Il tradimento di Lawrence (dettagli)
Titolo: Il tradimento di Lawrence
Autore: Mario Pettinati
Data: 1939-06-14
Identificatore: 1939_185
Testo:
Il tradimento di Lawrence
Londra, giugno
Un arabo dal portamento elegante e slanciato, ammantato in un tabarro di seta bianca, il capo avvolto in un drappo marrone accuratamente stretto da un cordone scarlatto a intrecci d’oro, sta in piedi appoggiato ad una porticina che si apre sospettosa in un angolo nascosto del cortiletto tipico di una casa di Wadi Afra. Quell’uomo è il principe Feisal.
Missione di fiducia
Dopo qualche minuto d’attesa un inglese di media statura, mingherlino, dall’aspetto quasi femmineo, entra con passo incerto e guardingo nel cortiletto e si dirige cautamente verso l’arabo che lo attende. È Tommaso Edoardo Lawrence, che 1’«Intelligence Service » ha inviato in Levante per cercare di trovare chi sia disposto a fomentare una ribellione degli arabi contro i turchi e porsi così alla testa di una armata araba che neutralizzi la minacciosa e vittoriosa coalizione dei turcotedeschi. Siamo al 1916 quando — dopo due anni di guerra — le sorti degli Alleati in Oriente si son fatte sempre più problematiche e pericolose.
L’inglese si ferma qualche attimo, quasi dubbioso, dinanzi alla figura nobile e misteriosa dell’arabo. Egli è incaricato di un’ignobile missione, quella d’ingraziarsi gli arabi, divenirne l’amico e il confidente per eccitarli alla rivolta contro i turchi promettendo loro la liberazione e la « grande Arabia », unita, sovrana e indipendente, per poi tradirli e abbandonarli al loro destino quando la City si sarà riempite le saccoccie a prezzo del loro sangue.
Nessuno è più sorpreso di lui quando, senza gran sforzo e senza nemmeno bisogno di sborsare quel gruzzolo importante d’oro che Londra lo aveva autorizzato ad offrire, l’arabo dal volto impenetrabile, con la sua destra, cerca quella dell’inglese stringendola in una promessa: «A Damasco ».
« A Damasco », ha ripetuto fra i denti l’inglese senza arrossire.
Così, senza cerimoniale solenne e senza trattato scritto, si è consacrata quell’alleanza che — secondo la politica tradizionale degli inglesi che amano far la guerra con il sangue altrui — spìngeva gli arabi a battersi contro i turchi e spazzar via la mezza luna dalla Palestina, per farla cadere poi, a guerra finita, nelle fauci ingorde della City.
Ipocrisia e malafede
Una propaganda sottile e menzognera ha per più di vent’anni cercato di ammantare con un’aureola di gloria e di misterioso magnetismo questo agente provocatore più fortunato che abile, più satanico che profondo, il cui nome sta scritto a lettere d’oro nei manuali scolastici che servono ai ragazzi inglesi per imparare la storia.
Ma a far crollare quest’immensa montatura d’ipocrisia e di malafede politica viene oggi una postuma confessione dello stesso Lawrence che fa allibire perfino gli inglesi.
È il loro « eroe » che — parlando d’oltre tomba — svela tutta la duplicità, la perfidia e la disonestà di cui si è servito per acquistare la fiducia degli arabi, per ottenerne il concorso e per sacrificarli alla morte in favore degli interessi inglesi, lasciandoli poi — a guerra finita — nel tradimento e nell’ abbandono che tutti sanno. Vi è — in queste pagine di ricordi che, sfidando il « no » del Censore, il fratello di Lawrence ha riunite in Orientai Assembly — il romanzo più lurido, più ignobile della malafede britannica e delle arti cui essa possa giungere quando è in gioco il suo predominio sul mondo.
Promettendo agli arabi a nome del Governo britannico la libertà e l’indipendenza, Lawrence confessa di avere saputo benissimo che nessuna promessa sarebbe stata mantenuta e che, proprio mentre l’Alto Commissario in Egitto, Sir Henry MacMahon, assicurava agli arabi che la vittoria comune sarebbe terminata con una Arabia libera ed unita, Sir Mark Sykes conchiudeva un patto segreto con la Francia per spartirsi le zone d’influenza nella nuova Arabia nelle quali Damasco — che lo stesso Lawrence aveva promesso a Feisal — era già attribuita ai francesi.
« Il Gabinetto — egli scrive — era riuscito a far combattere gli arabi a nostro favore con precise promesse di creare per loro, più tardi, un Governo indipendente. Gli arabi credono nelle persone, non nelle istituzioni, ed è perciò che credendo ch’io fossi un libero rappresentante del Governo britannico, mi domandavano di avallare le promesse del Governo obbligandomi perciò a prender parte in questa congiura e dando a quei disgraziati la mia parola d’onore, per quello che potesse valere, che sarebbero stati ricompensati. Durante due anni di cooperazione sotto il fuoco nemico essi si sono pian piano abituati a fidarsi di me e a credermi sincero, estendendo così al mio Governo, la loro fiducia in me. Nella speranza di veder mantenute le promesse che avevamo fatto loro, essi hanno compiuto atti ammirevoli: ma io, invece di essere fiero di ciò che compivamo insieme, non potevo che sentirne vergogna. Era evidente, fin dapprincipio, che se avessimo vinto la guerra tutte queste promesse non sarebbero divenute che uno straccio di carta e io avrei dovuto — se fossi stato per gli arabi un consigliere onesto — raccomandare loro di ritornare a casa e di non sprecare le loro vite per queste false illusioni.
La confessione della frode
« Invece abbiamo inviato migliaia di innocenti ad una delle morti più tragiche, e ciò nemmeno per vincere la guerra, ma al solo scopo di far sì che il grano, il riso e il petrolio della Mesopotamia potessero rimanere sotto il predominio britannico. L’Inghilterra voleva sconfiggere i nostri nemici (la Turchia, soprattutto), ma questo lo si è fatto sacrificando, secondo il piano di Allenhy, meno di quattrocento uomini inglesi e sfruttando invece a nostro favore il sacrificio dei disgraziati arabi oppressi dai turchi... ». «Debbo dire tuttavia — aggiunge Lawrence a sua discolpa — che malgrado ciò che si è detto la mìa parte in tutta questa faccenda non è stata che piccola e che soltanto una penna agile, una parola facile e una certa vivacità d’ingegno mi hanno attribuita una falsa importanza che non ho mai avuta (il che, se è vero, nello stretto senso ufficiale è pienamente smentito nella sua sostanza dalla sua stessa confessione). Ho presunto troppo e riconosco pienamente ora di non aver avuto alcun’attenuante nel lanciare gli arabi, a loro insaputa, in una simile avventura. Ho preferito frodarli, ma l’ho fatto nella convinzione che il loro aiuto era necessario per ottenere all’Inghilterra una vittoria rapida e a buon mercato in Oriente e che piuttosto che perdere la guerra era preferibile tradire la parola data e ignorare le promesse fatte ».
Occorre commentare? No. Ogni commento guasterebbe. Ricordiamocele, invece, e teniamole scolpite bene in mente queste parole di Lawrence, così tipiche della politica britannica che noi pure abbiamo cominciato a comprendere: promettere, pur di vincere, anche se, a guerra finita, non sì è affatto disposti a matenere.
Mario Pettinati
Collezione: Diorama 14.06.39
Etichette: Fuori Diorama, Mario Pettinati
Citazione: Mario Pettinati, “Il tradimento di Lawrence,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/2602.