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Titolo: ARGOMENTI

Autore: Enrico Falqui

Data: 1939-07-12

Identificatore: 1939_199

Testo: ARGOMENTI
Nulla autorizza a credere che Giuseppe De Robertis non ascriva a suo titolo d’onore d’essere stato un vociano e, tra i migliori, uno dei più impegnati in un lavoro di critica solo apparentemente limitato « al fatto letterario dell’arte, alla tecnica, alla lettura » (secondo un’esigenza e un’educazione che, fuori dello stesso vocianesimo, dal Serra si potevano far risalire al Carducci e dal Carducci più addietro). In effetti, tale suo lavoro, sempre che al cospetto della poesia, s’è svolto con una castigatezza e con un’esperienza destinate a offrir oggi nei Saggi (Le Monnier, Firenze) il risultato elettissimo.
Eppure qualcuno c’è ancora persuaso di dover ripetere « la sciocchezza che tutto si risolvette e ancora si risolve, per i Vociani, a saper leggere, e che la critica vociana è soltanto trascrittiva e, per giunta, autobiografica; méntre essa resta rigorosamente critica, anche se si travesta di cadenze e trascrittive e autobiografiche. Saper leggere fu per i Vociani un punto di dove partire, il punto, il difficile punto, il punto base; e il giudizio già preesisteva in quel tal modo di disporsi alla lettura... ». Insomma, a smentita di quanto riesce comodo credere per facilità di polemica, quel « leggere » non era mai un abbandonarsi alle fluttuanti impressioni e non unicamente in autobiografismo si traduceva.
Serra lasciò scritto: « Già io, di critica seria, non ho mai conosciuto altro che la lettura pura e semplice. E poi, dei divertimenti personali, in margine. Oppure il volume di mille pagine... ».
E quasi nel contempo De Robertis avvertiva: « In critica, o la nota rapida, sintetica, fatta di scorcio; e sopra facendovi pesare la propria coscienza ed esperienza, con la compromissione di ogni responsabilità; — o il libro di mille pagine... ».
Ma, se il Serra nel suo lavoro si sentiva e si dichiarava legato all’ora al tempo alla luce alle cose che erano la sua vita e non
sapeva staccarsi dal tavolino senza averle notate in quella continua storia di se stesso di cui lasciava quotidiana documentazione nel puntuale commento ai poeti, altro è lo stimolo e l’impegno di De Robertis. Egli sa restare devotamente celato e del suo studio delle sue avventure delle sue impressioni non ci dà che la riordinata risultanza critica, tuttavia in termini così aderenti (ma liberi dall’impaccio di talune formulette problematiche: « nessun uso di terminologia aspra, quei comodi luoghi comuni della pigrizia e della superbia ») da conferire alla sua pagina il calore di un’adesione non casuale. Schiva il piacere di certe improvvisazioni, rifugge da ogni divagazione. Osserva una legge. Non cede al gusto, all’intuizione, alla penetrazione psicologica oltre certi limiti.
Dunque domandiamoci qual parte sia da riconoscere al Serra nella sua formazione e nelle sue preferenze. Minore, assai minore di quanto per solito non si ritenga. E anche se ambedue si son rifatti al Carducci e a quella sua « varietà di osservazione biografica e psicologica e squisitezza di gusto e ricchezza di dilettazione letteraria», è un fatto che Serra restò sopra tutto preso da quella « novità » (in vero già attuata dal Sainte-Beuve) « di ritratti, colti sull’uomo vivo e coloriti con ricchezza di aneddoti e particolari pittoreschi ». Al contrario di De Robertis, che, prestando orecchio alla viva corrente della critica carducciana, ne assimilò il gusto e il bisogno e la perizia per una lettura sempre « più attenta e lenta », nello sforzo di riuscire a « vedere a fondo e con mille aiuti in quel difficilissimo segreto che è l’arte, in quell’inesprimibile che è la poesia ». Con la solidale partecipazione di un puro artiere. Ed è il suo più autentico segno di nobiltà.
*
Dar consigli non è compito del critico. Ma scrittori della formazione di Dino Terra andrebbero dissuasi dal ricorrere, nel dare alle stampe le proprie opere, all’antico procedimento del « manoscritto ritrovato nella bottiglia », anche se Terra, stavolta, il manoscritto di Fuori tempo (Parenti, Firenze) se l’è ritrovato sotto il messale culabriense nell’assidersi, « di pieno giorno, banalmente, in un grosso caffè di Parigi». (A parte il sospetto che l’abbia invece ritrovato sotto il tavolo in qualche aggrottata osteria romana per quella cert'aria di vigolismo che vi tenta e ritenta il volo, senza peraltro staccarsi da terra).
Procedimenti simili, nell’apparente ma artificiatissimo spregio di ogni vezzo letterario, presuppongono, ed esigono, un dominio e un superamento, un riassorbimento della letteratura stessa quale sarebbe inutile aspettarsi da chi non legittima, non garantisce cioè sulla pagina i giri e i nodi e i capricci della sua fantasia.
Davvero viene spontaneo rimpiangere che a un canovaccio romanzesco come quello di cui il Terra s’è trovato a disporre, non sia stata apportata alcuna correzione e variante, salvo quella d’averlo liberato dalle solite « note estranee ». Liberato: « setacciato », scrive Terrà in quell’odierno suo gergo tra leccato e stramicione che sul più bello di un inchino lo fa prorompere in un pernacchio, pur senza gli effetti umoristici che saprebbe ritrame un letterato esperto. E certi giochi, certi strappi non son da tutti.
Così le parole. Son di tutti. Ma certe parole non son da tutti. E se qualcuna di quelle, putacaso, d’Annibal Caro e d’Antonio Baldini vanno a finire in cattive mani: o dànno subito all’occhio e denunziano la provenienza o stanno poco a intristire e decadono. Perché come una parola non vive mai da sola, meno ancora accestisce in qualunque terreno.
Enrico Falqui

File: PDF, TESTO

Collezione: Diorama 12.07.39

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Citazione: Enrico Falqui, “ARGOMENTI,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 12 maggio 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/2616.