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Titolo: Osservatorio: Parole nuove

Autore: non firmato (Lorenzo Gigli)

Data: 1939-04-26

Identificatore: 1939_143

Testo: Osservatorio
Parole nuove
Nel dopoguerra il processo di trasformazione e rinnovamento del linguaggio si è svolto con un ritmo accelerato, contribuendovi per la loro parte tutti i settori della vita e della attività nazionale, dalla politica alla tecnica, dalla moda allo sport. I termini nuovi entrati per queste strade nel vocabolario e ormai acclimatati non si contano: ne teneva un catalogo aggiornato Alfredo Panzini giovandosene per le successive edizioni del suo Dizionario Moderno; ed è da augurare che adesso, lui scomparso, la sua fatica non s’arresti ma sia continuata e perfezionata da altri in grado di raccogliere questa parte originale di eredità dell'autore di Santippe. Del resto si può dire che non passa giorno senza che termini ed espressioni nuove soccorrano alle necessità create dal dinamismo moderno in ogni suo aspetto: talvolta felici, talaltra meno, ma tuttavia opportuni a colmare le determinatesi lacune.
Tra i settori che hanno creato nuovi termini e li hanno collaudati o, volta a volta, ripudiati e sostituiti, un punto di merito va assegnato allo sport dove la campagna per l’esclusione dei vocaboli stranieri è stata necessariamente (come nel settore moda) più vigile ed intensa e ha dato ottimi frutti, rovesciando posizioni che sembravano acquisite e inespugnabili. In un istruttivo articolo pubblicato recentemente nel giornale sportivo Il Littoriale Ennio Mantella notava come col progredire degli sport (specializzazione, tecnicismo, ecc.) si siano richiesti termini più espressivi cominciando a bandire quelli che meno sembravano appropriati o che esprimevano meno efficacemente il fatto o la cosa. Per tanto melée diventò mischia o groviglio, o confusa azione a seconda delle circostanze; e trainer venne sostituito da allenatore o da istruttore a seconda delle mansioni. Si potrebbe continuare con gli esempi, senza trascurare quelli di parole straniere italianizzate graficamente perchè sembravano insostituibili (così goal è diventato per molti italiano in gol, ma noi ci ostiniamo a preferirgli rete fuor d’ogni equivoco); per puntare sulla formazione d’una vera e propria prosa sportiva dotata d’una sua individualità, e sulla influenza che tale prosa ha sulla nostra lingua. Ciò fa il Mantella, con simpatico ma forse eccessivo ottimismo: perchè sta bene battere in breccia i pedanti e usare una certa spregiudicatezza nell’accettare ed ammettere neologismi; ma si tenga presente che qui si procede pur sempre per ignes, noi non ce la sentiamo di avallare in tutto certi tipi di resoconti sportivi dove la spregiudicatezza diventa disinvoltura sfrenata e il dinamismo della prosa copre talvolta magagne grammaticali e sintattiche. Siamo tutti per un linguaggio chiaro, espressivo, immediato e moderno, ma vogliamo cautelare contro ogni forma di arbitrio e di esagerazione.
Passando dal calcio all’automobile, alcune buone osservazioni fa Michele Campana in Augustea. Egli nota, per esempio, che ciò che si riferisce alla lavorazione delle parti più interne dell’automobile è indicato con nomi quasi tutti italiani, alcuni dei quali sono anche belli e sonori; invece ciò che si riferisce alle parti più esteriori, che distinguono i vani aspetti della carrozzeria, conserva nomi di suono straniero. Questo dimostra che, mentre costruttori ed operai (popolo) han tenuto fede alla tradizione linguistica, invece il pubblico degli acquirenti e degli utenti (borghesia) non sa adattarsi alle parole di suono italiano e pappagalleggia alla francese o all’inglese. E dice tuttavia: chassis, parabrise, capote, spider, ecc. Un’altra parola che gli automobilisti usano spesso a sproposito è panne. La quale poi, avverte il Campana, non è altro che la traduzione francese di un italianissimo ed antico vocabolo marinaresco, sincope della paròla capanna, che indica una speciale forma assunta dalle vele per neutralizzare l’azione del vento e fermare la nave. I marinai dicono appunto: « mettere in panna il veliero »; cioè fermarlo. Noi questo vocabolo dei marinai nostri l’abbiamo regalato a tutto il mondo; ed ora ce lo riprendiamo dai francesi con significato un po’ diverso ed esteso agli accidenti d’automobile. E riprendiamolo pure, ma almeno pronunciamolo nel suono nostro, rivendicandone così la paternità all’Italia. Quindi si deve dire panna, ma nei modi più propri di: restare in panna o fermarsi in panna e non in quello, che è scorretto, di avere una panna.
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File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 26.04.39

Etichette:

Citazione: non firmato (Lorenzo Gigli), “Osservatorio: Parole nuove,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 23 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/2560.