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Titolo: Basso Profondo di Orio Vergani

Autore: Lorenzo Gigli

Data: 1939-07-12

Identificatore: 1939_200

Testo: Il libro della settimana
Orio Vergani
BASSO PROFONDO - Garzanti già Treves
Gli ultimi libri di Orio Vergani erano raccolte di articoli di viaggio o note di taccuino in margine alla diretta impressione giornalistica. Questo testè uscito (Basso profondo ed altre fantasie - Ed. Garzanti - L. 16), con arguti disegni di Novello, è un volume di prose d’un genere e d’un tono congeniali al primo Vergani, quello nel quale parve a taluno di dover identificare una replica italiana di Ramon de la Sema. Senonchè la parentela era assai più apparente che sostanziale, come dimostrarono in seguito le prove impegnative di Vergani sul terreno narrativo, in romanzi e racconti costruiti coi sette sentimenti; e anche in Basso profondo, se il tono è svagato e tende al paradosso caro alle fumisterie letterarie del dopoguerra, resta pur sempre in primo piano la nota dolorosa e umana in cui l’ironia del Vergani si risolve, non bastando a contentare la sua sensibilità e la sua coscienza d’artista il semplice gioco della girandola verbale, fine a sé stessa e neppure l’ambizione d’un’etica paradossale destinata a sconvolgere potenzialmente le posizioni acquisite e le formule cristallizzate della moralità borghese.
Sentitelo nella presentazione di uno de’ suoi personaggi, e avrete la chiave del suo modo di vedere e di rappresentare, al di là d’ogni apparenza di compiacimento formalistico. È di scena il basso: «... parla ogni tanto in latino
e saluta dicendo Ave! La sua voce è calda come la pece bollente, cupa come l’abisso, aspra come le torture. Appare seminudo tra i vapori del cosmo, illuminato di sotto in su come se si fosse fatto di un rogo il piedistallo. Un lembo di mantello gli copre trasandatamente una spalla: e l’altra è nuda, libera per i gesti oratori... ». Non è una caricatura dell’uomo teatrale alla maniera solita. L’esercizio intorno alla figura tipica del cantante e alle sue caratteristiche fisiche e morali sfruttate dall’umorismo di ogni tempo e paese, cede subito il posto ad una interpretazione della realtà secondo presupposti che sfuggono al tema generale della satira. Dietro il tipo, Vergani ricerca il cuore e l’animo, indaga il contrasto tra la gonfiatura artificiosa del personàggio e la sua modesta realtà, lo sveste degli orpelli della scena per ridurlo alla sua funzione d’uomo comune nell’ordinario ambiente sociale e familiare della sua esistenza; punta dunque molto oltre il semplice schizzo umoristico per raggiungere un completo disegno umano. Accompagnerà il suo personaggio financo sulla soglia dell’aldilà mentre egli dice il proprio nome agli angeli. « Strano — gli risponderanno essi — ti chiami come il famoso basso profondo... Lo aspettiamo da tanto tempo perchè venga, una buona volta, a cantarci le lodi del Signore ». Abbasserà il capo, il poveretto, a questa dichiarazione ed entrerà in paradiso melanconicamente: non l’avranno riconosciuto alla voce.
Si potrebbero moltiplicare gli esempi atti a rendere il tono di questo libro singolare e a metterne in rilievo la ricchezza di motivi poetici. Si tenga presente, intanto, ch’esso non è un seguito di divagazioni e trascrizioni occasionali, ma ha una sua unità interiore e formale, è costituito a galleria di ritratti a doppia faccia, che frugano un microcosmo di pretesi manichini, riserva sino a ieri dell’umorismo convenzionale. Non che mancassero tentativi di trasferire l’ambiente teatrale sul piano della psicologia narrativa; mancò tuttavia da parte dei più la capacità di avvicinarsi ad un mondo tutto artificio e trucco con la volontà deliberata di procedere dall’esterno alla ricerca della verità sostanziale e dell’illuminazione poetica. Non c’è creatura di Dio che ne sia priva. Neppure i bassi profondi e i soprani leggeri.
Le « fantasie » di Vergani, meno fantastiche di quanto tengano a dichiararsi, distendono le loro aeree tele su tutto il teatro musicale, attori e orchestra, cori e strumenti, colto come unità spirituale ed alleanza difensiva. Persino il grammofono, la spinetta, l’arpa e gli ottoni appaiono al Vergani degni d’essere cantati. Hanno tutti un’anima d’amore; affine a quella della danzatrice, malata com’essa di nostalgia di cose lontane e irrealizzabili.
Questa è materia che il Vergani tratta con la delicatezza malinconica, con la crepuscolare levità della sua fantasia. Anche ciò che dicono le cose egli riesce ad intendere: il teatro, che, a spettacolo finito, si mette a sognare; e mentre fuori cade la neve, per lui è primavera, « la strana primavera dei teatri nata al sole dei lampadari, con pergolati di volti che sporgono dal loggione, e frutta di braccia femminili color di rosa e color di mandorla esposte all’orlo di velluto dei palchetti».
Lorenzo Gigli

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 12.07.39

Citazione: Lorenzo Gigli, “Basso Profondo di Orio Vergani,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 11 maggio 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/2617.