Ricordi di un giovane troppo presto invecchiato di Antonio Aniante (dettagli)
Titolo: Ricordi di un giovane troppo presto invecchiato di Antonio Aniante
Autore: Lorenzo Gigli
Data: 1939-07-05
Identificatore: 1939_197
Testo:
ANTONIO ANIANTE
RICORDI DI UN GIOVANE
TROPPO PRESTO INVECCHIATOSI
BOMPIANI
Il motivo della nostalgia gioca da cima a fondo in questo libro col quale Antonio Aniante, come dice la presentazione editoriale, « ritorna dopo dieci anni di assenza in seno alla grande famiglia italiana delle lettere ». Tuttavia noi non l’avevamo perduto di vista: e almeno un paio di libri suoi del decennio dell’esilio, come il D’Annunzio e il Marco Polo, ci erano sembrati ricchi di succhi nativi e pieni di carattere anche se scritti in lingua forastiera, chè il travestimento non intaccava la sostanza della fantasia e del raziocinio. Adesso, coi Ricordi di un giovane troppo presto invecchiatosi (ed. Bompiani, L. 10) Aniante si butta dietro le spalle il recente passato e pretende di darci la chiave del suo giovanile errore; del quale, ravvedendosi sulla soglia dei trentott’anni, dunque maturo e anche più stanco e deluso di quel che l’età comporterebbe, non ha l’aria di essere troppo disgustato in quanto esperienza di vita. In fondo a ciò ch’egli racconta de’ suoi trascorsi e delle sue miserie c’è sempre un tema poetico: e l’Aniante lo sfrutta con quel sentimento magico della realtà che distingue la sua scrittura; la quale solleva l’episodio più banale e corrente di cronaca nel clima del meraviglioso e della favola, con un contorno orgiastico di particolari e di colori che è in funzione della sua dichiarazione d’origine.
Aniante di Sicilia, si diceva una volta di lui: brevemente così, come di Stesicoro o di Teocrito. Ma gl’idilli d’Aniante sfociano in una sensualità tormentata che risolve in violenza la felicità panica del mito antico. Le reazioni di Aniante sono d’un romantico o d’uno scapigliato nato ai piedi dell’Etna dopo duemila anni di storia.
Autobiografia d’un uomo fallito, d’uno scrittore disgraziato? Esperienza, piuttosto, da figliuol prodigo che già conosceva in partenza l’epilogo dell’avventura. Non si nasce a specchio del Mediterraneo per trasferirsi impunemente sotto i cieli del Nord. Il dramma di Aniante, pur con caratteri universali, resta singolare nel suo tono e nei suoi accidenti. Inconfondibili sono i suoi incontri, a qualunque latitudine si svolgano: tra i burloni di Napoli, col soldato in treno verso Firenze, nei caffè di Montparnasse, negli anfiteatri siciliani o nelle cliniche parigine. Momenti ed episodi d’un realismo brutale che subito si trasfigura per incantamento. Avevamo conosciuto sradicati di questa fatta, per esempio, nelle impressioni di Viani su Parigi, d’un fatalismo tragico quasi dostoievschiano. In Aniante, le creature disperate diventano angeli con le ali bianche. L’eredità di poesia che discende in lui dai secoli lontani gli consente di liberare la materia dalle sue catene e di farla lievitare e sollevare. Quando racconta le cose più crudeli e lancinanti e descrive piaghe d’anima e di corpo, è come se raccontasse una fiaba aerea e gentile: e non ci uscirà tanto presto dalla memoria la pittrice turca che gli fu compagna nella miseria di Parigi e che morì di cancro in un ospedale. Personaggio vero, terreno; la piccola Halè ha però trovato sulla sua strada un poeta, e la sua leggenda è già nata. Nel libro essa ha compagne quali il Serafino Lombardo, ragazza milanese, e Mammolinetta, ragazza siciliana, personaggi che entrano nel racconto attraverso i consueti schemi narrativi e ne evadono subito sulle ali del sogno. Codesta oscillazione perpetua tra il reale e il fiabesco costituisce l’incanto dell’autobiografia d’Aniante e la sua giustificazione in sede artistica. A lettura compiuta, sedato il disordine delle impressioni immediate, puoi rivederle una per una con la tranquillità necessaria a isolarle dal loro clima superardente: ti verranno allora davanti con umana tenerezza i tipi più strani e spericolati, dall’innocuo bandito Spadino ai disgraziati affaristi Bachis e Strok, tutta gente che la sorte getta allo sbaraglio senza averle dato il cuore che necessiterebbe; sì che la pietà nasce dal grottesco della loro assurda posizione. Certi scorci di Parigi, tagliati alla brava, inquadrano efficacemente la loro miseria. Ma l’Aniante artista dotato lo trovi soprattutto nella trentina di pagine siciliane dov’è descritta la messa in scena e la recita d’una sacra rappresentazione, un dramma scritto dall'Aniante sul canovaccio della vita d’una santa isolana: corale grandioso, ambiente e tipi d’un comico di vena classica; e vi si alternano la farsa, la parodia, il romanzesco e il patetico, centrati sulla figura d’una ragazza che suscita fanatismi.
In queste trenta pagine la nostalgia d’Aniante si concreta in epos; poi la vedremo distendersi su tutta l’avventura, conferirle una nobiltà che trapassa dalla sofferenza fisica al problema morale, sciogliersi in un pianto che attende e cerca consolazione, e l’avrà; perchè in noialtri italiani la nostalgia non è una debolezza; «è un fatto logico».
Lorenzo Gigli
Collezione: Diorama 05.07.39
Etichette: Lorenzo Gigli
Citazione: Lorenzo Gigli, “Ricordi di un giovane troppo presto invecchiato di Antonio Aniante,” Diorama Letterario, ultimo accesso il 21 novembre 2024, https://dioramagdp.unito.it/items/show/2614.