Pagine piene d’amore (dettagli)
Titolo: Pagine piene d’amore
Autore: Eugenio Bertuetti
Data: 1939-03-08
Identificatore: 1939_103
Testo:
Il libro della settimana
Pagine piene d'amore
Ho aperto il libro alla prima pagina, ho letto le prime due righe:
E cercavo mia madre, io poeta
di un tempo senz’amore...
Poeta sì, non c’è che dire. Ernesto Caballo è capace d’incantarti l’Orco con musiche rapite d'improvviso alle misteriose apparenze del creato; ma perché « poeta d’un tempo senz’amore? ».
Senz’amore!
Interrogativo ed esclamativo si alternavano nella mia mente a mano a mano che andavo avanti nella lettura di questo libriccino (*), lindo e fresco, e tutto armonioso; apparivano e sparivano. i due segni opposti, con la fugacità e l’insistenza d’un lungo discorso al lampo di colore. « Perché?... Ma guarda!... ». E intanto leggevo. (E prego anche il lettore di godersi i versi adagio, in modo che l’anima li riscaldi facendoli sbocciare).
« Nelle sofferenze gaudiose avevi aspetto verginale », con queste parole il poeta si rivolge allo spirito del martire Berta; e a una donna, con alcyonica movenza, sussurra: « Settembre... alte malìe — donava al nostro amore immacolato »; più avanti, riandando ai luoghi e alle persone dell’infanzia, promette:
I morti miei coscritti fra le bende
di neve respiranti io bacerò.
E a un punto vorrebbe « modular nel sassofono il vangelo — al sensibile orecchio di un amico »; e altrove virilmente piange per « i miei fratelli, che io amavo tanto »; e alla vista d’uno sciame di gioventù in bicicletta sospira: «... risa — di bocche in fuga rapida baciate »; e celebrando il prodigio di Guidonia canta: « Nascono le città dal sangue degli eroi »; e a Dalmazio Birago grida: « Eri la giovine morte, quella che ama gli eroi »; e desiderando una donna esclama: «... piacerai — al mio sangue che volge verso i figli ».
E poi ancora:
Torna Cristo alle anime del ponte fra uomo e donna ride un neonato ogni matto che tocca ha il perdono...
e d’una donna di peccato pensa: «... attenta peccatrice che
ama i gigli »; e così via fino all’ultima pagina, dove giudicando se stesso, giornalista, può affermare
Amore di sapienza gli è cresciuto dopo soste in caserme e cattedrali...
Senz’amore! Vedete se non è vero che i poeti non sanno mai quello che dicono, e in verità non occorre, perché lo sa Dio, che è il loro suggeritore. Per mio conto, dopo di aver letto e riletto queste pagine, scarabocchiando qua e là col lapis i versi che gridano, che piangono, che sospirano — ce n’è tanti —, son venuto nella convinzione che un libro così traboccante d’amore, « d’amore immacolato», non esce tutti i giorni, e neanche tutti gli anni. Ma allora, ho pensato, qui è accaduta una disgrazia: qui vuol dire che Caballo, questo ragazzo che io conosco, attivo e forte, nato sui monti ( « nel canto delle guide che son morte »), rustico e mansueto, è un pesce fuor del suo elemento, lui, in rigoglio d’amore, poeta d’un tempo « senz’amore ». E se è esatto — com’egli annota da Platone — che « dalla morte sorge la vita » ( « Io non amo Platone » mi diceva una sera, e anche qui vattelo a capire), se questo è esatto, che i vivi nascono dai morti, possiamo supporre che in Caballo sia rinato, a ricordarsi d’altra vita, un poeta di quei tempi remoti in cui persino i ciottoli dei selciati erano in disìo. Senonché, a ben guardare, sùbito t’accorgi ch’egli non sospira come un cantore del dolce stil novo, e tanto meno langue sull’esempio d’un romantico in cravattona nera, ma sta piantato da maschio, con occhi e cuore aperti, in questo suo tempo modernissimo e tormentatissimo, e non puoi non avvertire che il suo sangue giovane è sangue nostro. Quand’egli canta Berta e gli stadi, l’Impero e Birago, la strada asfaltata e le città nuove, la Patria e i figli, il padre e la madre, l’anima sua non risponde che a richiami attuali, e se rispondendo la commozione trabocca in amore vuol dire che nei richiami egli aveva trovato amore: amore del martirio, amore del coraggio, amore del rischio, amore d’Italia di gloria di splendore, amore d’amore. Non importa che il clima sia duro. Dante direbbe che sono « tratte d’amor le corde della ferza ».
E se così è, perché mai quel secondo verso alla prima pagina? Lo sa Caballo? No, non lo sa. Come non sa che cosa sia questa sua musica che m’intenerisce:
Volo di sera per malinconia
oscilla ai clivi carichi di croci.
Direi dunque ch’egli è uno strumento dalle brevissime e infinite vibrazioni che canta soltanto se sfiorato dall’ombra. Dall'angelo dell’ombra. E ombra sono in lui il senso della negazione, le commoventi prospettive dell’esistenza trascorsa, il silenzio dove posano i morti, e anche e soprattutto il sospetto che possa esistere un mondo senz’amore. Il suo mondo, poniamo.
Ecco perché accingendosi a fare poesia non poteva non essere sfiorato da quel pensiero: « io poeta di un tempo ecc. » e non poteva non commuoversi. Ma il libro, tutto il libro, è lì a proclamare il contrario, come se dicesse:
E cercavo mia madre, io poeta
di un tempo pien d’amore...
(Quel pien è brutto, lo so, e me ne vergogno. Ho implorato l'angelo che mi suggerisse la dovuta armonia, inutilmente, ché il mio dev’essere un angelo sordo; ma lui, Caballo, capace d’evocare i ritmi danteschi — « caduti come pomi in fondo all’erba » dice Caballo; « come nell’acqua il pesce andando a fondo » dice il sommo suo padre che sta nei cieli — lui saprà senza dubbio risolvere in canto il mio atto di fede).
e.bert.
(*) Ernesto Caballo: Anima della città, poesie, Società Editrice Torinese, Torino.
Collezione: Diorama 08.03.39
Etichette: Eugenio Bertuetti, Il libro della settimana
Citazione: Eugenio Bertuetti, “Pagine piene d’amore,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 03 dicembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/2520.