Vita berlinese: autunno (dettagli)
Titolo: Vita berlinese: autunno, anitre, teatri
Autore: Massimo Caputo
Data: 1938-11-09
Identificatore: 1937-38_49
Testo:
VITA BERLINESE
AUTUNNO, ANITRE, TEATRI
Migliaia di pennuti trascorrono pacificamente l’inverno nei laghetti cittadini - L’imprudenza del re di Lidia riportata ai giorni d’oggi
Berlino, novembre
Guardo attraverso la finestra il cielo ovattato e grigio che incombe sulle case grigie e sconsolate, le begonie e i gerani intristiti e vizzi dei balconi di fronte, l’asfalto lucido d’umidità della strada, e non oserei dirvi che sia una vista da rallegrare l’animo. Ci siamo, ci siamo. L’autunno incimurrito e asmatico ha ripreso saldo possesso della Marca di Brandeburgo, feudo carissimo al suo cuore, e ci prepara una filastrocca di giornate come questa, melanconiche ed eguali come i grani di un rosario, roba da domandarsi se il sole abbia putacaso deciso di non degnare neanche più di un’occhiata quel che avviene in questo basso mondo.
Beethoven la pensava così
Autunno: le signore che si piccano di mondanità (per fortuna, nel Terzo Reich sono in sensibile diminuzione) scoprono a un tratto il gran piacere che avrebbero a rivedervi a prendere una tazza di tè; quell’altra perniciosa categoria che sono i conferenzieri si sentono ripresi da un rinnovato ardore di erudire il pubblico; ricomincia il sollazzo dei ricevimenti e dei banchetti ufficiali coi salamelecchi di rigore, i discorsi tutti latte e miele; riprende l’azione invernale di soccorso con l’Eintopfsonntag, cioè il piatto unico alla prima domenica del mese perchè coi quattrini risparmiati non abbia a esserci nessuno, nella Germania nazionalsocialista, a tirarsi la cintola davanti a una stufa spenta.
Nelle gelide acque dei canali e dei laghetti son tornate a navigare impettite e composte le anitre selvatiche, venute a Berlino a passarci l’inverno, come noi si andrebbe in riviera. Anitre selvatiche a decine di migliaia nel cuore della città: le femmine gialligne e civettone, seguite ciascuna dal consorte fiero del suo bel collo smeraldino. Son quelle che per arrivare in campagna a tirargli una schioppettata bisogna aspettare le ore fra il lusco e il brusco, trattenendo il fiato e ricorrendo a ogni sorta di accorgimenti; ma qui salpano, starnazzano, si rituffano e giocano in lieta sicurtà, accorrono giulive e fidenti alle sponde popolate da vecchi signori, bambinaie e pargoli con il cartoccio di molliche di pane, che degnano di beccare perfino dal palmo della mano.
Senza offendere nessuno, vi figurate, da noi, che arrosti saporiti? C’era un amico italiano, venuto da queste parti, che trasecolava a veder tanta grazia di Dio. Va bene dar da mangiare alle anitre, ragionava, ma le anitre son qui anche per essere mangiate; e meditava qualche sottile insidia per catturarne un paio. Ci volle del bello e del buono a farlo desistere dai suoi propositi criminosi. Il cuore di ogni tedesco è pieno di amore per gli animali, i fiori, gli alberi. È un sentimento commovente. Chi fosse sorpreso a tirare il collo a un’anitra susciterebbe il furore popolare, passerebbe l’anima dei guai. Se per la strada, in un tram, in un caffè si accende una disputa a cagione di un cane, la gente si schiera unanime dalla parte del cane; e per i cani e ogni altro animale ci sono non so quante associazioni intese a proteggerli, a curarli, ad alleviarne le pene, a liberarli da questo terreno travaglio, senza che manco se ne accorgano, quando li affligge un malanno insanabile.
Ma sapete, diceva Beethoven, che mi è molto più caro un albero di un uomo? E aveva ragione. Dagli alberi non c’è da aspettarsi una mascalzonata, e neppure dai fiori, nè dagli animali. Ma gli uomini! E perciò meritano ben altro. I tedeschi devono pensarla tutti un po’ come Beethoven, e io mi auguro spesso di vivere un giorno, a premio dei meriti acquistati in questa vita, come albero, o fiore, o animale in Germania.
La Regina Vittoria, femminetta e donnina
Il maltempo richiama la gente ai cinematografi e ai teatri. Questa è la Vorsaison, una specie di anticipo, di assaggio della stagione vera e propria che verrà più tardi con le grandi novità da cui le imprese attendono adeguato successo di pubblico e di cassetta. Si rimettono in scena, per chi non li avesse ancora visti o volesse rivederli, i lavori applauditi nella stagione passata, si riprende qualche riuscita edizione di classici. E non manca qualche prima buona novità. Victoria Regina, per esempio, ha trovato il favore dei berlinesi. Il glorioso regno vittoriano è rievocato dall’Hausmann in garbati e coloriti episodi, si svolge dinanzi a noi visto con occhio tedesco. Il Principe consorte è tenero assai verso la sua regale metà, le dice Frauchen e Weibchen, donnina e femminetta mia, come usano i mariti tedeschi quando sono in vena di dolcezza. Del resto, perchè no se era schietto tedesco anche lui?
Allora forse più che oggi era grande onore, e non solo obbligo, il baciamano alla Regina; ma lord Kitchener, reduce dalla vittoriosa campagna contro il Mahdi, si limita a stringere con vigore la delicata manina tesagli. Non sia mai che un maresciallo, un soldato di quella fatta, che della testa del Mahdi si è fatto un calamaio, baci la mano d’una donna, anche se è la sua sovrana e una sovrana come Vittoria, « regina et imperatrix ».
Anche Goethe non appare mai in scena nella bella commedia Incontro con Ulrica di Sigmund Graff, ma questo è un sottile artificio di autore consumato, esperto d’ogni effetto teatrale, della psicologia del pubblico. Goethe assente domina tuttavia continuamente la scena, anzi ogni episodio e battuta, con una efficacia assai maggiore che se non ce lo vedessimo davanti reincarnato dal più bravo degli attori. E così, l’amorosa vicenda del poeta settantaquattrenne con la ragazza che coniava appena diciassette primavère resta in un’atmosfera delicatamente spirituale, ci risparmia contrasti e raffronti che, evidentemente, a uno spettatore un tantino scanzonato potrebbero far salire alle labbra più d’un sorriso d’irriverente ilarità.
Altra commedia d’antistagione, lieve arguta sbrigliata, come non capita di vederne tutti i giorni sulle scene tedesche, ce l’ha servita Juliane Kay. S’intitola Il pero. Vi ricordate, dai vostri studi scolastici che spero meno lontani dei miei, di Gige e del suo prodigioso anello? E dell’imprudenza commessa dal re di Lidia, suo signore, vantandogli le bellezze della regina e invitandolo ad ammirarle, non visto, nel segreto dell’alcova? Quando si hanno alzale d’ingegno di questa fatta bisogna aspettarsi il peggio; e difatti Gige non solo trovò che le recondite venustà della regina erano superiori alla descrizione del suo consorte, ma ne fu ammaliato, e, ucciso il re, lo sostituì sul trono e a fianco della bellissima.
Juliane Kay ci dà dell’antica leggenda una moderna variazione all’acqua di rose, senza spargimento di sangue e con lieto fine. Un giovanotto è in visita da un amico relegato in campagna con la sua leggiadra sposa. ed entrando in salotto la vede nascondersi dietro un’ampia poltrona. Ora il marito racconta all’amico della sua vita, tesse l’elogio della bontà, della grazia, della bellezza della moglie. Il compagno scapolone impenitente e scaltro, un po’ seccato da questo quadro di felicità domestica, evoca la storia di Gige, asserisce di aver veduto la sera precedente, al suo arrivo, un uomo nascosto tra le fronde del pero situato dinanzi alle finestre del paradiso coniugale. Non era certo un fantasma, tant’è vero che lo potè avvicinare e perfino toccare un istante, senza tuttavia poterne discernere nell’oscurità i lineamenti.
Chi è il fantasma sul pero?
L’amico parla all’amico perchè. la donna senta dal suo nascondiglio e non sbaglia il calcolo. In quella monotona vita campagnola, in quel perpetuo tête-à-tête coniugale, l’idea dell’ignoto adoratore che spia le sue occulte grazie sfidando l’umida frescura della notte non dispiace affatto a madonna, tanto più che si sente la coscienza netta. Lei non ci ha proprio colpa, non ha civettato con nessuno. Ma il consorte è furioso, minaccia lo sterminio dell’indiscreto, miserabile Gige senza anello magico. Comincia la caccia allo sconosciuto attraverso una serie di incidenti comici, con l’intervento di ameni personaggi secondari: un chiomato poeta, mangiatore pantagruelico e facitore di frasi roboanti; un astrologo che pretende di scoprire, con l’aiuto d’un medio, il fantasma del pero. Tutti affermano di aver visto questo personaggio immaginario, e il bello è che si finisce anche per acciuffarlo. Ma chi è? Niun altri che la sposina stessa, arrampicatasi sull’albero in luogo del biblico serpente. Gli animi si placano, l’amico che ha pròdotto tanto scompiglio trova nel corso dell’intrigo quella che sarà sua moglie. Happy end su tutta la. linea, si esce da teatro ricreati e sollazzati, cosa che non succede al termine delle commedie piene di profondità metafisiche e simboliche, più care assai alla critica.
Massimo Caputo
Collezione: Diorama 09.11.38
Etichette: Fuori Diorama, Massimo Caputo
Citazione: Massimo Caputo, “Vita berlinese: autunno,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/2368.