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Titolo: Il fortino trasparente

Autore: Massimo David

Data: 1938-12-14

Identificatore: 1937-38_85

Testo: L'Impero al terzo anno
Il fortino trasparente
Attraverso la più desolata terra del continente africano, fra i dancali pacificati - Quattro fiumi e 60 torrenti verso la morte - Un presidio nel deserto
(DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE)
Gauani, dicembre
Faceva un bel caldo. Ero sceso alla piana, a Miesso, dalle montagne alte del Cercer. Quelle montagne erano fresche e verdi. Il viaggio in giù a rompicollo per la strada, m’era parso una veloce calata entro un cratere vastissimo e vivo, dalla vetta con la neve. Però il caldo della piana, tuttavia temperato, era piacevole a sentirlo formicolare lievemente tra la pelle e la camicia, rosolare la polvere, accontentare la gente nera. Miesso è stazione della ferrovia fra Gibuti ed Addis Abeba ed è sede della Residenza che, con due Viceresidenze, amministra tutta la Dancalia. La Residenza è ancora una piccola casa in pietre, pulita e raccolta, con qualche fiore spinaro. Si sentiva da dentro scrivere una macchina, sebbene la mattina fosse appena cominciata.
Entrai e vidi un capitano quasi calvo curvo sulle scartoffie. Ora vi racconto; fu una delle più belle e soddisfacenti circostanze che possano verificarsi per chi viaggia nell’Impero e vuol bene all’Etiopia: incontrare cioè dopo molti anni un uomo conosciuto in diversissima situazione, visto in una grande città dedito a tutt’altre faccende, incontrare un uomo che, non più giovane, abbandonato un normale tipo di esistenza, suscitati attitudini ed istinti a lui stesso sconosciuti, abbia lasciato la moglie e la casa e sia venuto nell’Impero a portare se stesso rinnovato e una volontà nuova di fatiche, di esperienze, di quotidiani sacrifici.
Il Residente di Miesso
A prima vista non ci riconoscemmo. Poi la memoria rimbalzando di parola in parola, piano piano tutti due ricordammo e quasi ci venne da ridere. Perchè ci venne da ridere non saprei dire. Fatto si è che il Residente di Miesso un tempo vendeva libri a Milano in un negozio della Galleria e libri anche ne scriveva, libri di guerra per i ragazzi. Io andavo a comperare libri e neppure sapevo il nome di quello che di là dal banco me li porgeva, belli e infascettati. Ora il Residente non scrive più libri, anzi, a questo proposito parlando, fummo subito d’accordo sulla quasi inutilità dei mestieri scribacchini di fronte al colosso di realtà che è l’Impero, per cui tutti ormai dovremmo andare muti solenni inflessibili ai lavori delle mani, tacere insomma e dar spintoni gagliardi a chi si pari sul cammino.
Dopo un po’ dissi al Residente che volevo andare in Dancalia. Egli cercò delle carte topografiche, percorse con l’indice le piste rosse che dal sud strisciavano verso il nord, disse di dove avrei dovuto tagliare e per meglio spiegarsi prese a riferimento i paralleli. Questo fatto, questo dover ricorrere ai paralleli per intendersi circa una regione, era veramente entusiasmante. Infatti sarei partito da Miesso, poco più in su del parallelo nono e, facendo tappa all’estremo presidio di Gauani, avrei potuto superare di sei o sette chilometri l’undicesimo parallelo e magari arrivare a Sardo e rivedere il mare ad Assab. Insomma, traversare tutta la Dancalia sulla direttrice più lunga, da sud a nord.
Tutto questo avrei potuto fare perchè dal mese di settembre una comitiva di italiani ha tracciato con le mani e con le ruote delle macchine una pista, non ancor celebre, che da Gauani porta all’estremità settentrionale del deserto dancalo e con un po’ di pazienza avrei potuto ripercorrerla, anche solo, senza scorta di uomini e senza armi. Dunque, appena ad un anno e mezzo dalla penetrazione delle nostre truppe, l’inferno dancalo è alla portala del normale viaggiatore, si va in automobile attraverso la più desolata contrada del continente africano, i dancali non fanno più stragi, i dancali guerrieri e tremendi, gli stessi che raramente perdonarono all'uomo bianco l'audacia di una traversata, sono pacificati, sono ammansiti. E questo è forse uno dei più brillanti e convincenti risultati del sistema italiano di colonizzazione umana. Quasi un « fenomeno » a cui molti ancora stentano a credere; primi a stupirsi sono i dirimpettai francesi della Costa somala. Essi ancora dubitano che gli stessi aggressori della carovana di Bernard vadano tanto d’accordo con noi, siano tanto buoni e quieti. Eppure è così. Ma c’è un piccolo fatto di cui sempre dovrebbero tener conto coloro che si occupano delle nostre faccende coloniali ed è che l’Italia ha in Africa fin da tempi remotissimi, di molto anteriori alle conquiste degli altri popoli, un prestigio, un ascendente, una felice notorietà che nessun altro Paese può vantare. Sarà forse che l’uomo primitivo giudica anche le genti bianche dalla loro razza e sottilmente le suddivide in speci, quasi le distingue per cabile ed in questo non l’inganna il suo istinto, proprio addestrato a tali indagini.
Ebbi dunque dal Residente tutte le indicazioni necessarie, una cartina nuova e con l’autista partii verso il presidio di Gauani, prima tappa del viaggio. « Andate pure tranquillo — disse il Residente — vedrete molti animali lungo la strada... ».
Pianura di Galalù
La pista s’infossò nella boscaglia, sparirono le casette di Miesso e presto intorno rimasero solo le acacie spinose il rumore della macchina il colore Oro e pece della terra le mandrie ossute al pascolo. Dietro Miesso era scomparsa anche la spalliera dei monti aerei del Cercer. Da quei monti scendono i fiumi che solcano la Dancalia e sono quattro: l’Errer, il Gotà, il Mullù e l’Auasc. Partono turgidi dalle sorgenti, freschi gioviali, sguazzano da tutte le parti rimbalzando dai macigni, ma come s'accostano alla terra dancala i quattro fiumi subito dimagrano si assottigliano allentano il passo diventano bisciette storte senza ventre, finché frangendosi in rivoli esili, la terra dancala riarsa e inferocita dal sole li afferra e se li succhia. Anche sessanta torrenti scendono con le grandi pioggie dai monti del Cercer, ma di questi poveretti non val la pena di parlarne; non sono ancora arrivati al caldo e già sono spenti; di loro rimane lo spettro dell’uadi, come la guaina abbandonata del serpente che cambia pelle.
L’Auasc lo vedevo, andando avanti alla sinistra, segnato dalla striscia verde che nasce sulle sponde. Il resto era tutto arsura, tutto giallo e spini e polvere e monotonia e sassi enormi e neri. Veramente il colore neraccio tipico della Dancalia favolesca incominciò dopo cinquanta chilometri. Prima il panorama della Dancalia detta hararina era più mite, più chiaro e stagliato. Somigliava al diario di carovana del barone Franchetti. Poi gradatamente gli alberi secchi diradarono e quando passò il monte Assabot una grande piana si aprì di una immensa immensità che sembrava non potersi mai toccare la fine. Era una piana come il Sahara senza fili d’erbe e senza pietrame; si chiama pianura di Galalù. La macchina avrebbe potuto fare la fine del torrenti che vengono dal Cercer, d’un tratto fermarsi squagliarsi rovesciarsi su un fianco, vuota di senso. L’autista ogni poco chiedeva quando arriveremo e rispondevo che per forza prima o poi saremmo arrivati poiché si vedevano le tracce della pista e in fondo alla pista qualcosa doveva pur esserci.
Camminavamo da quattro ore e il giorno era a metà però il caldo non era andato giù di un grado, un caldo panico e allucinante, senza ombre nè pause. Così immaginavo la Dancalia, questo stesso colore bruno rovente, dei monti che trottignano all’orizzonte sotto l’abbaglio del sole e sono sempre più lontani, il caldo da gente nuda e niente piante niente fiori, niente di niente. Uomini se ne incontravano pochissimi; quei pochi erano pastori e guardavano intontiti salutando l’automobile. Acqua di pozzo o di sorgiva, neanche.
Il buio ci prese per la strada. Accendemmo i fari (certo nel grande universo dancalo erano gli unici fari quella sera) e allora, come aveva detto il Residente, gli animali della boscaglia quasi fossero farfalloni, ci vennero incontro sul sentiero. Vennero le balanche ingenue, le gazzelle timide, gli orix agili e tronfi; anche lo sciacallo vedemmo e la jena brutta schifosa vigliacca, testa e deretano.
Improvvisamente la luna fece saltar fuori dalla terra il fortino. Era un grande fabbricato in pietra rossa, solo, su un ripiano alla maniera dei castelli. Era molto grande, ben fatto, squadrato e con una torretta. Un miracolo, portar tante pietre fin quaggiù, tante pietre di forno. Il fortino era circondato da un muretto e all’ingresso stava la sentinella. Il comandante si chiama Sestini, capitano della Milizia. Lui, un radiotelegrafista ed un sottufficiale, 160 chilometri dentro la Dancalia, sono i soli uomini bianchi, soli, in uno dei più lontani ed isolati presidî del nostro Impero, soli, fra i dancali. C’incontrammo sulla porta, Sestini attendeva.
Tre uomini bianchi
Abituato al silenzio continuo, egli già da un’ora sentiva avvicinarsi il rombo dell’automobile, senza vederla e pensava ma chi sarà, chi sarà che viene a trovarmi, che sorpresa è questa e allungava il collo e aspettava. Non avevo ancor fatto caso a quel che c’era intorno e quando il capitano, indicandomi la porta del fortino, fece segno che mi accomodassi perchè era ora d’andare a tavola, non so quel che avvenne. « Capitano — dissi — cosa succede, qui ci sono gli spiriti, ci si vede!... ». Tralucevano dai muri le lampade a petrolio nell’interno, dei drappi si agitavano, passavano delle ombre di uomini. Volli toccare il muro e il muro si piegò scricchiolando dove avevo spinto con la mano. Il fortino era tutto di stuoie, era incredibile, era fatto di stuoie a grandi striscie intrecciate color mattone, era di stuoie fragili su un telaio di pali conficcati e stava in mezzo al paese dei dancali. Una fucilata, se i dancali avessero ancora il fucile e la voglia di sparare, passerebbe come un soffio.
Quando ci mettemmo a tavola, una ventata che aveva corso molto cielo e molta terra sollevò la tovaglia bianca di bucato. E le finestre erano chiuse e le porte anche; però sentimmo il lieve zufolìo del vento tra le cannuccie dei muri.
Massimo David
L’arido paesaggio dancalo
L’ingresso al fortino

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 14.12.38

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Citazione: Massimo David, “Il fortino trasparente,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/2404.