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Titolo: Necrofori ed epistolari

Autore: Riccardo Marchi

Data: 1939-03-08

Identificatore: 1939_105

Testo: Necrofori ed epistolari
(Lettera all’amico scrittore)
Amico mio, se hai messo una ipoteca sia pure esigua sulla gloria, o appena sulla sua figlia minore notorietà, guardati bene, d'ora in poi, dallo scrivere agli amici, ai parenti, a chi ti conosce. Quantunque lettere importanti tu ne scriva ormai poche, da quando i quotidiani mettono a tua disposizione gli spazi destinati agli elzeviri, capaci di accogliere ogni tuo bisogno di lecite confessioni, evita i rapporti epistolari tanto cari ai tuoi predecessori ottocenteschi. Oppure scrivi in punta di forchetta, come il Giusti buonanima quando corrispondeva da pregiato linguaio ai suoi illustri contemporanei e lo faceva in vista d’esser letto dalla posterità. Ma sarebbe tempo perso, oggi; il giuoco verrebbe scoperto e ti darebbero la baia anche dopo morto. Comunque, se hai per il mondo manoscritti dove siano palesi le tue piccole miserie d'uomo, corri a rintracciarli, costi quello che costi, e distruggili. Perchè il giorno della tua dipartita, e ti auguro che questo avvenga il più tardi possibile e quando la tua opera abbia raccolto tutte le messi che merita, accorreranno i ricercatori di lettere e di autografi, a rufolare nei cassetti tuoi e degli amici a cercarvi lati del tuo carattere che in vita non ti riconobbero e a renderli di pubblica ragione. E non t’illudere ch’essi cerchino quel che dicono, (succede, ma troppo di rado) qualche aspetto inesplorato della tua vita spirituale, qualcosa che meglio serva a inquadrarti nel tempo che ti vide operare. Macché; i necrofori, non si faranno scrupolo di far luce sulle tue piccole miserie. L'arte ti avrà servito a liberartene, e sa Iddio a quel prezzo. Loro cercano l’uomo e si servono delle tue stesse pezze d’appoggio per mostrarlo in pubblico in spregio ai tuoi mortali pudori.
La tiritera, un po’ triste se vuoi, non prende l'abbrivo solo dopo la gran carta destinata al clamore mondano dopo la morte di un grande poeta nostro. Nè io ho la pretesa di condannare in blocco il costume di pubblicare epistolari che, solo in rari casi e se scelti da mani fraterne, rispondano ad una autentica necessità come a proposito di Serra e di Garrone (necessità non immune però da qualche inconveniente se consideri, per esempio, che nei riguardi di quest’ultimo furono pubblicati giudizi pepatissimi su sopravvissuti, giudizi che forse il Garrone non avrebbe mantenuto e che mettevano i giudicati in posizione imbarazzante).
O che d’ora in poi s’avrà a camminare con l’uggia in corpo di sapere ciò che ti faranno dopo morto, come non bastassero i triboli che devi sopportare da vivo, mi dirai? Gli è che questi macabri esploratori, ti rispondo, pullulano oltre i limiti del lecito, si mischiano ai buoni e agli utili, e ne vien fuori tanti su riviste e rivistucole e ti fanno l’effetto di un crescere d’imprese funebri nel bel cuore delle nostre città. Ne vuoi un esempio? Per caso mi capita fra le mani una dignitosa rivista comunale dove sono pubblicate alcune lettere di un poeta la cui fama fu un tantino offuscata dai poeti maggiori suoi contemporanei, Giovanni Marradi. Leggo e che ci trovo? Qualcosa che elevi nel mio cuore il ricordo del buon rapsode garibaldino? No: sono lettere che il poeta, prima professore di scuole medie poi costretto alle mansioni quasi esclusivamente burocratiche di Provveditore agli Studi scrisse a Tommaso Casini, alto papavero della Minerva. Da ogni frase stilla quell’acuta miseria professionale donde si formò il lievito amaro dell’arte del migliore Pirandello, e un’uggia grandissima e un senso di angustia e cose su cui sarebbe stato bello porre il velo. Sono, per la massima parte, richieste di raccomandazioni per nomine e trasferimenti che il poeta rivolge al funzionario:
« Ti prego, giacché avesti tanta spontanea premura per noi, di voler riscrivere a Roma perchè sia dato Pesaro a me, che non vado volentieri altrove ». « Mi dicesti che se tu avessi avuto probabilità di diventare Ispettore centrale me ne avresti subito avvisato, perchè io facessi le necessarie premure per ottenere Livorno facendo mandare il Di Paola a Perugia... ». « Consigliami tu che sei vicino a chi cova il nostro destino, e che bel destino! Ho fatto un bel guadagno col Provveditorato! ». « Perchè dunque non mi si promuove? E perchè non si risponde neppure alle mie lettere da nessuno, o mi si risponde con frasi freddamente evasive, come fece Corrado Ricci?... Il Ministro telegrafò a mia moglie che la Commissione amministrativa si sarebbe adunata per le promozioni a gennaio; e siamo a mezzo marzo » e più oltre, a seguito di una minaccia di liquidazione, «... ho bisogno di fare i miei passi per tempo, perchè « non homines, non dii » mi potranno mandare a riposo prima che di qui a un triennio, quando avrò 30 anni di servizio e potrò liquidare la pensione sull’ultimo stipendio di 7000 ».
Ora lascia che ti dica che, se il fiorilegio avesse avuto la pretesa di lumeggiare il costume del tempo, delle raccomandazioni, della solidarietà implorata e concessa, sono cose che si sapevano e non c’era bisogno di ripeterle a spese di Giovanni Marradi.
Se t’ho annoiato, amico caro, perdonami. L’ho fatto non allo scopo di metterti, come si suol dire, un pruno nell’occhio, ma per renderti guardingo ed economo nei rapporti epistolari, specie se riguardano le tue private miserie, i tuoi amorazzi, ecc.
Per quel che mi riguarda e quantunque le mie ipoteche sulla gloria e sulla notorietà siano gravate d'interessi e di mora, e senza possibilità di riscatto, so il fatto mio. E sono più che certo che se trovassero questa mia lettera, i ricercatori di gloriole postume, n’eviterebbero la pubblicazione.
Riccardo Marchi

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 08.03.39

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Citazione: Riccardo Marchi, “Necrofori ed epistolari,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 17 maggio 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/2522.