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Titolo: Vita di Enea

Autore: Lorenzo Gigli

Data: 1939-04-19

Identificatore: 1939_136

Testo: IL LIBRO
della settimana
Vita di Enea
« Nacque Enea in una piccola casa di contadini, alle falde del monte Ida, da una pastorella assai amata dagli dèi e dagli uomini perchè bellissima, e da Anchise nobile discendente dei fondatori della città di Troia... »: così introduce il racconto della Vita di Enea (ed. Vallecchi, L. 10). Piero Pellicano umanizzando di colpo il mito quasi che invece dell’avventura dell’eroe donde discese tanta gloria e tanta storia principiasse a narrar pianamente i casi d’un soggetto qualsiasi, di quelli ai quali si ispiravano le oleografie del secolo scorso: un tipo comunque interessante e pittoresco che la gente prende subito cordialmente in simpatia. Il Pellicano discorre dunque di Enea dando per dimostrata la sua incarnazione terrena attraverso l’amore d’un gentiluomo e d’una pastora; e appena aggiunge « la pastorella era Venere in persona » il lettore non solleva eccezioni nè si chiede se quel gran nome le competa come un simbolo per via della straordinaria bellezza e della splendente gioventù o non sia un’invenzione più tarda degli stessi Anchise ed Enea per nobilitare l’origine di quest’ultimo e farlo degno d’essere cantato dai poeti epici. Comunque, data per dimostrata la nascita celeste, il racconto tira via trattando Enea da tipo di conoscenza, un italiano dei nostri giorni, come se ne incontran tanti, armonici e ben proporzionati continuatori d’una stirpe millenaria, nelle beate terre dell’antica Etruria e del Lazio.
Naturale dunque tutto ciò che dalla nascita consegue; e che i pastori del monte Ida si preoccupassero di salvaguardar l’onore compromesso della pastorella e che corressero trattative per obbligare Anchise a fare il suo dovere sposandola, ma gravi complicazioni da una parte e dall’altra impedirono le nozze, e così « Enea è rimasto sempre un figlio naturale ».
Questo modo di trasportare in cronaca corrente la favola classica è sostenuto dal Pellicano nel corso del libro con felice armonia e con vivacità discorsiva; e non si risolve in una contaminatio letteraria appunto perchè è di marca antiletteraria per eccellenza, divulga cioè nel senso migliore della parola una serie di fatti illustri da cui si esercitò la magna poesia, riducendoli agli schemi del racconto popolare di largo respiro: che sarebbe come dire una trascrizione dell'Eneide nello stile apparente dei Reali di Francia, senza la ingenuità arcaica di quelli e con in più il contributo sempre presente se pur dissimulato d’un controllo critico e moralistico sorvegliatissimo. Siamo, se mai a un tipo di racconto popolare di architettura interiore novecentesca sotto una facciata da brigata del sabato sera. E se volete un esempio calzante, eccovi un’interpretazione fìsica d’Enea ricalcata dagli affreschi dei grandi cicli pittorici, ma riducendo i simboli e le allegorie alla loro semplice espressione realistica: «Il nostro glorioso trovatello usava i pantaloni lunghi come le mutande dei contadini, il berretto repubblicano, la tunica a larghe maniche serrate alla cintura e discendente giù fino al ginocchio. Le maniche erano ornate di disegni e giungevano al polso lasciando fuori soltanto le mani. Il berretto frigio aveva due nastrini per cingere il colio, affinchè il vento non lo portasse via. Lo vestirono da uomo a sei anni, secondo l’usanza contadinesca».
È un Enea nostro, familiare, un eroe domestico. E passa, col suo nativo buon senso e la sua solida struttura morale, attraverso le maggiori avventure di terra e di mare, il dolore, l’amore, le guerre. La sua forza è di stare in diretta comunicazione con Dio; ed anche dalle braccia di Didone si trae da sè reagendo con sanità istintiva ai traviamenti della smodata passione, così contraria alla sua forma mentis d’uomo semplice e predestinato. Dal cupo dramma egli uscì sereno e con l’anima soddisfatta e partì per l’ultimo viaggio donde avrebbe avuto nascita Roma. Qui lo stile del narratore si adegua al momento: « Tagliò le gomene, alzò le vele e salpò verso l’Italia. Il destino degli italiani è segnato per sempre da quel sogno della vigilia, dalla partenza dolorosa di quelle navi nel mare Mediterraneo. Enea partendo è combattuto da contrarie passioni, si contraddice più del solito e non sa quello che vuole; ma parla con Dio. Non c’è nulla di straordinario in ciò e niente da meravigliare. Gli uomini moderni, quando avranno imparato a sognare, potranno fare come Enea;
lo potranno fare i popoli di tutte le razze ». Al termine della sua avventura di costruttore, tornando nel regno delle ombre, si incontrerà con gli spiriti magni venuti dopo di lui, con San Paolo, per esempio, o con Cesare. E a Paolo dirà: « Che avresti fatto tu senza Roma? A chi avresti scritto le tue lettere se i romani non fossero esistiti, se il mondo non avesse contenuto le città? ». E a Cesare: «Il passato racchiude il germe delle future rivoluzioni, e male incoglie a chi non tiene conto delle sue tare ereditarie, onde il meglio consiste nel violento desiderio di lanciarsi verso il futuro abbarbicandosi al passato e facendo rivivere, nel nostro tempo, le passioni lontane insoddisfatte che sonnecchiano sotto le ceneri e tormentano il sangue. Tanto tu che io, siamo stati grandi uomini nelle epoche posteriori, quando di noi tutto era finito, e per merito dei nostri discendenti... ».
Così parlò il pio Enea negli Elisi (ma questa veste di filosofo della storia che il Pellicano gli butta addosso nelle ultime pagine non gli cade così bene come la semplice tunica della sua libera vita).
l.g.

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 19.04.39

Citazione: Lorenzo Gigli, “Vita di Enea,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/2553.