"Carmen" I cent’anni del suo cantore (dettagli)
Titolo: "Carmen" I cent’anni del suo cantore
Autore: Nino Salvaneschi
Data: 1938-12-07
Identificatore: 1937-38_77
Testo:
"Carmen"
I cent’anni del suo cantore
Non, so se Bizet possa essere proprio soddisfatto delle feste ufficiali che la sua patria gli ha tributato in occasione del primo centenario della nascita. Molto probabilmente il popolarissimo cantore di Carmen avrebbe desiderato qualcosa di meno rigidamente accademico. Del resto, possiamo stenderne brevemente il bilancio. Eccolo: nel ridotto dell’Opéra di Parigi, una mostra di molti documenti sulla breve vita di Bizet e manoscritti anche inediti. All’Opera Comique una rappresentazione della Carmen, una dei Pescatori di perle e una di Djamileh. L’esecuzione di vari concerti sinfonici. E finalmente la Società di Musicologia dedicò al commemorato una seduta speciale, accademica e ufficialissima, con audizione di opere sconosciute.
La vera celebrazione
Nulla di straordinario dunque che il cantore di Carmen abbia potuto trovare le feste per il centenario della sua nascita un pochino compassate. E da quel caldo e solare mediterraneo che era, certo avrebbe preferito vedere la sua creatura prediletta vivere e cantare in una di quelle arene romane, di cui la Provenza è latinamente fiera, davanti a un popolo festante, capace di riconoscere il suo cuore nel ritmo travolgente della musica appassionata. Ma è anche vero che la celebrazione più bella a Giorgio Bizet l’ha fatta il pubblico, consacrando il suo capolavoro con l’immortalità.
Si sa che la prima rappresentazione dell’opera famosa ebbe luogo alla « Sala Favart », ora Opéra Comique, la sera del 3 marzo 1875 quando Bizet aveva 36 anni. Del resto quattro mesi dopo, e precisamente il 2 luglio alla trentatreesima rappresentazione della Carmen, Giorgio Bizet si spegneva. E alla sua morte forse non fu completamente estranea la poca benevola accoglienza riservata dal pubblico all’opera preferita.
Carriera rapida, sfolgorante, di fanciullo prodigio emulo di Mozart e Weber. E anche se la sua prima maniera da I pescatori di perle, rappresentata nel 1862, via via con Ivan il Terribile, La Guzla de l’Emir, Calendal, Clarisse Harlowe, Griselidis, La jolie fille de Perth e vari pezzi sinfonici — tra i quali bisogna ricordare una suggestiva Roma che rievoca il suo soggiorno nella nostra Capitale, nel 1857, quando a soli 19 anni otteneva il Primo Gran Premio di Roma — è una ricerca della sua vera personalità, bisogna dire che Bizet aveva la musica nel sangue. Così arriviamo a quel 1870, quando la guerra apre nuovi orizzonti al musicista e gli offre altre possibilità. La sua vena si umanizza e Carmen si annuncia come un’aspirazione inconscia dell’anima. E dopo la cristallizzazione artistica felicemente compiuta e la sua personalità raggiunta, eccoci a quel breve atto Djamileh e finalmente all’Arlesiana rappresentata nel 1872 davanti a pochissimo pubblico e che raccolse le solite rampogne della critica accigliata. Ma anche l'Arlesiana si doveva risollevare come Carmen.
Contro la consuetudine
I pescatori di perle, l'Arlesiana e Carmen, tre protagonisti invisibili ma presenti: l’Oceano, la nera schiavitù del piacere e la fatalità.
Già dal 1872 Bizet, sicuro del suo ritmo interiore e conscio di dover esprimere presto quanto aveva nel cuore, forse perchè un misterioso presagio lo avvertiva della sua rapida fine, cercava avidamente un libretto che gli offrisse la possibilità di dare sfogo alla sua istintiva gioiosità armonizzatrice. E così, una sera, rientrando a casa disse a sua moglie, Genoveffa Halévy, figlia del suo maestro, e che aveva sposata nel 1869:
— Ho visto Meilhac e Halévy. Mi preparano finalmente un libretto allegro. I critici non troveranno più nulla da ridire.
E la dolce Genoveffa, che fu sempre un’ottima compagna e seppe comprendere e confortare il musicista in tutte le sue ore, ne fu felice.
Il « libretto allegro » era semplicemente quello della Carmen, che usciva appassionata e voluttuosa da una novella di Prospero Mérimée. Storia di una donna perduta e di contrabbandieri, di disertori e toreri. Luccichio di pugnali e inviti lascivi. Atmosfera calda, spasmodica e un po' viziata, con grida e bestemmie, insulti e singhiozzi. Dramma di malavita e di gelosia: odore di nicotina e profumo di garofani, colori di Andalusia, sangue di corride. Senza dubbio abbastanza per far arricciare il naso alla critica occhialuta e far inorridire il pubblico troppo « ben pensante » di allora. Ma Bizet aveva sentito fremere Carmen nel suo stesso sangue e la musica era nata aderente al personaggio. E questo parigino, che non aveva mai visto la Spagna, riusciva a scrivere pagine così ricche di colore che la sua Marcia suggestiva diventava presto il saluto ufficiale delle stesse corride.
Per quale misterioso sdoppiamento artistico-spirituale Bizet poteva compiere questo miracolo di vivere in Francia e di rinascere in Ispagna?...
Fatto sta che in mezzo alla snervante attesa dell’immenso pubblico, diviso nettamente in due campi, la sera del 3 marzo 1875 il sipario si alzava per la storica «prima». Interprete famosa la Galli-Marié che, cantatrice squisita e attrice appassionata, una volta spinse persino il suo impeto realistico sino a farsi ferire ad una guancia da Don José e precisamente in una trionfale rappresentazione genovese.
Un salmì senza lepre
Il primo atto dunque, la sera della prima parigina, passò tranquillamente. Il pubblico, a dire il vero, stupefatto di tanta audacia realistica, era rimasto interdetto. Ma dal secondo atto lo stupore lo agghiacciò. Tutti si guardavano allibiti. La musica rievocativa sino allo spasimo, satura di ritmi appassionati, seguendo le vicende del libretto, dava un risalto voluttuoso a quella donna perduta e spavaldamente amorosa, e il direttore dell’Opera Comique Du Lode trovava sempre più saggia la sua prudenza nell’aver offerto a un ministro un palco per la prova generale anziché per la « prima » poiché certo non era conveniente che la famiglia del ministro assistesse a quella scandalosa rappresentazione.
Così la condanna di Carmen cadeva inesorabilmente con l’ultimo atto. E l'indomani i critici quasi imanimi registravano l’insuccesso. I più benevoli, tenendo conto del colore spagnolo, definirono l’opera « un salmì senza lepre ».
La sera fatale Bizet rientrò a casa senza dire una parola. Estenuato per le prove, stanco per la battaglia, ma sicuro di aver scritto un’opera vitale, trovò conforto nell’amore della moglie e nel lavoro. Infatti Carmen seguitava a tenere il cartellone e il pubblico, il grande pubblico, il vero pubblico, di sera in sera accentuava le sue simpatie per l’opera bizetiana. Ma il musicista, rifugiato nella sua piccola casa di campagna di Bougival, si spegneva una notte all’ora precisa in cui la Galli-Marié, colta da una specie di allucinazione telepatica, cantava le battute finali della morente Carmen. L’ultimo respiro univa così autore ed eroina in quella fatale sera del 2 luglio 1875. E Bizet non aveva trentasette anni...
Nino Salvaneschi
Collezione: Diorama 07.12.38
Etichette: Fuori Diorama, Nino Salvaneschi
Citazione: Nino Salvaneschi, “"Carmen" I cent’anni del suo cantore,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/2396.