riconoscerne la funzione e i meriti l’occasione del cinquantenario è propizia. Anche a rinverdire la fama di qualche apostolo che si battè strenuamente per la causa, per esempio di quel Carlo Morice, poeta disgraziato, vissuto e morto povero e oscuro, che neppure il cinquantenario aiuta ad ottenere giustizia. Quasi nessuno, infatti, se ne rammenta; ma il Morice è figura assai importante per la storia della poesia moderna; possiamo cioè, poiché si presenta l’occasione, rivendicarlo in funzione di critico, mentre egli aspirava ad essere un grande poeta. Il suo dramma è tutto qui, in una vocazione sbagliata, in una rottura d’equilibrio spirituale. S’è cercato da taluno di presentare il caso Morice come uno dei tanti casi di vita fallita da mettere nel conto delle solite coalizioni dell’invidia e dell’incomprensione degli sciocchi per gl’ingegni autentici.
Il dramma di un’esistenza
Il Morice morì nel 1919, è anche lui s’era rassegnato alla rinuncia ai fastigi della poesia per contentarsi di qualche raro riconoscimento della sua virtù d'esegeta: di quello autorevole d’Anatole France che allorquando nel 1889 venne fuori la « Littérature de tout à l’heure » del Morice gli riconobbe autorità di caposcuola (si veda la seconda serie della franciana « Vie Littéraire »). L’opera può considerarsi infatti l’espressione dottrinale del pensiero simbolista; è opera d’anticipazione, ricca di vedute originali, una fonte preziosa alla quale tutti hanno attinto dimenticandosi poi, come succede spesso, di citare la fonte. Il Morice è stato il cervello più organizzato del Simbolismo, l’araldo di gloria della generazione di poeti e d’artisti che va da Verlaine a Barrès e da Rodin a Matisse. Fu anche uno dei primi a rivelare le possibilità di Giraudoux giovanissimo: segno che vedeva chiaro e lontano.
L’esistenza di Carlo Morice fu un apostolato esemplare, svolto in condizioni assai dure, a vantaggio della poesia. Solitario, povero, sdegnoso, visse e morì scaldandosi alla fiamma dell’arte che gli rendeva meno amare le privazioni e le ingiustizie.
Le opere da lui lasciate (lirica, critica, romanzo, autobiografia) recano tuttavia il segno d’una prodigalità di idee e d’un senso del colore del tempo che rende iniqua la sorte toccatagli in vita e dopo. Il poeta si torturava di non poter dar forma al proprio sogno, e dalla sommità della vita, contemplando il movente ideale verso il quale fumava l’incenso de’ suoi voti, fremeva « de lire en maint fatal exemple la menace d’ìnéluctables désaveux... ».
Nobile ed austero artista, quando la morte gli troncò il volo non ebbe rimpianti di cure terrene, ma questo unico, che se ne andava senza essere riuscito ad esprimere ciò che gli cantava dentro.
Lorenzo Gigli.
Collezione: Diorama 26.06.36
Etichette: Lorenzo Gigli
Citazione: Lorenzo Gigli, “Cinquantenario del Simbolismo,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/2284.