Croce e delizia d’un passatempo democratico (dettagli)
Titolo: Croce e delizia d’un passatempo democratico
Autore: G. di San Lazzaro
Data: 1939-07-05
Identificatore: 1939_198
Testo:
Viaggio in Danimarca
Croce e delizia
d'un passatempo democratico
(Dal nostro inviato speciale)
Copenaghen, luglio
Ammarato allo sbocco appena appena oleografico di un canale, il Nyhavn, sulla nuova piazza reale, il grande albergo cosmopolita batte bandiera britannica e, agli inglesi, è anche dedicata una deliziosa cappella in pietra grigia, a squame argentee, alla frontiera di Langelinie — la scogliera del chiaro di luna — che la munificenza del grande birraio nazionale, Carlo Jacobsen, ha creduto di dover segnalare con una di quelle grandi fontane allegoriche che sul principio del secolo erano generalmente ritenute dei capolavori.
Ricordo di appuntamenti mancati
A Copenaghen, infine, gli inglesi hanno dato la romantica architettura insulare di interi quartieri, contendendoli al glorioso Rinascimento olandese. Non deve quindi meravigliare se, attenuando il ricordo di certe zuffe memorabili, i danesi provvedano ora, con zelo di fidati fornitori, il troppo rinomato bacon, il burro e le uova della copiosa colazione mattutina dei figli di Albione.
I francesi, invece, abbandonando non senza lotta ai ticinesi Porta e all’italiano Giannini la cucina «continentale», tengono d’occhio le pinacoteche moderne e le donne. Nel quartiere della cosiddetta vita elegante, il Magasin du nord, per quanto di parigino non abbia forse che il nome importato da Brusselle, è, in qualche modo, un omaggio, un ex-voto « razionale » della haute couture.
La Germania si contenta di avere, a Copenaghen, ventimila tedeschi. Ma è l’Italia e l'Olanda che evocano, per quanto stranamente, la nuova architettura nazionale e le due istituzioni più caratteristiche: Tivoli, e la bicicletta.
Temo che l’eccezionale funzione di Tivoli sfugga ai danesi, abituati a considerarlo come una specie di Luna Park o, semmai, quasi un’innocua manifestazione di languidezza nazionale. Vi parlano di Tivoli senza entusiasmo.
Tivoli è un giardino, ma non ha l’intimità agreste di Frederiksberg, nè la dolcezza idilliaca del parco d’Orsted. Debbo supporre che alle signore che vado interrogando, Tivoli ricordi soltanto gli appuntamenti mancati, all’ingresso di Vesterbro, tra i due sgabuzzini delle cassiere, sotto l’arco di Eros delle lampadine elettriche? Queste dolci signore danesi hanno sospiri di fanciulle tradite. L’amarezza che vela il loro sorriso ha un chiaro colore azzurro, marino. Quegli occhi, che ridono se incontrano i vostri, hanno letto troppi romanzi d’amore, scelti a uno a uno nella biblioteca rosa.
« Tivoli non ha tenuto le promesse», dice Merete.
Chi è Merete
Merete è una piccola attrice che compie oggi trent'anni. Veramente ne ha trentaquattro per quanto ne dimostri appena appena venticinque. Mi lascia fantasticare sulle promesse che Tivoli non ha mantenuto. Evidentemente non abbiamo tutti lo stesso modo di pensare.
A sentirmi dire che Copenaghen è un emporio di stili, Merete solleva gli occhi con una lentezza incredula. Ma sì, Merete; e tento di enumerarli: romanico, gotico, olandese, inglese, fiorentino, barocco, neoclassico, e perfino neoromanico. Una città fatta di cento altre città, non c’è un edificio — meno le due belle caserme adibite oggi a musei — che non sia la copia di un palazzo di Amsterdam, di una chiesa di Roma — e che chiesa, addirittura San Pietro —, di un castello toscano o ferrarese. « E di suo dunque non ha nulla? ». Sue sono le alte torri, sebbene anch’esse più o meno ispirate da costruzioni straniere, le proporzioni, veramente monumentali; suo, l’equilibrio meraviglioso degli spazi che dà a questa città campionaria di cicli architettonici un carattere proprio, particolare, incontestabile.
« Insomma — fa Merete, nel linguaggio dei cineasti — a Copenaghen è l’Europa che parla. Ma tutto ciò che cosa ha a che fare con Tivoli? ».
E fugge, non senza avermi prima tappata la bocca con una fragile architettura di affettati, di filetti di acciughe, di striscioline di anguilla affumicata, cementata da spessi strati di maionese e coronata da un pauroso occhio di annegato, una fetta d’uovo sodo, con un’oliva nera nell’iride gialla.
È l’Europa che parla
Sì, Merete ha ragione di dire che a Copenaghen è l’Europa che parla. L’Oriente, i minareti, le pagode, le cupole moresche i danesi li hanno relegati a Tivoli, bardandoli di lampadine colorate, rimpinzandoli di musica. Come c’è un giardino zoologico per gli animali esotici e le bestie feroci, così a « Tivoli » si è creato un confino dell'Oriente, e tra gli alberi tuttavia tintinnanti, quasi autentiche piante a sonagli, è stato messo, con i leggeri minareti e le pagode profane, tutto ciò che a uno scandinavo sembra dovere appartenere all’Oriente: baracconi da fiera, spassi popolari, montagne russe. Così considerato, Tivoli dovrebbe chiamarsi piuttosto Bagdad. Ma se veramente gli organizzatori avessero voluto, con quella specie di caravanserraglio, evocare l’Italia, bisognerebbe pensare ch’essi si facevano dell'Italia un’immagine da far rizzare i capelli in testa a un calvo. No, Tivoli ha un segreto che se fosse stato custodito gelosamente sarebbe ancor oggi inviolato: le cascate. Ci deve essere stato un premio per la prima coppia che scoprì il perchè di quel « Tivoli », scritto in grandi lettere chiare latine sull’ingresso di Vesterbro. Se non è sempre facile scoprire le cascate, si può almeno vedere, nel cielo di Copenaghen, che i nostri caratteri hanno soppiantato le insegne gotiche. L’architettura notturna di Vesterbro, della piazza del Municipio, della Raadhuspladsen che è il nuovo centro della città, è una bella pagina di aldini, di bodoniani, di romani stampati con un bell’inchiostro incandescente sulle facciate buie. Solo, di fianco all’immenso Raadhus, il grande quotidiano conservatore si ostina a scrivere, in lettere ormai indecifrabili, il suo titolo ligio alle tradizioni: Berlingske Tidende.
Ora Merete mi chiede, porgendomi un bicchiere di whisky e soda, se penso ancora a Tivoli. « Alle cascate? Sono le sole che abbiamo. Il nostro paesaggio è così piatto: i pali telegrafici dominano tutta la campagna danese. Le nostre Alpi sono delle collinette di duecento metri, appena più alte delle dune di sabbia dello Jutland ». E mi si stringe addosso, ma le buone regole m’impediscono di pensare che forse vuol farmi sentire che se il paesaggio è piatto, il suo corpo non è una sconsolata pianura. « A me, a Tivoli, non mi è mai riuscito di avere un bacio. Grandi ebrezze musicali, l’anima è fradicia di musica, ma un bacio non ve lo dà nessuno, a Tivoli ». La sera che da Wivel, il più elegante ritrovo di Tivoli, avevano festeggiato, tra compagni di scuola, la fine degli sgobbi scolastici, che cosa non avrebbe dato per un bacio? I ragazzi avevano bevuto troppi bicchierini d’acquavite forse per impedire alle anguille di ritornare, come nella favola di Andersen.
Certo, gli organizzatori di Tivoli sono abilissimi. Le guide dicono che « Tivoli è un’istituzione democratica, democraticissima, dove tutti possono venire, dal Re al semplice operaio, e godersi le serate chiare in estate, così caratteristiche dei paesi scandinavi ». L’entrata non costa che sessanta centesimi di corona. Ma ai più ripugna, oltre a quei sessanta centesimi, di spenderne altri venticinque per il programma, sicché molti non sanno i nomi delle opere che pur vanno canticchiando la mattina, scivolando dal letto. Merete, la prima volta c’era stata in braccio al babbo, e s’era divertita un mondo non solo a ficcare le piccole dita nelle narici paterne, ma anche a vedere guizzare dalle penne del grande pavone del teatro cinese i ballerini e le maschere italiane, Arlecchino, Pantalone, Pulcinella. Poi c’era ritornata con il maestro di scuola; tutta la classe, per due, sfilava dinanzi al chiosco dell’orchestra della Passeggiata, riempiva due ranghi di panchine nella sala di vetro, la Glassalen, dove mugolano gli strumenti a vento. Poi finivano nella sala dei concerti che, la sera, con la lieve cupola bulbosa e i sottili minareti, sembra ritagliata nella via lattea. Dietro, brilla la luna. Erano ubbriacature di musica che straripava dall’anima, che non poteva contenerla tutta. Le dolevano persino gli occhi, le palpebre bruciavano sui globi infiammati. No, Merete non capisce perchè si debba versare tanta musica in corpi così piccoli. Ma l’amico Bilie opina che quando si parla una lingua che è tutta finezze musicali, come la cinese e la lituana, quando fyr, per prendere l’esempio più facile, può significare faro, ragazzo o abete, secondo che si insista più o meno sull’y, occorre un orecchio irreprensibile. No, non mi meraviglia che si conducano i ragazzi ai concerti, piuttosto che ai musei. Merete, però, avrebbe preferito giuocare con le anitre.
Felicità clandestina
E poi, finché non scoprì che la felicità, negli anni terribili che attraversiamo, non può essere, in paesi come questi, che materna o clandestina, si lasciava trascinare a Tivoli dal marito, appassionato di pantomime. C'è sempre, a Tivoli, un grande direttore o un vigoroso cantante di passaggio o almeno un buon numero di varietà. I piroscafi che dalla musicalissima Polonia vanno in America, fanno scalo al porto franco di Copenaghen. Per i virtuosi in tournée per Oslo e Stoccolma, Copenaghen è una fermata obbligatoria. Sicché, un po’ per gli spettacoli d’eccezione un po’ per i divertimenti più popolari, Tivoli è aperto al Re e all’operaio, richiama la ricca signora di Hellerup e la giovane birraia di Carlsberg, il banchiere della banca privata e il marinaio della flotta non meno privata, entrambi con il colletto duro e il tubino nero.
Nel paradiso di Vesterbro gli agenti di polizia recano, sui bottoni d'oro dell’uniforme, delle piccole mani di Fatma.
E tocca a me di spiegare a Merete come, tra un concerto e una capriola, nelle sere chiare d’estate, si acquista la candida anima democratica.
« Preferirei — dice Merete — che gli uomini imparassero a saper dire a una donna: t’amo ».
G. di San Lazzaro
Collezione: Diorama 05.07.39
Etichette: G. di San Lazzaro, VIAGGIO
Citazione: G. di San Lazzaro, “Croce e delizia d’un passatempo democratico,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/2615.