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Titolo: Inchiesta mondiale sulla poesia

Autore: Non firmato (Lorenzo Gigli)

Data: 1931-12-16

Identificatore: 240

Testo: Inchiesta mondiale sulla poesia

Le risposte al nostro questionario

Abbiamo aperto sugli aspetti spirituale ed estetico del problema della poesia nel mondo un’inchiesta alla quale sono chiamati a rispondere i rappresentanti più insigni dell'arte e del pensiero del nostro e degli altri Paesi. Le domande sulle quali chiediamo ai poeti e ai pensatori di tutto il mondo di pronunciarsi sono le seguenti:

1. Qual è oggi la situazione della poesia nel mondo?

2. Quali sono le sensibilità nuove che vi si manifestano, volte alla ricerca di nuova materia di ispirazione e di forme originali?

3. Esiste una nuova poesia che si ispira alla civiltà meccanica del nostro tempo?

4. Quali sono le nuove possibilità tecniche della poesia, e quale valore attribuite alla sua evoluzione che dai metri chiusi ha condotto al verso libero e al di là di questo alle parole in libertà?

Antonio Cippico

Una voce discreta e quasi nascosta nel campo della poesia italiana è Quella di Antonio Cippico, i cui versi, per essere apparsi in edizioni non venali o comunque ormai introvabili (« Aspettando l'aurora », Zara, 1902; « La vergine veneta », Milano, 1918; « La notte dei Re ». 1928; « Musa Limitaris », « Carme Umanistico », 1929) sono noti solo a una limitata cerchia di ammiratori. Più conosciuta è, del senatore Cippico, dalmata dì Zara, l’opera indefessa di italianità spiegata all'estero, specialmente in Inghilterra e in America, ove egli, del resto, ha larga rinomanza anche per le ottime traduzioni da Shakespeare, Keats, Browning, Walth, Wlithman, ecc.

Inutile dire che fra tante inchieste vane di giornali nostri o stranieri, le quali inevitabilmente lasciano dietro a sè il tempo trovato, questa sull’attuale o inattuale poesia mi sembra oltre modo tempestiva e forse, chi sa, feconda di un po’ di bene.

Il mio amico Bontempelli, primo invitato a prendere la parola, ha finto da prima di personalmente adontarsene e ha protestato contro questa aperta e libera discussione, appena ammissibile, secondo lui, al tempo dei Pelasgi o a quelli, che sarebbe peggio, del Fornaciari o del Rigutini. Non ho bene compreso, tuttavia, perchè Massimo abbia anche voluto affermare: « Certe cose, via, dal 1903 almeno dovrebbero essere, come allora si cominciò a dire, superate ». Miilenovecentotré? Cose superate? Ho chiesto invano a qualche amico suo e mio il significato di questa sentenza di condanna, desiderando sapere di quale inopinata svolta per le sorti della poesia o della critica italiana fosse stato responsabile quell'anno 1903, se il volume stesso delle « Odi » bontempelliane, che qualcuno di noi s’ostina ancora, con dispetto dell’autore, a ricordare e a rileggere, è venuto in luce solo nell’aprile 1910. Giova notare che quelle Odi non sono dovute all’acerba adolescenza, si alla piena e rigogliosa maturità del poeta oggi caposcuola, venuto alle lettere e a noi da una solida preparazione umanistica. 1910, sì, e anche più tardi. Ma il Novecento in quei giorni lieti non ancora era spuntato, per Massimo, su dall'orizzonte. Il ricordo, forse, di quella stagione ha provocato la sua ira iniziale nella risposta alla inchiesta della « Gazzetta del Popolo ». Alla quale, del resto, egli, come tutti gl’interpellati in causa, ha risposto con sincerità, con garbo e con chiarezza.

Le acute o argute risposte del Palazzeschi e del Valeri, del Marinetti e del Chiesa e degli altri sono state quali ognuno di noi da quei valentuomini si poteva attendere. Non è, però, mancare a loro di rispetto se oso affermare che, senza considerare le risposte degli scrittori stranieri, quelle di Mario Viscardini, di Bruno Corra, di Eugenio Montale e di Adriano Grande mi sono parse meglio sinora corrisponde re ai fini dell’inchiesta. Grazie a esse, la discussione è penetrata, fuori di qualsiasi equivoco, nel vivo o, se meglio vi paia, nei veleno dell’argomento. Quanto da quegli scrittori è stato detto illumina la ragione stessa degli spiriti e delle forme della novissima poesia italiana, ragione che per la grande maggioranza degl’italiani colti o semicolti e tuttora Innamorati dell'eterna poesia (non quindi dell’antica solamente o della moderna) era sino a ieri ravvolta da impenetrabili nebulose.

Intendo, va da sè, parlare della poesia schietta e vera (della lirica in ispecie), di quella ch’è assai più di occasionale ed intima consolatrice dell in telletto e del cuore, di quella che per musiche essenziali di pensieri, d’immagini e di parole rivela a noi, quando si voglia, l’ineffabile ch’è nel nostro io più profondo, di quella ch’è, per la sua sostanziale grazia, superiore a qualsiasi altra arte, sin anco alla musica medesima, la quale è variabile strumento di soggettivo e quasi sensuale piacere.

La situazione odierna, dunque, della poesia nel mondo? Quella di sempre, in verità, con alquanto più mistero, se possibile, in noi e intorno a noi. Ho chiesto un giorno a Guglielmo Marconi il significato o la definizione dell'elettricità. Mi ha risposto: mistero).

Il poeta, si sa, è stato sempre più o meno « scherno di vulgo », come nel aio tempo del Poliziano, che, secono qualcuno, era tempo di perpetuo carnasciale o di calendimaggio. Mezzo secolo fa, o giù di li, vivendo il Mallarmé. il poeta era « un peu moins qu'un abbé ». Ma il meno che abate di quel giorni era, se non proprio corteggiato, ampiamente letto criticato e discusso, e non dalle dame sole. Del Baudelaire e del Verlaine, i due maggiori lirici francesi dopo il Villon, si beavano non i soli poeti o amici dei poeti nella Francia. Delle liriche del Carducci, del Pascoli e del D’Annunzio la risonanza era vasta non nella cerchia solamente degl’italiani amanti della poesia. E quanta la curiosità o l’avidità allora, pure fra la gente di mezzana cultura nel mondo civile, per la poesia del Whitman, dello Swinburne, dell’Ibsen, di Stephan George.

Oggi? Uno dei corrispondenti dell'inchiesta della « Gazzetta del Popolo » ci ha, mi pare, informati che il pubblico dei lettori odierni si accontenta delle antologie liriche di poeti d’ogni tempo. Ma Adriano Grande, direttore di « Circoli », opportunamente ci ammonisce che, sul punto di fondare la sua rivista di poesia di avanguardia, egli e gli amici suoi erano stati pessimisti. « Pensavamo che l’andasse peggio ». Sta il fatto, dunque, che la poesia ha pure oggi il suo pubblico, assai più vasto e interessato, ai quanto taluni editori o librai o persone serie comunemente opinino. Meglio cosi. E poco importa ai fini della poesia stessa se quel pubblico di lettori non filistei ostinatamente tuttora rinunci a lasciarsi cattivare da qualcuno dei poeti novissimi. La colpa, in verità, non è sempre di quei pubblico. Ignoro se esso sia avido, come qualche interessato afferma, di « sensibilità nuove » (il « frisson nouveau » risale ai tempi del Poè), e perchè non ancora esso sia riuscito a trovarle nel nuovi canzonieri, i quali si propongono di trattare «nuova materia d’ispirazione» in forme originali.

Sarebbe vero, dunque, che, come il Bontempelli afferma, « l’epoca romantica ha esauriti tutt’i suoi miti » e che • l'epoca che comincia (da quando? dal 1903? ) ha bisogno di nuove favole, di miti freschi »? Se così fosse, dovremmo, ahimè, confessare che gli unici miti veramente nuovi e mirabili (la vitto riosa guerra, per noi, la trionfale ri nascita della nazione nel segno del littorio) non hanno avuto alcun riflesso, o m’inganno, nella lirica dei più giovani ed autoaffermatisi poeti italiani. L’epoca in cui viviamo e l’Uomo che viene stupendamente rifoggiando giorno per giorno la nostra coscienza nazionale sarebbero forse tanto più grandi di loro? E’ possibile. Ma dove rimarrebbero, in tale caso, le « sensibilità nuove » di quella loro poesia molto meno che crepuscolare?

Vediamo, dunque, grazie a questa inchiesta e alla sincerità di qualcuno dei corrispondenti di essa, che cosa sia e a che cosa tenda questa recente fiorita poètica. Le nuove generazioni italiane sono le più interessanti e le meglio promettenti, in questa nostra febbrile storia di oggi. Guai a chi non ne oda l’anelito, e non tenti di comprenderne le aspirazioni o la volontà. E’ necessario che le generazioni le quali hanno voluta e vinta la guerra e che hanno reso possibile il fascismo, pure senza deporre (chi li abbia) scettro e corona (come ha voluto recentemente fare, il mio amico trappista Emilio Bodrero), guardino bene a dentro negli occhi questi nostri giovani animosi ed amorevolmente e con umiltà di cuore li soccorrano a farli divenire migliori e maggiori di noi. Quando il dubbio mi rode o l'incomprensione mi vince; dinanzi a certi avvenimenti, specie d’arte, i quali sono a volte imposti anche con metodi invidiabilmente energici e spregiudicati in nome dei giovani alla nostra attenzione, rinuncio al mio individuale parere a domando elucidazione e consiglio a qualche intelligente e colto amico fra i 17 e i 27 anni, fascista schietto perchè nato tale, se pure irresponsabile della guerra e del fascismo. Grazie a questa umiltà, il mìo spirito riè giovane ed ho gli occhi più chiari.

Un giovane poeta, dunque, il Montale c’informa che la situazione odierna della ultima poesia nostrana è « una gran brutta situazione ». Bisogna credergli. Quali sono, dunque, i nuovi poeti? Sono, ahimè, più isolati di mai. E non si riconoscono quasi, nemmeno tra loro. « La solitudine riesce dura ai poeti, condannati a non intendersi neppur tra loro ». Con tale grave asserzione, il Montale ha coraggiosamente posto il dito sulla piaga che molti, che troppi fingono oggi di non vedere.

Quale cosa vogliono, dunque, miei poeti? A quale mèta tende la loro opera ingrata? Ce lo dice lo stesso Montale. « I poeti d’oggi tendono a far tabula rasa della propria cultura e della propria storia, valendosi a questo fine dei mezzi più raffinati della loro secolare (? ) esperienza ». John Keats aveva imaginato che l’ideal poeta, il poeta puro fosse simile al ragno che si trae fuori dal profondo petto il materiale dell'aerea opera sua sulla quale il cielo e le piante ed il sole gittano gli sgargianti colori della iride. Quale parola o canto trarranno dunque i poeti di oggi o di domani su dal loro povero petto pneumaticamente svuotato di storia e di cultura? I poeti del da daismo, se non erro, hanno vissuta, qualche anno fa, ma non in Italia, la loro vita breve nutrendosi delle medesime aspirazioni verso uno stato di inconsapevole infanzia.

Il Viscardini, però, ci assicura che « l’arte di oggi è maggiormente consapevole », grazie alla sua « conquista delle forme pure ». Queste forme, secondo il V., sarebbero « spoglie di contenuto intellettivo ». Dato questo, mi pare fatica inutile cercar d’indagarne il significato. Chè il valore estetico della poesia di oggi starebbe nel fatto ch'essa è «mera sequenza di parole» ed è « stato d’animo, anche se il nesso logico dilegui e l’insieme non signifi chi nulla di preciso ». Capito? Io sì Tanto più che il V., nella sua franchezza lodevole, ci spiega ancora come la poesia pura; è di trent'anni fa la formula dannunziana dell'Arte pura) altro non sia che « tappeto di imagini », « arabesco verbale » e « musica di quattro dimensioni », la quale spinge i suoi modi espressivi «sempre più lontano dal linguaggio comune», e fuori, anzi, del binario dei senso comune ».

Bruno Corra aggiunge che carattere di questa specie di poesia è « la tendenza (di derivazione mallarmeiana) a sfruttare il linguaggio in maniera personale », « sì che dalle parole si sprigioni, per forza di sonorità e di ritmo, per virtù suggestiva e associativa, un senso diverso da quello convenzionale ». Ci siamo. Non solamente questi poeti vorrebbero trarci « fuori del binario dal senso comune », ma, se ho bene compreso, vorrebbero dare alla parola della nostra luminosa precisa plastica e sonora lingua mediterranea, lingua solare da altorilievi, che non permette nè trucco nè truffa, (per essa, non è potuta fiorire mai fra noi alcuna imitazione di scuole straniere, parnassiane, simboliste o surrealiste) un significato diverso dal convenzionale, da quello che ad essa aveva dato Dante e che oggi dà il Corra medesimo in qualche sua tersa pagina di prosa.

Bruno Corra si riferisce, tuttavia alle primo scaturigini di queste qua lità caratteristiche dell’attuale nostra poesia, scaturigini che non vanno cercate fra noi nel ritmo del sangue nostro e dei nostri polmoni, nella nostra travagliosa tradizione storica e spirituale, sì nelle « sibilline compenetrazioni di significati care al Mallarmé », negli « allucinati scoppi sillabici dei Rimbaud », nelle «enigmatiche fumi sterie del Laforgue ». Valeva la pena di vincere la guerra e di nazionalmente rinascere per il fascismo, se dovevamo fare spicciare, in questo anno decimo, la lingua ed i « miti freschi » della novella poesia italiana da tali torbide sorgenti stranierei

Ma tant’è. Il problema non è qui faccenda di giovani e di vecchi. Esso ha ben altra portata. Quanti detestiamo in Italia la sconcia eredità dell’accademia e del luogo comune in qualsiasi arte, nella poesia sopra tutto, e quanti esaltiamo la semplice sana e vigorosa giovinezza della nostra terra, siamo posti di fronte a questo proposito di snaturamento del materno idioma, di cristallizzazione della poesia e di snazionalizzazione delle leggi stesse che concedono infinite possibilità di sviluppo e di trasformazione alla nostra tradizione metrica.

Qualche mese fa, in una sala della Quadriennale romana, ho letto a pie’ di una tela spedita da Parigi una firma straniera nel nome, se non nell’intraducibile cognome: René ecc. Nel catalogo della mostra, quel nome di fiorentino pittore infranciosatosi era: Renato ecc.

Non pretendo nè chiedo d’essere maestro d'italianità a chi si sia, e tanto meno ai valenti giovani che, per tentar strade inopinate e sole, si propongono di liberare la poesia nuova del greve ricordo di una metrica prima romana e poscia italiana, la quale data forse da prima di Ennio poeta, o almeno dai primi nostri poeti provenzaleggianti. Non pretendo nemmeno, ohibò, di inibire loro il tentativo giocondo di forgiare per noi una lingua nuova, una nuova logica ed una nuova grammatica. Non ho potuto fare a meno, però, di rammentarmi con melanconia di quel tale quadro di René. nel riconsiderare i valori e i postulati di quella lor lirica quali ci sono riapparsi, ex ore suo ipso, in questa inchiesta molto opportuna.

Antonio Cippico

Henri Hertz

Hertz rappresenta in questa inchiesta la critica francese più oculata e attenta, più modernamente informata. Egli è anche autore di alcuni romanzi psicologici costruiti secondo le regole migliori della grande tradizione narrativa del suo Paese.

1) Assai cattive le condizioni fatte ai poeti. Ma assai buone, all’insaputa del pubblico, quelle fatte alla poesia. Perchè, se il pubblico s’abbandona alla ebbrezza della velocità, se la scienza, incessantemente, lo inebria e lo sorprende con mutamenti meravigliosi, si formano per ciò stesso una nebulosa di creazione violenta, una scia di poesia che lievitano sotto ciascuno de’ suoi passi pesanti.

2) La sensibilità che ne risulta deve prestarsi e compiacersi sempre più a voli e a tuffi successivi, sopprimendo l’ostacolo del passaggio dal chiaro all’oscuro, dal possesso alla possibilità e, per parlar grosso, dalla realtà al sogno. Dunque minor distinzione tra lo spirituale e il materiale, tra l’idealismo e il naturalismo. Nessun bisogno di divisione di scuole. Le simpatie e le preferenze si mescolano in combinazioni e gradazioni d’una leggerezza e d’una freschezza veramente nuove, all’infinito.

3) Va da sè che, oltre a questo stimolo generale, di cui è causa, la civiltà meccanica ha già dato luogo ad una poesia nuova. Tuttavia si è troppo scambiato, e bisogna guardarsi di continuar a scambiare, per espressione poetica del mondo attuale certe semplici descrizioni d’officine, dì macchine, di congegni, certi semplici racconti sportivi e in genere il ciarpame tecnico moderno altrettanto stucchevole, alla sua maniera, del ciarpame romantico o naturalista. Sono invece delie allusioni, dei colpi d’ala fiabeschi, delle brusche traiettorie, una certa violenza regolata ed incisiva, capaci di scoprire verità ignorate, quelli che devono, nell’arte letteraria, costituire l'apporto, l'insegnamento (non bruti, ma distillati) del macchinismo.

4) In questi dati, le possibilità tecniche nuove della poesia sono immense.

Le forme letterarie (i generi), i frastagliamenti del linguaggio, il vocabolario partecipano allo sconvolgimento.

La poesia tocca e modifica tutto, inventando il dono comune di scrittori la cui orientazione può essere diversa, andando da coloro che si chiamavano fino a ieri e si chiamano ancora nei salotti, i « poeti puri » a certi romanzieri e cronisti. L'espressione letteraria ne è profondamente trasformata. Essa si scioglie, ormai, da una tensione particolare d'ella lingua, le cui risorse e manifestazioni più belle hanno, da tanti secoli, subito un logoramento al quale può riparare soltanto una balistica sapiente che cerchi alle frasi altri sbocchi e riposi, impiegando diversamente gli elementi muti del linguaggio in prosa e in verso, provocando, sotto altri angoli, lo scatto, l’attacco e l’arrivo del senso e del suono delle parole. Quante opere notevoli contiamo di già animate da questi poteri, avendo una loro tradizione, tali da ricondurre alla luce e alla gloria certe grandi opere che il dispregio e la miseria avevano soffocato (in Francia. tra i postromantici, Jules Laforgue, Mallarmé, Rimbaud, De Lautrémont, ecc. )! Da esse è cominciata la splendida catena d'iniziative che hanno riconciliato prosa e versi, ricostituito un linguaggio « uno e indivisibile », nel quale si riorganizzano le amplificazioni e gli slegamenti di cui è capace la lingua (strofe chiuse, poesie sciolte, prosa ritmica, versi liberi rimati, versi liberi senza rima, sviluppi analitici, voluminosi effetti d’eloquenza, associazioni, d’idee o d'immagini, sincopate, parole in libertà). Tutti gli esperimenti furono utili, anche gli eccessi.

Se il gusto della folla elettrizzata, senza ch’essa se ne avveda, di poesia, si soddisfa ancora di preferenza con quegli « stupefacenti » poetici che sono il cinema, la radio o la letteratura frettolosa é sentimentale che ne discende, verrà pure un giorno in cui altre emozioni, delle quali la letteratura sarà l'interprete, ecciteranno l’intelligenza fatta sempre più suscettibile e incline a profonde impressioni.

Henri Hertz

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 16.12.31

Citazione: Non firmato (Lorenzo Gigli), “Inchiesta mondiale sulla poesia,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 17 maggio 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/240.